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Rassegna stampa di Elia Kazan

Elia Kazan è un attore turco, regista, produttore, sceneggiatore, è nato il 7 settembre 1909 ad Istanbul (Turchia) ed è morto il 28 settembre 2003 all'età di 94 anni a New York City, New York (USA).

A CURA DELLA REDAZIONE
MYmovies.it

Regista americano d'origine armena (Costantinopoli 1909). Vero nome E. Kazanjoglous. Fra i più importanti realizzatori contemporanei negli Stati Uniti, ma costantemente caratterizzato da un'ambiguità di fondo, avvertibile nelle impostazioni tematiche come nelle predilezioni tecnico-formali da lui mostrate. Appartenente prima del periodo maccartista - cioè nell'immediato dopoguerra - al gruppo dei più avanzati cineasti americani, attraversò in seguito una specie di crisi psicoideologica che lo portò a trattare ancora, in una serie di opere, argomenti di notevole rilievo sociale, realizzati in forme sempre più contraddittorie, pessimistiche, angosciate: finché, più recentemente, si rivolse a tematiche di altra natura, trattate con talento formalistico spesso involuto ed estetizzante. Valoroso regista teatrale, Kazan aveva lavorato a lungo, prima di occuparsi di cinema, per il Group Theatre. Fu poi, con Lee Strasberg, direttore dell'Actor's Studio e fra i principali assertori della moderna recitazione hollywoodiana (Marlon Brando, Paul Newman, James Dean ecc.).

ROBERTO NEPOTI
La Repubblica

Elia Kazan fu un genio indiscusso del cinema e del teatro. Fu tra i fondatori dell'Actors Studio, firmò film che sono rimasti nella storia del cinema, da Viva Zapata, a La valle dell'Eden a Splendore nell'erba. Ma Kazan amava molto anche il teatro. Nel 1949 fu acclamato per la messa in scena di Morte di un commesso viaggiatore, di Arthur Miller. Una fama, la sua però, segnata anche da grandi polemiche. Venne criticato per avere denunciato alla Commissione per le attività antiamericane del senatore Joe McCarthy alcuni suoi compagni del partito comunista, in cui aveva militato negli anni Trenta. La deposizione davanti alla Commissione, che negli anni Cinquanta guidò la crociata anticomunista negli Stati Uniti, permise al regista di continuare a lavorare, ma lo bollò a vita e quando nel 1999 gli fu attribuito l'Oscar alla carriera a Hollywood non mancarono le polemiche e alla serata di consegna della statuetta, molti in sala non applaudirono il regista. Nato a Costantinopoli nel 1909, Kazan si trasferì con i genitori greci negli Stati Uniti pochi anni dopo. Studiò teatro all'università di Yale. Nel 1934 si iscrisse al partito comunista e fino alla Seconda guerra mondiale fece attività politica in circoli di sinistra. Poi si dedicò al cinema. Era consapevole dei suoi limiti ed era severo con se stesso: "Non ho una vasta gamma, non vado bene con la musica, i classici sono oltre la mia portata ... sono un mediocre regista, tranne quando una pièce teatrale o un film tocca una parte delle mia esperienza di vita", diceva di sé Kazan. Ma, aggiungeva, "ho coraggio, qualche volta anche un po' di temerarietà. Sono capace di parlare agli attori, di farli lavorare al meglio".

