Clive Owen. Data di nascita 3 ottobre 1964 a Coventry (Gran Bretagna). Clive Owen ha oggi 59 anni ed è del segno zodiacale Bilancia.
Non capita spesso. Il più delle volte, quando si incontra dal vivo un “bello” del cinema o della tv, l'effetto è: tutto qui? Nel caso di Clive Owen l'impressione ravvicinata è invece: molto meglio che sullo schermo. È più alto di quanto ci si aspetti, meno ruvido di lineamenti, ha un modo avvolgente di trattare. Sexy potrebbe essere la definizione giusta. Julia Roberts, che in Closer lo ha visto molto da vicino, preferisce “mozzafiato”. E se lo dice lei...
A questo punto, basterebbe sostituirgli l'abbigliamento casual con uno smoking, la bottiglietta d'acqua con un Martini e diventerebbe un perfetto “agente al servizio di Sua Maestà”. E infatti Owen, premiato con un Golden Globe e candidato all'Oscar (non ha vinto, ma c'è andato vicino) per l'interpretazione in Closer è il più accreditato fra i possibili James Bond dell'era Post Brosnan, in lizza per la parte con il dottor Nip Tuck, Julian McMahon.
Probabilità di aggiudicarsi il personaggio? “Beh, so che si fa il mio nome. Ma credo dipenda soprattutto dalla pubblicità”, minimizza l'interessato. In che senso? “Ho interpretato otto short pubblicitari per la Bmw, diretti da grandi registi del cinema come Ang Lee, John Frankenheimer, John Woo. Si trattava di piccolissimi film d'azione in cui facevo il “pilota misterioso” in una serie di avventure alla guida dell'auto. E quando un attore sta su una macchina veloce, l'associazione con 007 diventa automatica”.
Può darsi. O forse è la scaramanzia di chi, fino a quando non ha incontrato il regista Mike Nichols e il ruolo del dermatologo innamorato della “stupenda, vi assicuro” Julia Roberts, era popolare solamente fra sei milioni di donne inglesi. Che, all'inizio degli anni ‘90, non si perdevano una puntata del telefilm Chancer e della sua simpatica canaglia protagonista, Clive appunto. Ora, invece, con i premi arrivano anche continue proposte di lavoro e l'attore - “il più versatile che abbia mai incontrato”, dice la Roberts - ha un fittissimo carnet d'impegni hollywoodiani.
L'ultima notizia lo vede ingaggiato la prossima primavera dal remake del kolossal catastrofico L'avventura del Poseidon, dove dovrebbe avere la parte che fu di Gene Hackman, il reverendo che tentava di guidare alla salvezza i passeggeri di un trans-atlantico disastrato. Il primo aprile riapparirà intanto sugli schermi americani con Sin City, nei panni di un ex fotografo che accidentalmente uccide un poliziotto. Quindi, il pubblico lo ritroverà a fianco di Jennifer Aniston in quello che il protagonista definisce “un incubo fra Hitchcock e Kafka”: Derailed, storia di come una coincidenza mancata e uno strano incontro in treno possano cambiare la vita di un uomo d'affari e di una donna.
Pensare che fino a poco tempo fa quasi nessuno sapeva chi fosse questo quarantenne, sì “sexy e imprevedibile” (definizione di Mike Nichols, regista di Closer), ma relegato a parti minori, come il professore assasSino di Bourne Identity o il valletto di Gosford Park. Parte, quest'ultima, per la quale egli stesso ha preteso che gli fossero tagliate alcune battute “superflue”, suscitando lo stupore del regista Robert Altman: “In questa professione tutti lottano per avere più spazio sul set. Lui è il primo che mi abbia chiesto di parlare di meno”.
Owen, d'altra parte, ha imparato presto a non fare la primadonna. Da ragazzo, dopo aver recitato in un Oliver Twist teatrale, aveva capito che il palcoscenico sarebbe stata la sua vita. L'insegnante di recitazione gli disse però che avrebbe fatto meglio a lasciar perdere: troppo proletario. È vero: non aveva un buon curriculum familiare. Papà Jess, cantante country, aveva abbandonato la famiglia, moglie e quattro bambini, quando Clive aveva tre anni (padre e figlio si rividero solo sedici armi dopo, per perdersi nuovamente di vista: “È dal 1985 che non ci sentiamo nemmeno”, ammette Jess). Il ragazzino crebbe a Coventry, allevato dalla mamma e dal patrigno ferroviere, con pochi soldi. Ma la gavetta non gli fece male. Tanto che, dopo il primo rifiuto, riuscì a farsi ammettere alla Rada, la famosa Royal Academy of Dramatic Art.
