Figlia d'arte - i suoi genitori erano attori dialettali siciliani - la giovane Pina Menichelli, dopo sei mesi di esperienze teatrali che non erano andate al di là di apparizioni sul palcoscenico per dire: «Il pranzo è servito», decide di dedicarsi al cinema.
Le porte della Cines si spalancano di fronte a questa bionda bellezza mediterranea che dal gennaio del 1913 a tutto il 1914, senza concedersi un attimo di riposo, interpreta da comprimaria o da protagonista una quarantina di film: Nino Oxilia la affianca a Ruggero Ruggeri in un epico film di guerra, Il sottomarino n.27 e in Papà, tratto da una commedia di De Flers e Caillavet; ancora con Ruggeri, ma stavolta è Genina a dirigerla, è Lulù, da Bertolazzi. Genina la utilizza ancora ne Il grido dell'innocenza e in Giovinezza che trionfa!, poi ne fa l'allucinata protagonista dei tenebrosi Misteri del castello di Monroe; Baldassarre Negroni la trasforma in una rubamariti in Zuma. Nino Martoglio la sceglie per il suo Romanzo, mentre Guazzoni, dopo il delicato Alma Mater, le riserva nel Cajus Julius Caesar la parte di Cleopatra, che in sede di montaggio verrà del tutto eliminata. Spicca tra questi titoli Scuola d'eroi, sempre di Guazzoni, un soggetto napoleonico dove la Menichelli è protagonista, nei panni di una tamburina che si immola per la patria. Ed è a questo punto che entra in scena Giovanni Pastrone; il patròn della torinese Itala racconta una storia, a proposito della Menichelli, che se certamente non è vera, dimostra però con evidenza come l'astuto «vigilatore di esecuzioni» abbia saputo anticipare formule dello star-system hollywoodiano di molti anni dopo: «Stavo osservando un po' insonnolito, una sera, nella sede torinese della Itala, la produzione dei concorrenti. Ad un tratto, in una pellicola napoleonica della Cines, qualcosa mi sorprese: una tamburina che, impavida, picchiava sul tamburo, guardando con fissità, contro le regole, nell'occhio di vetro della macchina da presa. Era poco più di una generica. Fermai la produzione, tagliai il fotogramma e lo inviai al mio corrispondente di Roma, con l'ordine di portarmi al più presto la sconosciuta». Proprio sconosciuta, poco più che generica, non poteva certo dirsi questa tamburina: Pina Menichelli era da tempo sulle copertine delle riviste cinematografiche e di Scuola d'eroi era la protagonista, presente continuamente negli oltre duemila metri del film. Comunque, a parte la dichiarazione di Pastrone, il passaggio alla Itala sarà per la Menichelli la sua vera «avventura cinematografica», quella che farà di lei, nel bene e nel male, uno dei personaggi-chiave del cinema muto italiano.
Primo film con la Itala, regia di Pastrone, è Il fuoco (1915) che, pur non essendo la riduzione dell'omonimo romanzo di D'Annunzio, certo non è immemore della lezione del Vate di Pescara. Un bizzarro castello è lo sfondo di questa arcana vicenda d'amore tra una enigmatica poetessa (Menichelli) e un.giovane pittore (Febo Mari): la passione tra i due, secondo il copione che è dello stesso Mari, si accende da una semplice «scintilla», si esalta nella «vampa» e si spegne poi, lasciando solo «cenere». Il fuoco è opera simbolica e affascinante, surreale e delirante, modello spesso imitato ma mai eguagliato di mirabile ghirigoro in stile liberty. Subito dopo, Pina Menichelli è la Tigre reale (1916), dal racconto di Giovanni Verga, un altro pannello floreale non sempre felicemente risolto, ma anch'esso col suo innegabile fascino.
«Con la sua silhouette attorta, avvitata, ogivale, i suoi repentini sorrisi e i suoi orgogli retrattili, la sua mondanità dissipata e all'epilogo, la sua febbricitante brama di vivere, la Menichelli domina il film da cima a fondo». Così si esprime Francesco Savio, mentre, a proposito di un altro suo film, La storia di una donna (1920), il recensore del londinese «Bioscope» si esprime così: «The heroine, played with passionate sincerity by the beautiful Pina Menichelli, is no mere lay figure of high-coloured romance, but an absolutely real character whose psychology, subtly composed of good and evil tendencies, is delineate with logical accuracy».
E così, tra un Padrone delle ferriere (1919) e una Seconda moglie (1922), un Romanzo di un giovane povero (1920) ed una Donna e l'uomo (1923), girato quasi tutto in Gran Bretagna, si giunge al 1923, l'anno in cui, stanca di rappresentare sempre lo stesso personaggio dal petto in sussulto, gli occhi rapinosi, le labbra riarse, l'attrice decide di passare ad un altro ruolo. L'occasione gliela offrono due pochades di Feydeau, La Dame de chez Mazim's e Occupati d'Amelia, dove l'attrice rivela insospettate doti di brio e agilità comica. Dopo questo, il silenzio. La Menichelli si ritirò a Milano e respinse ostinatamente le richieste di chi le chiedeva ancora di recitare sullo schermo, negandosi anche alle apparizioni pubbliche e alle fotografie, così insolentemente bella come era in quell'ormai lontano 1923.
Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.