ALBERTO CRESPI
L'Unità

Il sorriso di Elia Kazan è «il sorriso di tutti coloro nati in Anatolia», il sorriso mellifluo e ingannatore di chi arriva in America deciso a farcela anche a costo di essere falso e servile, finché serve. Il sorriso che Kazan descrive nella sua autobiografia A Life, uscita nell’88, uno dei più straordinari libri di cinema e di vita mai pubblicati (era un grande scrittore, ancor prima che un bravo regista). Il sorriso di chi sorride solo con i denti e non con gli occhi. Il suo film autobiografico del 1963, America America, doveva intitolarsi The Anatolian Smile, il sorriso dell’Anatolia. Da noi alla fine lo chiamarono America America - Il ribelle dell’Anatolia. Era bellissimo. Uno dei suoi più belli. Ed è rimasto uno degli ultimi. Negli anni successivi Kazan girò soltanto Il compromesso (1969, da un suo romanzo) e I visitatori (1972), per poi chiudere con Gli ultimi fuochi (1976), un nostalgico e feroce mélo sulla vecchia Hollywood ispirato al romanzo di Francis Scott Fitzgerald. Poi cullò a lungo il sogno di un film intitolato Oltre l’Egeo, sugli scontri di lingue e di culture che per secoli hanno caratterizzato il mare sulle cui rive era nato. Non si fece mai, ovviamente. L’uomo che dal ‘45 al ‘57 aveva letteralmente preso d’assalto Hollywood, girando più di un film all’anno e lanciando divi come James Dean, Marlon Brando e Warren Beatty, da Hollywood era stato emarginato. E per vari motivi. Le radici stanno sempre là, in Anatolia: Elia Kazan era un greco - il cognome completo è Kazanjoglou - nato a Costantinopoli, in Turchia. Aveva passato l’infanzia a fingere. «Da bambino parlavo il greco in casa e il turco per strada». Ancora piccolo, emigrò con la famiglia a New York e continuò a fingere. Povero e piccoletto, affrontò l’America fingendosi umile, deciso a fotterla. Si iscrisse a un college e fece lo sguattero nella mensa per pagarsi la retta. Frequentò prima la Yale Drama School e poi il Group Theatre, negli anni ‘30. Lì lo soprannominarono «gadge», come dire gadget, strumento, utensile: si rendeva utile in qualunque modo, e intanto imparava, assorbiva tutto come una spugna, e covava la sua vendetta. Il Group era un teatro di sinistra: vi lavoravano Lee Strasberg, Stella Adler, Clifford Odets (lo scrittore adombrato nel Barton Fink dei fratelli Coen). Da quel nucleo nacque, pochi anni dopo, l’Actors’ Studio, di cui Strasberg fu il mentore e Kazan il braccio più efficace nel trasferire le poetiche, e i divi, del «Metodo» a Hollywood. A New York, Kazan diresse memorabili allestimenti dei drammi americani più famosi e proverbiali del tempo: Un tram che si chiama desiderio, Morte di un commesso viaggiatore, La gatta sul tetto che scotta, Erano tutti miei figli. Imparò a dirigere gli attori con un misto di ferocia e di complicità (era stato uno di loro, di modesto talento: interpretò piccoli ruoli in due film della Warner, City for Conquest e Blues in the Night, fra il ‘40 e il ‘41). Con questo credito teatrale, Kazan sbarca a Hollywood nel ‘45, chiamato alla Fox da Darryl Zanuck: e il successo lo bacia quasi immediatamente, grazie a Un albero cresce a Brooklyn (1945, subito un Oscar per l’attore non protagonista James Dunn), Il mare d’erba (1947), Barriera invisibile (sempre 1947, primo Oscar come regista), Bandiera gialla (1950) e soprattutto la memorabile versione cinematografica del Tram di Tennessee Williams, con un cast divenuto proverbiale composto da Marlon Brando, Vivien Leigh, Kim Hunter e Karl Malden (curiosamente vinsero tutti l’Oscar, tranne Brando!). Era, ormai, il 1951. L’America era in piena paranoia anticomunista. Kazan era stato comunista negli anni ‘30, nel periodo del Group Theatre, quando il partito era forte e potente. La commissione del senatore McCarthy lo chiamò a