Dopo molto teatro - “uno splendido esercizio, duro e difficile, ma ti serve a mantenerti fresco” - un po' di tv e qualche film, Owen ha ottenuto finalmente il ruolo da protagonista con il kolossal King Arthur film difficile: l'attore non sapeva cavalcare, ma si è rifiutato di usare controfigure, perché “se un altro sa fare una cosa meglio di me, tanto vale che reciti lui”. In realtà, con i cavalli Owen ha un ottimo feeling in altro campo: è nota la sua passione per le scommesse. Un tempo, ricorda, non si poteva permettere di giocare se non cifre minime. Ora che Hollywood glielo consente, non pone più limiti al budget.
Sono altri i limiti che si dà. Uno è professionale: “Nonostante la fortuna che sto avendo a Hollywood, non voglio diventare americano, trasferirmi a Los Angeles”, dice convinto. Perché? “È una città che ti divora l'anima, va bene per il lavoro, ma subito dopo è meglio andarsene. Poi la mia famiglia vive a Londra, li è la mia cultura, lì è la mia storia”. Ecco, la famiglia: è questo l'altro punto fisso. Da quando, alle prime esperienze teatrali molti anni fa, conobbe Sarah-Jane Fenton: lui faceva Romeo, lei era Giulietta. Inevitabile che si innamorassero. Con qualche tempesta (a un certo punto sembrava che la donna avesse intrecciato un nuovo amore con il ben più vecchio attore Richard Harris), superata dieci anni fa dal matrimonio.
Sarah-Jane adesso ha rinunciato a recitare e fa la mamma. Di due figlie, che hanno 7 e 5 anni: Hannah ed Eve. Clive continua la carriera, ma assicura: “Per me è fondamentale stare con le mie bambine, come non ha fatto mio padre con me. Certo, a un figlio un genitore che recita provoca delle inquietudini. Non sa mai se il papà domani sarà lì con lui o se dovrà partire per un set lontano. Io però ce la metto tutta, quando non devo lavorare vado a prendere le bambine a scuola e trascorro ogni minuto libero con loro”. E se un giorno le dicessero che vogliono diventare attrici? “Ne sarei felice: è un mestiere meraviglioso”. Con o senza Oscar.
Da Vanity Fair, 17 Marzo 2005
Siamo nel 2027. È la fine del mondo. Da 19 anni nessuno più nasce, quando gli adulti e i vecchi saranno morti sarà la fine. Conflitti, risse, illegalità, sparatorie. Il salvatore del genere umano, colui che protegge l'unica donna incinta d'Inghilterra ne I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, film sentito e confuso ora nei cinema, sarebbe Clive Owen, con la sua faccia comune e ruvida da eroe per caso. Altrove viene definito «vero uomo» e lodato come nuova bellezza virile, ma non è il caso di esagerare. Clive Owen ha 42 anni, è stato un ragazzo proletario di Coventry, patrigno disoccupato, famiglia non lontana dalla soglia di povertà; fortunato invece con la famiglia propria, l'amata attrice Sarah-Jane Fenton, le loro due bambine. In vent'anni di carriera ha fatto di tutto: serial televisivi, spot pubblicitari della Bmw, grossi film in costume come King Arthur, il bellissimo Inside Man di Spike Lee (nel quale però, da autentico rapinatore, portava sempre maschera e occhiali scuri), film intelligenti e arditi come Gosford Park di Altman o Closer di Mike Nichols. In I figli degli uomini è ricco più di buone intenzioni e ambizioni che d'altro. Adesso lo aspettano un film in costume, The Golden Age e Sin City 2. Nel frattempo è stato promosso eroe o antieroe, «emblema perfetto di una rinata mascolinità». Classificazioni del genere sono sempre un poco abusive e magari azzardate. Clive Owen parrebbe piuttosto un classico attore inglese non di prima fila, di quelli bravi, colti, lavoratori, calmi, ai quali la vanità non ha fatto perdere la testa né la popolarità fa perdere il senso della realtà e l'equilibrio. Non è abbastanza giovane per essere promettente, però è un bell'uomo con occhi profondi e una faccia da combattente, da salvatore e protettore. Sarà questo ad avergli guadagnato il suo titolo di «vero uomo»: da tanto tempo si pensava che il «vero uomo» non esistesse affatto, che le caratteristiche dell'uomo contemporaneo fossero la fragilità, l'irresponsabilità, l'irosità. Evidentemente la situazione generale si è troppo aggravata per non richiedere la necessità di una persona alla quale poter affidare la propria salvezza: e in questo senso Clive Owen va benissimo.
