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Rassegna stampa di Derek Jarman

Derek Jarman è un attore inglese, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, scenografo, è nato il 31 gennaio 1942 a Londra (Gran Bretagna) ed è morto il 19 febbraio 1994 all'età di 52 anni a Londra (Gran Bretagna).

DENNIS LIM
The New York Times

WITH each passing year the British artist and iconoclast Derek Jarman seems at once more important and more marginal. His place in history as a pioneering gay filmmaker is secure, but his work remains little seen, and the spirit in which it was made seems further away than ever.
Mr. Jarman died of complications from AIDS in 1994, at 52, and perhaps the time is ripe for reappraisal. “Derek,” a documentary tribute by Isaac Julien that had its premiere at the Sundance Film Festival in January, will screen at the Museum of Modern Art in New York from June 9 through 16. On June 24 Zeitgeist Films, the distributor that helped introduce Mr. Jarman to American audiences, is releasing “Glitterbox,” a DVD set that represents a cross section of his films: the neo-Brechtian biopics “Caravaggio” (1986) and “Wittgenstein” (1993); the homoerotic reverie “The Angelic Conversation” (1985); and his monochrome valediction, “Blue” (1993), as moving an epitaph as any artist has ever composed for himself.
Mr. Julien's “Derek” combines clips from Mr. Jarman's movies, excerpts from a 1990 interview and a ruminative voice-over by Tilda Swinton, who also served as executive producer. In an e-mail message, Ms. Swinton, a frequent collaborator of Mr. Jarman's whose first film role was in “Caravaggio,” said the documentary had been prompted in part by the blank looks she received when talking about him to aspiring filmmakers.

EMANUELA MARTINI
Film TV

Il suo cinema (per non parlare dei suoi video e dei suoi dipinti) in Italia è stato più “chiacchierato” che visto; solo quattro dei suoi film hanno avuto una distribuzione “regolare” e alquanto fuggevole (Sebastiane, Caravaggio, Edoardo II e Wittgenstein), spesso penalizzati da una doppia ambiguità: da una parte relegati nella nicchia dei “cinema omosessuale” (e perciò scandaloso, estremo, ossessionato), dall’altra in sospetto di formalismo-decadentismo “all british” (e perciò ultraraffinato, esangue, ricercato). In realtà, se dovessimo accostare Jarman a un altro degli autori che con lui parteciparono al fuoco di paglia della “rinascita” dei cinema inglese anni 80, ci verrebbe in mente più Terence Davies che Peter Greenaway; perché Jarman era tutt’altro che gelido e “compilativo” e perché, per quanto coltissimo e incline a dimostrano nei suoi film, si rivolgeva di più alle radici popolari della sua cultura che non alle suggestioni alte. Non per niente, il regista del passato che amava di più era Michael Powell; e si sentì sempre un po’ in colpa per essere riuscito a realizzare - molto prima di Prospero’s Books di Greenaway, nel 1979 - quella Tempesta shakespeariana che per più di vent’anni era stato il progetto accarezzato e mai concretizzato da Powell. Jarman era cioè un visionario autentico, all’interno di un cinema che ha avuto storicamente Un atteggiamento contraddittorio nei confronti della libertà visionaria; ed era, come ha scritto David Robinson in un saggio del 1990, «un ribelle, in una nazione di endemico conformismo». I suoi film sono anche esplicite dichiarazioni di poetica omosessuale, ma non solo: sono soprattutto atti di libertà, di sfida e di dolore che ci riguardano tutti. Parlano di un mondo che i rifiuti, la televisione, il conformismo e la violenza hanno deturpato, di un giardino avvizzito (il giardinaggio fu una delle sue grandi passioni, soprattutto nell’ultima parte della sua vita), della possibilità di essere felici, del passato, della memoria, del rimpianto per la cultura che scompare. In questo senso, il suo testamento non è soltanto Blue (l’ultimo, ipnotico schermo blu sul quale le voci di Jarman e altri amici e complici fissano lo straziante senso di una vita che finisce), ma anche The Last of England, una bellissima ricognizione del 1987 su quel che resta dell’Inghilterra, dove un gruppo di esuli alla fine si allontana dal paese «felice di abbandonare l’Inghilterra, ma guardandosi indietro con le lacrime agli occhi». Allora c’erano le Falklands, la droga, le discariche a cielo aperto, la violenza urbana. The Last of England fa parte del nostro presente. in questi mesi se ne presenterà l’occasione: se potete recuperate i film di questo poeta eccentrico, orgoglioso e malinconico.

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