testimoniare. E Kazan parlò. Fece i nomi. Denunciò i colleghi: un tradimento che molti, in America e altrove, non gli hanno ancora perdonato. Pensiamo valga ancora la pena, su questo tema, di sentire cosa disse a Berlino nel 1996, quando venne a ritirare l’Orso d’oro alla carriera: «Sono stato membro del partito comunista per un anno e mezzo. Non mi è piaciuto ciò che ho visto in quel periodo, e ho deciso di dire ciò che pensavo. Ero d’accordo con certe cose, ma non con i metodi. Come iscritto al partito, volevo cambiare l’America, renderla migliore: ho lasciato il partito perché, ripeto, non ne condividevo i metodi, ma quell’idea di fondo mi è rimasta. Amo l’America». Parole rispettabili se Kazan si fosse limitato a un personale autodafè, come è accaduto molte volte, a molti comunisti, in molti paesi. Ma Kazan, come dicevamo, non parlò di sé. Parlò degli altri. «Cantò». Rovinò le carriere di alcuni colleghi - e chissà se non lo fece con un certo perverso piacere, ricordando le difficoltà degli inizi e sfogando nella denuncia il proprio senso di rivalsa. Questo fu il suo tradimento, e dal 1952 - l’anno della testimonianza/delazione - in poi il suo cinema divenne la messinscena di un’espiazione, spesso mascherata da orgogliosa autodifesa. Proverbiale, in questo senso, Fronte del porto (1954), tutt’ora forse il suo film più famoso. Sembra ed è l’apologia del delatore, raccontata come la scelta coraggiosa di un individuo che lotta contro l’organizzazione corrotta. Ma è anche un’autoaccusa ai confini del masochismo, nella violenta scena in cui Marlon Brando/Terry Malloy viene massacrato di cazzotti. Edward Dmytryk (l’altro dei famosi “Hollywood Ten”, i dieci di Hollywood, che tradì) fece una cosa simile in Ultima notte a Warlock, un western intimista e sado-maso in cui il tradimento «a fin di bene» si fonde con l’omosessualità latente. Kazan e Dmytryk, questa è la verità, non se la perdonarono mai. Hollywood, invece, gradì: Fronte del porto vinse 8 Oscar, inclusi la regia di Kazan e, stavolta, l’interpretazione di Brando, e fece del ribelle dell’Anatolia il regista più corteggiato in città. Lui continuò a mietere successi per un paio d’anni, lanciando James Dean in La valle dell’Eden (1955) e buttandola sul torbido in Baby Doll (1956). Qui le ossessioni erano quelle, assai personali, della famiglia e del sesso, Edipo ed Eros (Kazan era tormentato dalla libido: ebbe tre mogli e un numero imprecisato di amanti, e soprattutto - come confessa, in un misto di narcisismo e autodisprezzo, nella sua autobiografia - non poteva fare a meno di portar via le fidanzate agli amici: «Non sono mai stato con una donna che fosse libera nel momento in cui l’ho conosciuta»). Ma la politica, in filigrana, si intravvedeva sempre. E riesplose in Un volto nella folla (1957), una delle più spietate analisi dello show-business e delle sue bugie, forse il suo film meno «invecchiato».C’era tempo per qualche altro colpo: Fango sulle stelle (1960, con Monty Clift) è curiosamente il suo film che amava di più, Splendore nell’erba (1961) è forse la sua opera più tenera ed umana, con due giovani bellissimi e di talento come Natalie Wood e Warren Beatty (quest’ultimo diverrà, ironia della sorte, il paladino dei Reds a Hollywood, uno degli ultimi comunisti rimasti su piazza!). Poi ci sarà spazio per l’autobiografia, i ricordi, i rimpianti; e per un Oscar alla carriera, nel ‘99, che rinnovellò vecchie ferite (molti lo applaudirono, molti lo fischiarono). A Life inizia con la moglie che gli chiede «Why are you mad?», perché sei arrabbiato? Speriamo che la rabbia, col tempo, fosse un po’ sbollita: ma certo Elia Kazan è un uomo che ha fatto della propria vita una lotta incessante, e che non si è mai perdonato di aver lottato, a volte, in modo scorretto.