Da Lo Specchio, 25 novembre 2006
CLIVE OWEN'S latest film was directed by that master of moodiness, Wong Kar-wai, and lasts all of 20 seconds. In a commercial for Lancômes new men's fragrance - shown on television outside Britain and the United States but easily found online - he strides down a hall, a suggestive expre5sion on his face, to embrace a beautiful woman. That's it. Yet this stylized minifilm captures some elemental aspects of his career.
There is, obviously, the movie-star handsomeness. But there is also his pattern of working with top directors, and above all his minimalist acting style: so much emotion on his face, so little visible movement. That subtle approach, nuanced so the slightest glance registers with the camera, has shaped his finest, deepest work: in 2004 as a jealous, manipulative doctor in Mike Nichols's "Closer" (he got an Oscar nomination for that), and last year as the disaffected alcoholic who helps save the human race in Alfonso Cuarón's visionary "Children of Men."
And arriving almost back to back, his two new full-length films create a moment that highlights his immense versatility.
"Shoot'Em Up" (opening Friday) begins with an image found in several of his movies, as well as the Lancôme spot: an extreme close-up of his eyes, shrewdly hinting at surprises to come. Here the camera pulls back and reveals him to be a rumpled guy sitting on a bench munching a carrot, which he soon uses as a lethal weapon, stabbing a villain through the throat. And if a cartoonish action movie can find a way to exploit his looks, how much easier for "Elizabeth: The Golden Age" (opening Oct. 12), in which he plays a seductive Walter Raleigh opposite Cate Blanchett as the middle-aged Elizabeth 1. Wrenching a line furiously out of context, the film's trailer has her take one look at him and say, "Well, well" in a way suggesting that it's Elizabethan for "Ooh-la-la."
We met in a downtown cafe when he was in New York a few weeks ago. His greenish eyes are wider than they seem on screen, as if he is perpetually surprised; he talks fast, in a casual, friendly way. But one quality sets him apart from most actors and offers a clue to his minimalist approach: He does not need to charm everyone who crosses his path, just as he does not need his characters to be loved on screen.
The worst piece of advice was ever given by somebody, a long, long time ago, was 'Clive, it's all about likability,' " he said. Who advised that? "I'm not telling," he laughed, but "I remember going, what a ridiculous thing to say about acting."
Even now, "I'm fearless about that," he said. "I don't go into my parts wanting the audience to like me. I'm much more interested that they understand and believe me."
His fierce refusal to play the likability game is a huge asset artistically. Even his 17eroic characters have the depths and shadows of real men. And without an easily pegged persona, he carries little baggage to the screen. If Tom Hanks is the lice Guy and Jack Nicholson the Devilish Guy, Clive Owen is whatever guy he happens to play.
But that slightly chilly relationship with he public may also account for the one thing missing from his career: a megabit, a Bourne"-size franchise to call his own. In last year's remake of "The Pink Panther" i ie even had a cameo mocking rumors that .e was in line to be the new James Bond. Steve Martin, as Inspector Clouseau, valks into a casino where Mr. Owen, urbane in a tuxedo, introduces himself: "Boswell. NigekBoswell," he says. "Agent 1)06. Know what that means?"
" 'Course I do," says Clouseau. "You are one short of the big time." (Mr. Owen has always said he was never approached for Bond.)
"Shoot 'Em Up," the first splashy action movie he has had to carry, is decidedly unBond-like, a grittier, more youthful film.
His character, known only as Smith, delivers a baby in the middle of a shootout and, with the help of a breast-feeding prostitute, protects the boy from killers. This is not the career choice of someone calculating the next big thing at the multiplex.
