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Rassegna stampa di Quentin Tarantino

Quentin Tarantino è un attore statunitense, regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, fotografo, è nato il 27 marzo 1963 a Knoxville, Tennessee (USA). Quentin Tarantino ha oggi 61 anni ed è del segno zodiacale Ariete.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Avvertimento per chi si è commosso vedendo Kill Bili 2 terminare con le iniziali Q e U, tanto grandi da invadere l'intero schermo: Quentin e Uma sono certo la decisiva coppia regista-protagonista ma al Festival di Cannes Tarantino s'è presentato a fianco di Sofia Coppola, la regista di Lost in Translation figlia di Francis Ford Coppola, una volta tanto vestita benissimo. Si comportavano come una coppia innamorata.

IRENE BIGNARDI
La Repubblica

È il nuovo Welles o è un fenomeno destinato a sgonfiarsi? Un autore destinato a durare o un ragazzo troppo brillante che ha sparato le sue cartucce di regista in due film: Le iene - Cani da rapina (1992) e Pulp Fiction (1994), per poi arrivare con il flato corto agli appuntamenti successivi - il quarto episodio di Four Rooms - già diventato la maniera di se stesso?
Tarantino. Il ragazzo semiautodidatta cresciuto a proteine e video. Il cinefilo del cinema pulp (ma anche colui che si vanta di aver lanciato dal suo videostore un regista come Eric Rohmer). Il geniale inventore di storie postmoderne che riciclano e reinventano la tradizione del noir, innestandovi elementi e ispirazioni classici che sembrerebbero lontanissimi da lui, come il dramma elisabettiano che Le iene finisce per essere. L’autore del più sorprendente successo del decennio di fine millennio (e non si parla solo delle qualità di invenzione ma anche dei cento milioni di dollari conquistati sul campo da Pulp Fiction). Il ragazzaccio che fa incetta di nomination e vince l’Oscar per la miglior sceneggiatura (per tacere della Palma d’oro di Cannes e di qualche altra decina di premi). Il regista che è stato definito dai suoi angeli custodi televisivi - il duo Ebert e Siskel - “uno spartiacque” e, se non bastasse, “la new wave di un sol uomo”. L’attore spesso divertente e qualche volta insopportabile di tanti cammei in film suoi, quasi suoi e degli amici:indimenticabile la sua rilettura di Top Gun in chiave omosessuale in un filmetto peraltro assai scemo come Il tuo amico nel mio letto (1994) di Rory Kelly. Lo sceneggiatore per gli altri: Una vita al massimo (1993), diretto da Tony Scott e Assassini nati (1994) di Oliver Stone. Lo sceneggiatore che raspa in fondo ai cassetti e fa realizzare con risultati disperanti la sua prima e demenziale sceneggiatura(From Dusk to Dawn). Il produttore - sotto l’etichetta A Band à Part Productions - di Killing Zoe (1993) di Roger Avary. La cartina di tornasole dell’atteggiamento della critica (almeno secondo certa critica...), indispensabile per distinguere, a seconda del livello di gradimento, i “vecchiottisti” dai “giovanottisti”. Il protagonista di un culto acritico che sta già portando a un’altrettanto acritica ondata di riflusso e di rifiuto (si veda l’esortazione a fermarsi per un po’ rivoltagli da Karyn James dalle pagine del “New York Times” e l’autorevole invito a smetterla di recitare lanciato dallo schermo tv del solito duo Ebert e Siskel). Il regista per la tv (l’episodio di E.R. Medici in prima linea). Il regista che si concede, a trent’anni e dopo due film, un’autobiografia...

