Nato nel 1926 e laureatosi in teologia alla Temple University, Yeaworth cominciò il suo rapporto con la macchina da presa firmando la regia di alcuni mediometraggi dal carattere educativo rivolti perlopiù ai giovani. Nel suo primo film per le sale The Flaming Teen-age (1956) raccontò gli effetti letali della grande città sulla vita di un giovane, sedotto da donne fatali, alcool e droga.
Blob (1956) apre la parentesi fantascientifica dell'autore, proseguita nel '59 con 4D-Man, storia di due fratelli scienziati che scoprono come sconfinare nel reame meta-atomico della quarta dimensione, dapprima attraversando superfici solide, poi andando indietro nel tempo. Uno di essi scoprirà infine come succhiare l'energia vitale dei viventi per sublimarsi in immortale, ma verrà fermato dal fratello buono. È Dinosaurs! (1960) il suo ultimo lavoro di science-fiction, epopea catastrofica in cui i dinosauri si risvegliano negli abissi. L'ecatombe definitiva del genere umano viene sventata dall'intervento di un orfano e di un eroico uomo di Neanderthal scongelatosi insieme alle bestie giganti. Con Way Out del `67 Yeaworth torna alle storie di droghe e sempre nello stesso anno dirige Gospel Blimp, in cui racconta le disavventure di due uomini con la missione di evangelizzare il proprio paese con la musica. La colonna sonora è firmata dal regista, compositore di musica religiosa.
Sebbene Blob sia stato un film poco amato dal suo autore (così dice la moglie) è comunque il suo film più famoso, tanto da essere proiettata ogni anno a Phoenixville durante un «Blob Fest». Ne sono stati fatti due remake: Beware the Blob nel `72, che porta la bizzarra firma di Larry Hagman, il villain Jr con il cappello da cowboy di Dallas, e una versione anni `80, film soft-splatter di Chuck Russell.
La non-forma di mostro del blob, negazione aliena di ogni umanità, è divenuta l'estrema rappresentazione del terrore «dallo spazio profondo», ben oltre quella elegante e ributtante insieme dell'alieno di Giger, riconoscibile e quindi rassicurante nella sua animalità insettiforme. Il fluido rosso-verdaceo e colloso, affamato di carne, il brulicante ammasso di gelatina corrosiva che succhia e cresce, nel tentativo patetico di darsi una forma nutrendosi di quella altrui, rappresenta ad arte la visione, un po’medievale, della mostruosità dell'ignoto oltreumano. Divenendo sempre più abnorme, nella sua totale asimmetria di gigantesca caramella marcia sputata per terra da una bocca disgustata e sciolta dal sole in un bolo appiccicoso, la creatura minaccia e spaventa soprattutto per la sua mancanza di limite, per la sua voracità sconfinata che la rende potenzialmente infinita, un perfido dio bulimico.
Yeahworth riuscì a donare una personalità tragica alla «cosa senza nome». L’«it» del regista possiede una sua aura tragica di esule e, quando entra al cinema nella scena più nota della pellicola, emerge il suo struggente desiderio di essere come gli altri, sempre frustrato da un metabolismo nutritivo omicida che lo rende assassino a priori, una specie di senziente gel liquido antibatterico che, spruzzato su una superficie infestata di parassiti, ambisca a cambiare la sua funzione con quella dell'oggetto su cui si posa ma, inevitabilmente, massacra i batteri prigioniero del suo destino di uccisore. Non è così diverso il pathos del Blob di Yeahworth da quello del King Kong del `33. Salvo che nelle forme della scimmia ci si identifica, e si prova empatia per il mega-primate, mentre in quelle dell'alieno ci si annulla, rabbrividendo confusi, con perdita di ogni coordinata antropomorfa. In Italia Blob ha raggiunto l'apice della popolarità come icona di uno dei programmi più popolari della storia della nostra tv.
Da Il Manifesto, 30 luglio 2004