The Looney Tunes carrot sets the tone for violence that is playfully over the top, yet Mr. Owen portrays Smith with utter realism. "I wouldn't have liked to have done that film nodding all the time, saying, `It is ridiculous, you see, it's ridiculous,' " he said. "I have always thought cinema audiences are pretty sophisticated," and the heart of screen acting is "communicating something as economically and concisely as you can."
Michael Davis, the film's writer and director, said: "He would come to me and say: `You don't have to have the character say so much. You're going to see it on my face. Why don't you change these three sentences to these three words?' "
"The Golden Age" proves he can play a traditionally dashing romantic hero: in a central scene Raleigh tells Elizabeth about discovering land, describing his adventure in veiled sexual terms. But "Shoot'Em Up" seems more typical: it comes from the part of him drawn to thornier types.
He gives what may be his most moving performance as one of those unheroic heroes in "Children of Men." His character, Theo, is a onetime idealist recruited to help the first woman to become pregnant in 18 years escape groups trying to exploit her.
"I usually have a very strong instinct when I read a script," he said. "I really wasn't sure about doing that film because the character is so apathetic. You're playing somebody who's depressed and cynical and so reluctant." He continued, "I just wasn't sure I saw my way into that." Even now he can only say, "I felt very strongly that there just had to be an overwhelming sadness about the guy."
He is clearly better at acting than at dissecting how he does it, and Mr. Cuarón laughed knowingly when told that his star was vague when talking about their process. "The thing you have to know about Clive is that he’s not an intellectual in the way he approaches his character," he said by phone. "He’s completely instinctual. He may analyze the thing later and say, ' I understand why he does that: "
Mr. Cuarón can describe the subtlety. of the performance, though. "He knew there was a physical heaviness to the character reflecting the spiritual heaviness," he said. At the start, "his shoulders are completely dropped, and every single muscle of his face is as if it were absolutely without gravity. As he’s recovering his faith, the muscles in his face get stronger."
"Children of Men" was disastrous at the box office, but Mr. Owen shrugs off flops as well as fame. His early success taught him how fraught stardom can be. In 1990 he
was the lead in a still-entertaining television series, "Chancer" (never shown in the United States and just released here on DVD), playing an ambitious, shady former banker. In Britain he became what George Clooney was to "ER."
Every actor has his standard life story, and the Clive Owen saga became well known in Britain then. Nearly 43 now, he comes from the working-class town of Coventry, one of five brothers reared by his mother and stepfather. At about 12 he was the Artful Dodger in a school production of "Oliver! " and knew instantly, unshakably - with the same unanalyzed instinct he brings to his roles - that he wanted to be an actor.
Just a few years out of the Royal Academy of Dramatic Arts he got "Chancer." The tabloid press came sniffing around and tracked down his father, who had left the family when Clive was 3 and hadn't seen him since. "I was naïve, and they threw every kind of tabloid newspaper into my trailer," he said of the reporters. "I didn't realize you could say no, you could be discerning about who you spoke to. So anybody could come and grill me about my family. It just wasn't very pleasant."
Looking back, "I never understand anybody that sits there and talks about the really important things in their lives in the media like that," he said. "Arid so it just made me protective."
By 1998 and his American breakthrough in the independent film "Croupier," he had figured out how to guard the line between the private and the public Clive. A dozen years ago he married Sarah-Jane Fenton, who had played Juliet to his Romeo on tour with the Young Vic. He shields their daughters, now 10 and 8, from the spotlight and the paparazzi with un-Hollywood-style common sense. "You just don't take them to places where you're obviously going to be photographed," he said.
That may help explain why the lack of megastardom doesn't bother him. "There’s no part of me that is hankering for, that feels the need for that," he said. Well, what else would someone in his position say?
Patrick Marber, who wrote the theater and film versions of "Closer" and directed Mr. Owen in it on the London stage, said, "Like any actor, I'm sure he’d love to be a big box-office success." But he added: "He’s genetically incapable of spending three months making a movie that he thinks is rubbish, and some actors can do that cheerfully. It's not because he’s so moral. but he’d hate himself. and it would bore him
Becoming the male face of Lacômes isn't the move of someone snobbish about his art, but didn't anyone suggest it might not be the best career maneuver? "No," Mr. Owen said, seeming amused at the idea, "no one did," (Of course arty commercials have been good to him; in 2000 "The Hire," a groundbreaking online series of short films for BMW, paired him with directors like Ang Lee and John Woo.