MARCO CICALA
Il Venerdì di Repubblica

No: Knoxville, Tennessee, il posto dov'è nato quarant'anni fa, non ha niente a che vedere con Fort Knox (che è nel Kentucky) però Quentin Jerome Tarantino ha lo stesso fama di uno che trasforma in oro tutto quel che tocca. Uno che i sogni nel cassetto, prima o poi, riesce sempre a realizzarli. Compreso lo sconcertante Kill Bill, che sembra gli frullasse in testa dall'adolescenza quando una mamma liberal e un po' fricchettona lo lasciava guardare film-spazzatura di kung fu e mafie gialle. Trovatene un altro - dicono i suoi tifosi - che a soli trent'anni non solo vince una Palma d'oro e un Oscar ma diventa pure un cult e con una gallina dalle uova d'oro intitolata Pulp Fiction potrebbe vivere di rendita finché campa. San Quentin dei miracoli che cento ne pensa (pubblicità, videoclip, telefilm...) e una ne fa, magari mettendoci sei anni come nel caso di Kill Bill. Sei anni di riflessione e silenzio durante i quali, talentuoso e furbacchione qual è, ha fatto montare la curiosità dei fan fino al punto di fusione. Ma anche sei anni in cui chi non lo ama l'ha dato di nuovo per finito, kaputt. Era già successo nel 1995 all'uscita dell'inclassificabile Four Rooms, film di cui firmò un episodio con Bruce Willis che disorientò gli aficionados. Almeno come Jackie Brown, due anni dopo, forse troppo raffinato per sfamare la massa di quei tarantiniani ingordi che al loro idolo chiedono solo teste esplose, freddure da rivendersi in panineria. Tarantino esalta e divide perché con quella faccia da vitellone americano è un baciato dalla fortuna senza complessi di colpa. Uno che nel 1994, durante la premiazione a Cannes, rideva sguaiato e alzava il dito contro chi fischiava il suo trionfo. Uno che nelle interviste continua a dire: “Mi considero davvero bravo”. Tarantino è l'esemplare di un'America felix lontana dai tormenti anni 70 di Coppola e Scorsese (a cui viene spesso avvicinato) ma beneficiaria delle conquiste ottenute all'epoca.

AGNèS C. POIRIER
L'Espresso

Il regista cult si racconta. I maestri. Gli autori e gli attori preferiti. Il suo metodo di lavoro. La sua mania di perfezione.
Quentin Tarantino ha un passo dinoccolato da adolescente di 46 anni. Regista che non assomiglia a nessun altro suo collega, è anche unico per il suo essere un vero cinefilo. Nei grandi e piccoli festival, quando li frequenta, nelle città in cui fa sosta, entra nella sala, si mette nell'ultima fila, mescolandosi con il pubblico normale. Tarantino è sempre impaziente di vedere film altrui. Pierre Rissient, il re non incoronato del cinema mondiale, uno degli scopritori del regista, ritiene che il successo e la celebrità ormai planetarie non l'abbiano cambiato: «t restate lo stesso, in tutti questi anni. È schietto e spontaneo, e queste sono le sue qualità principali. Il pubblico lo percepisce e lo considera come uno dei suoi. Non ha quell'aria snob di alcuni registi». Tarantino è stato proclamato l'enfant terrible del cinema americano dopo lo shock del 1992 con "Le iene". Due anni dopo con "Pulp Fiction" è entrato nella leggenda. Sono seguiti i due "Kilt Bill" e ora, ad autunno, in Italia potremo vedere "Inglorious Basterds". Lui, la sua passione la racconta così: «Da bambino ero l'unico della mia classe ad andare a vedere film che nessuno dei miei coetanei si prendeva la briga di guardare. Di conseguenza non potevo condividere con nessuno la mia cinefilia. Quando più avanti, a festival del cinema più o meno famosi, ho incontrato appassionati come me, attaccavo bottone con loro e non smettevo mai di parlare, per ore intere». Tarantino ama anche questa sensazione particolare: sentirsi in sintonia con centinaia di sconosciuti, una sensazione che si prova soltanto al buio della sala. Quando lo si incontra si deve parlare di cinema. Di che altro vorrebbe mai parlare? La domanda gli sembra del tutto incongrua. E poi, dice: «Del resto anche "Inglorious Basterds" mostra come il potere del cinema può cambiare il corso della storia». La pellicola racconta di un commando di

