•  
  •  
  •  
Apri le opzioni

Rassegna stampa di Bette Davis

Bette Davis (Ruth Elizabeth Davis). Data di nascita 5 aprile 1908 a Lowell, Massachusetts (USA) ed è morto il 6 ottobre 1989 all'età di 81 anni a Neully-sur-Seine (Francia).

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

Ruth Elisabeth Davis nasce il 5 aprile 1908 a Lowell, una cittadina del Massachusetts, figlia di un inglese che abbandonò la famiglia quando la Davis aveva 7 anni, e di una francese. Finita in collegio insieme alla sorella, a undici anni Bette Davis scoprì la sua voglia di recitare: quando a diciotto anni lasciò il collegio, il primo lavoro che trovò fu come modella, posando nuda per la scultrice Anne Coleman Ladd che stava realizzando una fontana. Dopo aver lavorato come cameriera e frequentato per un anno corsi serali di recitazione a New York, si iscrive all'Anderson School of Theatre, dove sua compagna di corso è la ricca Katharine Hepburn. Alla fine del 1928 esordisce a Broadway con una particina, ma nello stesso anno ha il suo primo ruolo di protagonista con In mezzo alla terra; in seguito nel 1930 vince un premio come migliore attrice giovane dell'anno, tanto che nel 1931 approda a Hollywood.
Quando si presenta per un'audizione, il produttore Samuel Goldwin la caccia urlando: "Dove l'avete scovata questa orribile creatura?". La Davis infatti non è certo bella, ha le guance paffute, gli occhi grandi e sporgenti, ma ha talento e un incrollabile determinazione a sfondare, tanto che il produttore David Werner le dirà: "Hai il fascino di Stanlio e Ollio messi assieme, ma ti prendo per il tuo talento".
Nei suoi primi film, Bette - ormai così viene chiamata - diventa "vera e propria essenza della sottomissione" come scrive Variety, ma la fama del suo brutto carattere diventa celeberrima.
Nel 1933 gira Ventimila anni a Sing-Sing, con Spencer Tracy, poi Schiavo d'amore, e nel 1935 Paura d'amare, che le frutterà il primo Oscar: secondo i critici fu il premio giusto per un film sbagliato, l'atto riparatore per non averglielo concesso l'anno precedente per Schiavo d'amore. Nel 1936 gira La foresta pietrificata, nel 1937 Avventura a mezzanotte ma subito dopo non riesce a ottenere con suo grande disappunto il ruolo di Rossella in Via col vento. Il riscatto arrivò prontamente con l'Oscar per Jezebel, la figlia del vento e nel 1940, con Ombre malesi è "capace di alternare calcolo e isteria con passaggi da brivido". Dopo Piccole volpi nel 1950 ottiene un successo strepitoso con Eva contro Eva, con il quale si aggiudica un premio speciale della giuria e Palma come miglior attrice al festival di Cannes (in questo film tiene a battesimo il futuro mito Marilyn Monroe).
La Davis ottiene ancora altri successi come Angeli con la pistola, Che fine ha fatto Baby Jane, un thrilling con la sua nemica di sempre Joan Crawford, ma in seguito per evitare il declino arriverà addirittura a mettere inserzioni firmate a pagamento sui giornali per cercare lavoro. Nel 1965 gira Piano piano dolce Carlotta, in cui i produttori volevano riformare la coppia vincente Davis-Crawford, ma Bette costringe la Crawford ad andarsene ottenendo come partner Olivia De Havilland, una delle sue poche amiche. Da allora la Davis si dedica alla televisione, interpretando uno sceneggiato, Hotel, molto seguito in America.
Nel 1972 è in Italia per girare Lo scopone scientifico, sviluppando una robusta antipatia per Alberto Sordi, da lei ritenuto maleducato e provinciale, che durerà per il resto dei suoi giorni.
Colpita da osteomielite, i giornali la danno per morente, ma dopo essere guarita, nel 1983 le sopravviene un tumore al seno e pochi mesi dopo è colpita da ictus e poi da infarto. La Davis riuscirà ancora a riprendersi, tanto che nel 1986 interpreta Balene d'agosto.
Bette Davis muore il 7 ottobre del 1989 in un ospedale di Parigi, uccisa da un male incurabile: pochi giorni prima aveva ritirato il premio che la giuria del festival di San Sebastiano le aveva conferito per la sua lunga carriera. Viene sepolta alla "Court of Remembrance" nel cimitero di Forest Lawn (Hollywood Hills) a Los Angeles.