However ambivalent he may be about fame, he is the undisputed star of his next: films: a political thriller directed by Tom Tykwer ("Run, Lola, Run"), "The International," and a drama about a widower with two sons, "The Boys Are Back in Town," for Scott Hicks ("Shine"). And he has taken control of a project with the potential to become his franchise: he is executive producer and will star as Philip Marlowe in "Trouble Is My Business," based on a 1939 Raymond Chandler story. He chose a Chandler piece that hadn't been filmed before, he said, because "the last thing I need is to be compared to Humphrey Bogart."
Or maybe that absence of the typical actor's craving to be loved means he’ll never get the blockbuster. Chatting about Robert Altman, who directed him in "Gosford Park," he said: "Altman told me that he never wooed an actor. He’d talk to the:,, and if they needed a bit of wooing, he’d have to back off, because he was never going to promise them things that he couldn't deliver."
That anecdote seems to reflect something fundamental to his career, so a week later on the phone I asked about it and I uningratiating screen style. "It's fundamental only in the way that people ultimately respect honesty more than they docharm," he said, which sounds direct but may be slyer than it seems. Because on second thought, that comment is quite charming in its honesty.
Da The New York Times, 2 settembre 2007
Per Julia Roberts e una spia. Per Naomi Watts un investigatore. E per i nuovi sex symbol, Owen e l'uomo da battere.
Clive Owen si nasconde dietro un sorriso enigmatico. È una difesa, quel sorriso. Ti tiene a debita distanza, tradisce il disagio che si prova a essere, se pur benevolmente, indagati. La sua figura imponente e slanciata, adagiata sui divani del Soho Hotel, ci ricorda perché l'attore inglese quarantacinquenne sia diventato negli ultimi dieci anni uno dei pesi massimi di Hollywood: quello sguardo, ambiguo e fulminante, che fa pensare ad Alain Delon, è agli antipodi dalla rassicurante bellezza americana, quella, per intenderci, di Robert Redford o George Clooney. Dopo tante pellicole di successo ("Gosford-Park" di Robert Altman, "Closet" di Mike Nichols, "Inside Man" di Spike Lee) torna con due film, entrambi girati anche in Italia, a Roma e a Milano. "Duplicity" (in sala il 20 marzo), scritto e diretto dal Tony Gilroy di "Mïchael Clayton", lo vede nuovamente, dopo "Closer", a fianco di Julia Roberts. I due sono spie industriali con liaisons romantico-professionali nell'ambiente dell'industria farmaceutica. In "The International" (aprile), tempestivo thriller finanziario diretto da Toni Tyk-wer ("Loia corre"), che ha aperto il Festival di Berlino, è un agente dell'Interpol. A fianco di Naomi Watts, indaga oscuri intrighi politico-bancari.
«Due tra le migliori esperienze che abbia mai avuto», è il diplomatico esordio. Anche girare a Milano e nel centro di Roma è stato divertente? «Conosco bene Milano perché frequento Giorgio Armani, passiamo spesso del tempo assieme: ha disegnato tutti i miei vestiti in "Duplicity". E poi vado spesso a vedere le partite». Ma lei non è tifoso del Liverpool? «La mia seconda squadra del cuore è l'Inter». Duettare di nuovo con una diva come Julia Roberts è stata la più grande soddisfazione: «Abbiamo rinnovato la perfetta intesa di "Closer". In "Duplicity" dialoghi e sceneggiatura sono fantastici e non c'è nessun'altra in grado di fare meglio di lei quel personaggio: intelligente, ironico, tagliente. Ci conosciamo, ci piacciamo, ci fidiamo l'uno dell'altra: con lei metà del lavoro è fatto, resta solo il divertimento». Owen non ha mai fatto scelte scontate. Avrebbe potuto sfruttare il' suo löok da rubacuori e pigramente ritagliarsi un feudo nelle commedie brillanti o negli action movie. Ma ruoli "artistici" come il fratello incestuoso di "Close My Eyes" o quello di un gay in un campo di concentramento nazista (in "Bent") hanno rallentata' la sua ascesa all'olimpo hollywoodiano. Il che non gli ha poi impedito di diventare un idolo del pubblico femminile americano. Ma Owen, contrariamente a molti colleghi inglesi, non ha mai lasciato il grigiore insulare della madrepatria per le spiagge di Malibu.Non c'è ragione per andare a vivere in America. «In parte perché amo l'Europa, questo Paese e Londra in particolare. La mia famiglia è qui, i miei bambini vanno a scuola qui.