LUIGI PAINI
Il Sole-24 Ore

Era consapevole dei suoi limiti, forse troppo severo con se stesso: «Non ho una vasta gamma, non vado bene con la musica, i classici sono oltre la mia portata ... sono un mediocre regista, tranne quando una piece teatrale o un film tocca una parte delle mia esperienza di vita», diceva Elia Kazan. Ma, aggiungeva, «ho coraggio, qualche volta anche un pò di temerarietà. Sono capace di parlare agli attori, di farli lavorare al meglio». E, come regista, Kazan ha scoperto o lanciato attori quali Marlon Brando, James Dean, Jack Palance. Warren Beatty, Lee Remick, Jo Van Fleet. Sette dei film di Kazan - ricorda il New York Times nel suo sito Internet - hanno conquistato in totale, nelle diverse categorie, 20 premi Oscar. Lui personalmente ne ha vinti due per la regia, con Barriera invisibile (1947) e'Fronte del porto (1954), più uno alla carriera, nel 1999. Fronte del porto ha ottenuto in totale otto statuette. Con attori e attrici Kazan ha avuto talora rapporti intensi e profondi. Ben nota è la sua relazione amorosa con Marilyn Monroe, cominciata prima che l'attrice conoscesse Arthur Miller. In una sua autobiografia, il regista racconta che una notte la Monroe lo raggiunse nella sua stanza di albergo e gli disse che stava per sposarsi. Kazan pensò che il fortunato fosse il drammaturgo, ma lei gli comunicò che si trattava invece di Joe DiMaggio. Dopo l'annuncio, i due trascorsero comunque la notte insieme. Kazan curò poi la regia, al Lincoln Center, di Dopo la caduta, il dramma di Miller ispirato al suo difficile matrimonio con l'attrice. Il personaggio della Monroe era interpretato da Barbara Loden, che sarebbe diventata la seconda moglie do Kazan. E di mogli il regista di origine greca emigrato con la famiglia negli Stati Uniti all'età di 4 anni, ne ha avute tre: Molly Day Thacher, una sceneggiatrice, sposata nel 1932 e morta nel 1963; la Loden, appunto, sposata nel 1967 e morta nel 1980; e Frances Rudge, sposata nel 1982. Dalla prima ha avuto quattro figli - due maschi (uno dei quali morto) e due femmine - che a loro volta gli hanno dato sei nipoti e due pronipoti; dalla Loden ha avuto un figlio, Leo. Gli sopravvivono inoltre tre figliastri; uno di un precedente matrimonio della Loden, due di precedenti unioni di Frances Rudge. L'ufficio di Kazan a Manhattan era pieno di foto dei suoi familiari e amici intimi. «Farei a cambio solo se qualcuno mi offrisse di sostituirle con un Picasso esteso da una parete all'altra. Le fotografie delle persone della mia vita mi riempiono di ricordi e emozioni», diceva.

SILVIO DANESE
Quotidiano.net

Elia Kazan, figlio di un venditore di tappeti greco emigrato in America, è il regista che chiese a un certo Brando di fare a pugni a sangue al porto di New York e poi salire in soffitta a occuparsi degli uccellini dell’adolescente Eva Marie Saint. Era il 1947. Su Fronte del porto piovverò sette Oscar e un Leone d’oro. Inventando, con lo sceneggiatore Budd Schuiberg, un selvaggio gentile e coraggioso destinato alla sconfitta degli eroi maledetti, Kazan lanciò Marion Brando al cinema, il giovanotto scontroso e irrequieto a cui aveva affidato la parte dello stupratore in cannottiera nella versione teatrale di Un tram che si chiama desiderio, diretto al cinema quattro anni dopo. Cineasta di denuncia sociale dei cinema americano dei dopoguerra, straordinario ottimizzatore dei genere noir in chiave di critica sociale, tra Dassin e Dmytryck: ma così, oggi, la sua opera finisce per sembrare un po’ morta. E invece, nella esperienza di Kazan c’è un pezzo di storia dell’arte cinematografica americana. Storia dell’arte perché nell’idea un artigianato (invenzione, cura, ricerca e fabbricazione) è incominciata l’avventura di Kazan nello spettacolo ed è continuata sui grandi palcoscenici di Broadway come nell’industria hollywoodiana, con successi internazionali di critica e di pubblico a volte impressionante. Della ventina dì film diretti in trent’anni, tra il 1945 e il 1976, dall’esordio con Un albero cresce a Brooklyn (un melò familìare) a Gli ultimi fuochi (ispirato al tycoon Irvin Thalberg, dal romanzo incompiuto di Fitzgerald), sette hanno conquistato, nelle diverse categorie, 20 premi Oscar. Kazan ne ha vinti tre, due per la regia di Barriera invisibile e Fronte dei porto e uno alla carriera, nel 1999.

