Bellissima, di una bellezza inquietante e raffinata. Ines Isabella Sampietro fa la commessa in un negozio di guanti, la dattilografa e la modella per i pittori. Studia all’Accademia filodrammatica ed entra in teatro nella compagnia di Memo Benassi. Blasetti la fa debuttare al cinema nel Caso Haller (1933), accanto a Marta Abba e allo stesso Benassi che sul set recitava come fosse in palcoscenico. L’anno dopo è la svolta: Max Ophuls la sceglie tra duemila ragazze come protagonista di La signora di tutti. Diventa Isa Miranda, donna che tutti possono ammirare. Ophuls viene chiamato a Milano dall’editore e produttore Emilio Rizzoli che ha pubblicato a puntate il romanzo di Salvator Gotta da cui il film è tratto. Quella specie di feuilleton attrae Ophuls che già ama portare sullo schermo vite e corpi, desideri e illusioni, passioni e sventure. Gaby Doriot, diva del cinema, si taglia le vene nel suo camerino. Sotto i ferri e sotto anestesia ricorda, molto ophulsianamente, i suoi amori e la sua infelicità. A sedici anni viene espulsa dal collegio e un professore disperato si uccide per amor suo. Gaby si innamora di Roberto, giovane ricco con madre paralitica sposata con Leonardo, il perfido Benassi, che insidia Gaby. La signora, posseduta dalla gelosia, si lancia con fuga espressionista sulla sedia a rotelle giù per le scale e muore. Gaby vive con Leonardo, si perde in allucinazioni, lui finisce in galera per affari sporchi nell’azienda di famiglia. Passano gli anni, lei diventa una diva: alla prima del film, il povero dochard Leonardo cerca di entrare al cinema, lo cacciano, un’automobile lo travolge. Lei vorrebbe riconquistare l’amore del giovane Roberto, tutto è inutile e si taglia le vene.
Finisce l’operazione. Gaby è morta.
Il film, percorso da un romanticismo melodrammatico, disperato e stupefatto come succede in Ophuls, segna la carriera di Isa Miranda, sbigottita e attonita preda del fato, come si scrisse allora. Eccola, l’ophulsiana donna dello spettacolo, corpo da ammirare e guardare.
Gira il melodramma sentimentale Come le foglie di Mario Camerini (1935), il film d’emigranti Passaporto rosso di Guido Bngnone, il pirandelliano Il fu Mattia Pascal di Pierre Chenal e il magnioquente Scipione l’Africano di Carmine Gallone. Parte per l’America, chiamata dalla Paramount: a Hollywood resta soltanto per due film minori, lo spionistico Hotel Imperial di Robert Florey e l’avventuroso La signora dei diamanti di George Fitzmaunice. Torna in Italia e recita in due bei ruoli, negli anni della guerra. È Marina nel crepuscolare Malombra di Mario Soldati, da Fogazzaro. Fa la sciantosa nel secondo film di Renato Castellani, Zazà, calligrafido sì, ma anche caldo grazie alla presenza dell’attrice che interpreta un’altra donna presa da una passione impossibile e votata all’insoddisfazione e alla solitudine (si dà, riamata, a un ingegnere parigino e scopre che è sposato).
Vince a Cannes, nel 1949, il premio per l’interpretazione femminile con Le mura di Malapaga di René Clément, accanto a Jean Gabin. Ophuls non si dimentica di lei. La vuole per quello stupendo meccanismo di mascheramento erotico, circolare e voyeuristico che è La Ronde (1950).
Isa Miranda è Charlotte, attrice amata tra baci e schiaffi da un poeta, Jean-Louis Barrault, attrice che ama a sua volta un conte, Gérard Philipe, che non vuole fare l’amore di mattina. Lei gli fa cambiare parere e il conduttore della giostra e del gioco, Anton Walbroock, in sala di montaggio, taglia la pellicola canticchiando «censura, censura»...
Nel 1953, nel quarto episodio del zavattiniano Siamo donne, diretto da Luigi Zampa, interpreta se stessa e confessa di aver sacrificato la maternità alla sua carriera di attrice. Recita nel film d’esordio di Francesco Maselli, Gli sbandati (1955), torna al teatro, scrive poesie, è la contessa Stein, anziana cliente dell’albergo nel Portiere di notte di Liliana Cavani (1974). Muore a Roma nel 1982. Dimenticata. Come un personaggio di Ophuls.
Da Film Tv, n. 27, 2005