Mi piace andare a Los Angeles, a New York, certo. Ma per lavoro e nient'altro». Come quasi tutti ì suoi connazionali, Clive Owen si è formata sulle assi di un palcoscenico. È stato lì che ha conosciuto sua moglie, l'attrice Sarab-Jane Fenton. Nei panni di -Romeo e Giulietta", poi. Chissà che performance elettrizzante, per il pubblico e, soprattutto, gli interpreti. Il sorriso si allarga in risata. «La relazione cominciò attorno a metà della tournée, perché sapevamo che se avessimo litigato avremmo pregiudicato il resto. Il tosi che ci siamo innamorati». Grazie al teatro avrà anche trovato l'amore, ma non è il teatro il suo primo amore. 4n tutta onestà il mio primo amore è il cinema. Adoro l'atmosfera del set, amo la collaborazione che s'instaura nel fare un film, mi piace essere circondato da persone che danno tutto per raggiungere un obiettivo comune. Riconosco l'importanza del teatro, ma lo vedo più come andare in palestra. È salutare per un attore».
Owen viene da Coventry, nel nord dei Paese, dove ha avuto degli inizi difficili. I settentrionali hanno la fama di duri, sarcastici, disillusi. «C'è di certo un elemento - in tutti gli inglesi direi, non soltanto di quelli del Nord - di realismo che a volte degenera in cinismo. Ma che proprio per questo, a volte, si rivela utile e benefico. Certo, quando prende il sopravvento finisce per spegnere l'entusiasmo per la vita. Ma quando ero in America e le cose hanno cominciato a girare per il verso giusto, ho saputo tenere i piedi per terra. Non mi lascio travolgere». Nemmeno dalle domande. Come quella sulla sua mancata elezione a jarnes Bond, per esempio. La volontà popolare dei fan della creatura di lan Fleming l'aveva praticamente già designato come il successore di Brosnan. E invece... «E sempre stata una cosa che accadeva attorno me, ma in cui non ero coinvolto. Però i nuovi film hanno avuto successo, vuoi dire che con Daniel Craig hanno fatto la scelta giusta. E io sono contento di fare quello che faccio».
Per tutti i nuovi volti maschili del cinema internazionale Clive è l'uomo da battere. Nei prossimi mesi vedremo in azione diversi che "saranno famosi". Giovanissimi come Lucas Till, bello, biondo e richiestissimo, rubacuori in "Hannah Montana: the Movie" (maggio), o più maturi come Jesse Eísenberg, 25 anni e diversi film in uscita nel 2009, a cominciare da Adventureland" (giugno). Accanto a li recita, Ryan Reynolds: nella vita è il fresco sposo di Scarlett Johansson, al cinema sposa la manager Sandra Bullock in cerca di green card. ("Ricatti d'amore" in sala in estate).
Il più dark tra i nuovi volti Josh Peck: in "Wackness" è uno spacciatore di marijuana, s'innamora della figlia di Ben Kíngsley, psichiatra sui generis. Altro volto ambiguo è Robert Pattison: in "Come solo tu sei" (agosto) il romantico vampira di "Twilight” è un giovane che per uscire dalla depressione si porta casa un "The coach". Da non mancare Sam Riley, che recita accanto alla bellissima Eva Green in "Franklin" (aprile) e sarà protagonista del nuovo film di Walter Salles, "On the Road". E gli italiani? Si segnala solo Emanuele Bosi: l'innamorato di "Questo piccolo grande amore" vola in Marocco con il fratello alla ricerca del padre scomparso in «La casa sulle nuvole" (aprile), film dell'esordiente Claudio Giovannesi.