CURIOSITA'
-Il suo nome completo era Ruth Elizabeth Davis.

-Scartata in un primo momento dalla Universal che la riteneva attrice priva di sex-appeal, si legò ad un lussuoso contratto rinnovabile con la Warner Bros, dal quale la diva nel 1936 cercò di liberarsi facendo causa a Londra per danni morali. Il tribunale le diede torto e la Davis rientrò nei ranghi fino al termine dell'accordo, nel 1949.

-E' stata interprete di primo piano anche in due film italiani, La noia e Lo scopone scientifico.

-Fu moglie quattro volte (Harmon Nelson, Arthur Farnsworth, William G. Sherry, Gary Miller) ed ebbe tre figli: già nel 1933 era rimasta incinta decidendo di abortire per non compromettere la sua carriera.

-Fece parte del nutrito stuolo di pretendenti al ruolo di Rossella O'Hara in Via col vento, assegnato poi a Vivien Leigh.

-Dagli anni Settanta è stata molto attiva in televisione, interprete di numerosi serial e sceneggiati.

-La sua ultima interpretazione in Balene d'agosto del 1987 la vide al fianco di un'altra attrice famosissima e come lei ormai sul viale del tramonto, Lilian Gish.

-Gli ultimi anni della sua vita sono stati amareggiati da un libro scritto dall'unica figlia naturale, Barbara, che l'accusava di ogni sorta di nefandezze. Reagì da par suo, pubblicando una biografia intitolata Questo e quello, tradotta in molte lingue.

-Alla Davis, e in particolare ai suoi occhi, negli anni Ottanta è stata anche dedicata la canzone Bette Davis eyes di Kim Carnes.

TERRENCE RAFFERTY
The New York Times

BETTE DAVIS, born 100 years ago this week, made her first appearance on film in 1931 and her last in 1989, and like every star of her generation she was always ready for her close-up. The difference with Davis — part of what makes her, I think, the greatest actress of the American cinema — was, she didn’t need it. You could tell what she was thinking and feeling from across the room, even a very large one like the ballroom she swoops into, wearing a red dress, in William Wyler’s “Jezebel” (1938), scandalizing the haut monde of 1852 New Orleans; unmarried young women like her character, Julie Marsden, are expected to wear white. But Julie wants to make an impression, and she does; and as she takes a turn on the dance floor with her stiff-backed escort, you can see, although most of the sequence is long shots, her growing awareness that she has made a terrible mistake, that she has gone, for once, too far.
Her dancing is limp, reluctant; her shoulders sag; and her head is bowed a little, as if she were trying to hide from the disapproving gaze of the assembled revelers: a shocking sensation for Julie, who, like most every character Davis ever played, is accustomed to looking people straight in the eye. There are close-ups in the scene, but it’s in the long shots that you sense most powerfully the burden of that unfortunate dress on this suddenly humiliated woman, feel the depth of her regret and the strength of her desire to be wearing something, anything, else. Bette Davis could make you see red in black and white.
Davis certainly knew how to make an impression, though her boldness, like Julie Marsden’s, sometimes had unintended consequences. Moviegoers familiar with her only from late horror films like “What Ever Happened to Baby Jane?” (1962) and “Hush ... Hush, Sweet Charlotte” (1964) — the most substantial hits of the last four decades of her career — may think of her as a campy grotesque, a cartoon diva. That’s perhaps partly her own fault, for attacking those ludicrous roles with such unseemly comic gusto. And her performer’s soul must have been gratified by the attention they brought: better to be noticed, for whatever reason, than ignored. (“Baby Jane” even earned her an Oscar nomination, her last of 10.)