ARIANNA FINOS
Il Venerdì di Repubblica

Bastardi senza gloria, revisione alla sua maniera del nazismo, è campione di incassi in America. Alla vigilia dell'uscita in Italia, il regista racconta una lavorazione lunga e piena di dubbi. Perché «i film devono essere come dico io». Altrimenti? «Smetto».
«È italiana. Le è piaciuto Brad Pitt in versione Enzo Girolami». Senza aspettare risposta (Enzo Girolami Castellari è il regista del film italiano a cui si è ispirato), Quentin Tarantino si lancia in una lunga e sussultante risata che riproporrà più volte durante l'incontro. È sovraeccitato, felice. Dopo la trionfale accoglienza al Festival di Cannes, il suo Bastardi senza gloria ha conquistato, due settimane fa, il pubblico delle sale americane, incassando 37,6 milioni di dollari nei primi settegiorni,dieci in più rispetto alle previsioni, oltre la metà del costo del film. Merito, in parte, proprio di Brad Pitt, che nel filai è Aldo Raine, capo di un gruppo di soldati ebreo-americani inviati nella Francia occupala a seminare il terrore tra le fila naziste, tra teste scalpale o spaccate con la mazza da baseball e svastiche incise sulla fronte dei sopravvissuti. In questo film lungo due ore e mezzo, diviso in cinque capitoli (in sala dal 2 ottobre), c'è non solo l'omaggio al cinema di genere bellico, ma anche l'ambizione di riscrivere la storia: in Bastardi senza gloriaAdolf Hitler e i capi del Terzo Reich vengono sterminali dentro un cinema della Parigi occupata durante la premiere di un film di propaganda nazista. Un colpo di scena che ha suscitato reazioni contraddittorie, e attacchi in Israele.

EDOARDO BRUNO

Nel campo semantico Quentin Tarantino procede verso una astrazione di pensiero che muove nel doppio meccanismo di una diegesi fortemente allusiva, che sussume i rituali della messa in scena degli interstizi e della forma, nella violenza incruenta dei combattimenti zengakuren e nella violenza cruenta della metropoli di oggi.
Dietro l'apparente geometria dell'immagine e l'intricato impiego dei geroglifici di Kill Bill vol. I nella serie infinita di rimandi, dove il suono, il colore, la violenza esasperata rovesciano la prospettiva narrativa, la catena ininterrotta di significati e di significanti evidenzia la forza di volontà e il dolore, la 'costruzione' di una donna, intesa come figura, come l'elemento primario che evoca il fuoco. Non è un'associazione qualunque, donna e fuoco, per Tarantino appartengono a un unico mito, sono insieme vita e morte come la protagonista (sempre Uma Thurman) di Pulp fiction che ancora una volta, 'muore' e risorge, in un cinema tutto addensato sull'immagine, segnato da scatti espressivi improvvisi. Il fuoco è bellezza e mistero, il lampo di una accensione, la forza di un dinamismo che trasforma l'inerzia in movimento, metamorfosi slabbrata nelle mille posture evocate, nel distendersi degli episodi, in una determinazione a non lasciarsi sopraffare, che domina la ragione. Un fuoco interiore che dà vibrazione e vince la stasi, la morte apparente, in un transfert che risolve la volontà in movimento. Simbolo che richiama antiche saghe, fuoco rapito agli dei, ragione e condanna di un orgoglio umano che muove dal dolore struggente di un corpo violato e di una vita, forse, negata (quella mano che scopre l'ombelico per indicare il figlio sottratto... ), di una sofferenza che resta 'invendicata'.

News

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«Caro Quentin, ti chiedo di gestire il tuo grande talento, di contenerlo applicandoti a un film di Hitchcock». Di Pino...
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