Da L’Espresso, 6 marzo 2009
Già candidato agli Academy Award® e già vincitore di un Golden Globe Clive Owen ha conquistato il grande schermo imponendosi al pubblico inglese, statunitense e del resto del mondo. Nel 2005 è entrato a far parte dell’olimpo del cinema internazionale vincendo un Golden Globe e aggiudicandosi una nomination agli Academy Award® nei panni del Larry di Closer, il film diretto da Mike Nichols.
In televisione, si è fatto conoscere attraverso una fortunata serie di telefilm inglesi e americani. Nel 1991, ha ottenuto il primo grande successo grazie alla serie Chancer, in onda sulla televisione inglese. Si è successivamente imposto all’attenzione del pubblico americano interpretando il telefilm della CBS Jack Gold, adattamento di “The Return of the Native”, al fianco di Catherine Zeta-Jones. Di recente, ha vestito i panni del detective Ross Tanner nel telefilm della BBC Second Sight, della serie Mystery! in onda sulla PBS. Ha lavorato in diversi telefilm inglesi, tra i quali Lorna Doone di Andrew Grieve, An Evening with Gary Lineker di Andy Wilson, The Echo di Diarmuid Lawrence e Split Second di David Blair.
Owen è considerato uno degli attori più versatili del panorama cinematografico. Il suo film d’esordio Vroom, di Beeban Kidron, del 1988, è la storia di un uomo che, insieme all’amico David Thewlis, ricostruisce una vecchia vettura americana e s’imbarca in un viaggio on the road. Nel 1991 è la volta di Close My Eyes di Stephen Poliakoff dove veste i panni di un fratello che nutre sentimenti incestuosi nei confronti della sorella. Nel 1997, lo vediamo interpretare ruoli molto complessi; nel film Bent di Sean Mathias interpreta un gay esasperato che vive nella Germania nazista e che viene rinchiuso in un campo di concentramento dove trova il grande amore della sua vita. Nel 2001 e nel 2002, rispettivamente, interpreta la commedia anticonformista Pollice verde di Joel Hershman, e il film di Robert Altman Gosford Park, interpretato da numerose stelle del cinema.
I film successivamente interpretati da Owen non hanno fatto altro che rafforzare la popolarità raggiunta nel corso di una brillante e variegata carriera. Tra questi, Amore senza confini, film drammatico interpretato al fianco di Angelina Jolie; il thriller di Mike Hodges I’ll Sleep When I’m Dead; il film drammatico di guerra/azione King Arthur; e Sin City, con Bruce Willis, Benicio Del Toro, Rosario Dawson e Jessica Alba.
Nell’autunno del 2006, lo abbiamo visto in Attrazione letale al fianco di Jennifer Aniston e in Inside Man, di Spike Lee, al fianco di Denzel Washington e Jodie Foster. Sempre nel 2006, ha interpretato il film d’azione di Alfonso Cuarón I figli degli uomini, al fianco di Julianne Moore e Michael Caine. Il film, così come l’interpretazione di Owen, hanno ottenuto ottime recensioni dalla critica. Si è successivamente distinto nel film di suspense di Michael Davis Shoot’em Up - Spara o muori, interpretato al fianco di Paul Giamatti, e in Elizabeth: The Golden Age, dove, vestiti i panni di Sir Walter Raleigh, si contende l’amore della Regina Elisabetta, interpretata da Cate Blanchett.
A breve, lo vedremo in The International, con Naomi Watts, dove interpreta il ruolo di un agente dell’Interpol. Ha appena concluso le riprese di The Boys Are Back in Town ambientato in Australia.
Owen è anche un acclamato attore teatrale. Tra i suoi lavori ricordiamo un ritratto di Romeo al Young Vic Theatre; Design for Living, l’opera di Noël Coward messa in scena da Sean Mathias, e un ruolo da protagonista nella versione originale di Closer, di Patrick Marber, portata in scena al Royal National Theatre nel 1997. Nell’autunno del 2001, a Londra, ha partecipato all’allestimento di Laurence Boswell dell’opera A Day in the Death of Joe Egg di Peter Nichols.
E’ stato l’autista della fortunata serie di corti The Hire, della BMW, distribuiti anche su Internet, diretti da registi del calibro di John Frankenheimer, Ang Lee, Wong Kar Wai, Guy Ritchie e Alejandro González Iñárritu.