EMANUELA MARTINI
Film TV

Venti Oscar, una ventina di film, una decina di libri tra romanzi e autobiografie, una miriade di allestimenti teatrali che tra gli anni Quaranta e Cinquanta fecero epoca, la paternità di quella che è stata la più famosa scuola di recitazione del XX secolo, l’Actors Stadio, che fondò nel 1947 insieme a Lee Strasberg. Una vita artistica e creativa ricchissima, quella di Elia Kazan. Kazan era greco, veniva dall’Anatolia, che ricorderà in un suo romanzo, Il ribelle dell’Anatolia, dal quale nel 1963 trasse un film molto bello, America, America. Da bambino era appartenuto a una minoranza in Turchia e si sarebbe ritrovato “alieno” nel melting pot newyorkese: lavorava come sguattero per pagarsi la scuola, assimilava, e “studiava da americano”. E dell’America si innamorò. Pur simpatizzando per le rivendicazioni - ma non per i metodi - del partito comunista (del quale fu membro per un anno e mezzo), pur riconoscendo le trappole sociali ed economiche del Sogno (che sviscerò con sottigliezza nei suoi film migliori), continuò ad amare il Paese che aveva permesso la realizzazione del sogno del piccolo immigrato greco. Arrivò al puntò di tradire. La storia è nota: nel 1952, messo sotto pressione dalla Commissione per le attività antiamericane del senatore McCarthy, Elia Kazan confessò di essere stato comunista e, quel che è peggio, fece i nomi di altri aderenti alla sinistra. L’episodio segnò tutta la sua vita. Non è una forzatura riconoscere in tutti i suoi film successivi l’ossessione del tradimento, l’ombra del senso di colpa che si allunga a oscurare le scelte dei personaggi, il bisogno, talvolta, di una giustificazione ideale, soprattutto a partire dal trionfale Fronte del porto, che nel 1954 gli fece vincere otto Oscar e che resta un’impressionante sintesi isterica di autodifesa e autoaccusa. Forse questo tormento gli fece bene, lo costrinse a scavare ancora più a fondo nella mente, nei cuore e nelle ossessioni dei suoi protagonisti, nel suo straordinario lavoro con gli attori (gli devono molto, a volte tutto, Montgomery Clift, Marlon Brando, James Dean, Carrol Baker, Paul Newman, Warren Beatty, Natalie Wood, Karl Malden, Ed Wallach, Shelley Winters, fino a più recenti esponenti del “metodo” come De Niro, Pacino, Hofflnan), nelle insidie e nelle contraddizioni della giovinezza. Elia Kazan è stato l’autore del sogno che si scontra con la realtà. In quel cinema in bilico tra il conformismo degli anni 50 e la ribellione degli anni 60, quando Hollywood non si riconosceva più e stava cambiando senza saperlo, Kazan ha saputo cogliere i furori inarticolati di Brando e i singulti acuti di James Dean, la sensualità ingenua di Carrol Baker e quella antichissima di Natalie Wood, i loro gesti senza parole, la loro sofferta inadeguatezza, il rifiuto incapace di incarnarsi in qualsiasi causa. Uno dei suoi film più belli è la storia struggente dell’amore di due adolescenti, bloccato dai perbenismi delle rispettive famiglie, e poi incancrenito, sfiorito, sempre rimpianto: Splendore nell’erba, del 1961, non solo uno. dei trait d’union ideali tra la Hollywood classica e quella che comincerà a fiorire negli anni Settanta, non solo un capolavoro del moderno melodramma, ma forse anche la storia (autobiografica?) dell’innocenza perduta, della rinuncia dolorosa, e per sempre frustrante, al sogno di un assoluto.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Figlio di un mercante greco di tappeti, arriva in USA a quattro anni. Studia a New York, si diploma al Williams College, trova lavoro al Group Theater e rivela un talento eccezionale. Sarà presto regista, fonderà nel 1948 l’Actor's Studio con Strasberg e Crawford, dopo aver diretto il suo primo, patetico film ( Un albero cresce a Brooklyn, 1945), iniziando una carriera cinematografica ricca di successi che si affiancherà a quella, altrettanto fortunata, del teatro. Americano, progressista, combattivo, rimarrà sempre con il cuore legato a una patria e a una cultura che non conosce se non attraverso suo padre. E il conflitto agirà sempre, dentro e fuori di lui.

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