ROBERTO ESCOBAR
Il Sole-24 Ore

Venerdì sera è morta, nell’ospedale americano di Parigi, Bette Davis. Aveva 81 anni. Era arrivata a Parigi da San Sebastiano, in Spagna, dove il mese scorso, come ospite d’onore del Festival Internazionale del Cinema, aveva ricevuto il premio "Donostia" alla carriera. Elizabeth Ruth Davis, nata nel 1908 a Lowell, un sobborgo di Boston, arrivò a 23 anni a Hollywood. Nella sua lunga e sfolgorante carriera ha interpretato oltre 80 film. Candidata dieci volte all’Oscar ne ha vinti due: nel 1935 per "Paura d’amare" e nel 1938 per "Jezebel" ("La figlia del vento"). Tra le sue migliori interpretazioni "Piccole volpi" (1941), "Eva contro Eva" (1950), "Che fine ha fatto Baby Jane?" (1962), "Piano piano dolce Carlotta" (1964), "Lo scopone scientifico" (1972). Nel 1977 la Davis fu la prima donna a ricevere il "Life Achievement Award", il premio alla carriera dell’American Film Institute. Nel 1979 vinse un premio Emmy, l’oscar televisivo, per "Strangers... The story of a mother and a daughter". Famosa per i suoi ruoli di donna dura e insensibile lo fu anche nella vita. Dai suoi quattro matrimoni ebbe un’unica figlia che nel 1983 in "My mother’s keeper" mise a nudo l’infelicità dei loro rapporti. Come la vecchia Hollywood, di cui diventò la leggenda, anche Bette era bravissima, ricca, aggressiva. E, a volte, spietata.. Se si chiedeva a Bette Davis perché avesse tanto spesso impersonato donne nevrotiche e diaboliche, rispondeva: "Perché sono una delle donne meno nevrotiche di Hollywood". Le attrici nevrotiche e diaboliche - aggiungeva - rifiutano quei ruoli per paura di mostrarsi nella loro vera natura, eppure si tratta dei ruoli più divertenti da interpretare. E poi, "io non mi sono mai preoccupata dell’opinione della gente". è così che ci si immagina la protagonista di Figlia del vento (William Wyler, 1938) o di Ombre malesi (Wyler, 1940): dura e decisa quanto basta per reggere personaggi insieme sgradevoli e forti. Eppure, proprio poco prima di girare Figlia del vento, le era stata offerta l’occasione di mutare totalmente la propria immagine: sarebbe potuta essere Rossella Ò Hara in Via col vento. Sarebbe potuta essere, appunto: avrebbe solo dovuto accettare come partner Errol Flynn nel ruolo di Rhett Butler. Era questa la condizione posta da Jack Warner, alla cui major erano legati entrambi, Bette ed Errol. Solo che lei lo considerava un attorucolo scadente, e d’altra parte Selznick non ne voleva sapere dell’interprete di Capitan Blood (Michael Curtiz, 1935). Il risultato fu che Scarlett ebbe il volto di Vivien Leigh, che la Leigh ebbe l’Oscar del ‘39, e che l’attrice meno nevrotica e diabolica di Hollywood - ma anche la più dura e "cattiva" - divenne irreversibilmente il simbolo cinematografico della donna nevrotica e diabolica. A questo, del resto, in qualche modo era obbligata, fin dall’inizio della sua carriera, alla fine degli anni 20 e nella prima metà degli anni 30. Lontana dai canoni di bellezza hollywoodiani, il successo poteva venirle appunto solo insistendo sul lato drammatico del suo volto. Ci fu anzi chi le suggerì di rinunciare al suo nome, "da stenografa", e di cambiarlo in Bettina Dawes, che sembrava più indicato al personaggio che si sarebbe dovuta costruire addosso. Del resto, la Warner - che l’aveva sotto contratto dal ‘32 - puntava soprattutto su immagini maschili, su divi come James Cagney, Edward G. Robinson e, più tardi, Humphrey Bogart (e invece la Mgm e la Paramount erano specializzate in dive). A lei dunque toccavano parti di secondo piano, sempre all’ombra di un personaggio maschile, anche se ormai la notorietà era stata raggiunta, al punto d’essere addirittura coronata da un Oscar (Paura d’amare, Alfred E. Green, 1935: a proposito di Oscar, la Davis ha sempre rivendicato il merito d’aver scovato lei il nome della statuetta più famosa del cinema, che - diceva - di schiena somigliava tutta a suo marito Oscar). Dopo il film di Green - da lei stessa definito sdolcinato - le si presenta la prima vera grande occasione con La foresta pietrificata (Archie Mayo, 1936, con un grandissimo Bogart): la sua interpretazione di Gaby Maple fu essenziale, spontanea, commovente. Ma fu proprio con Figlia del vento - che sembra quasi scelto per differenziare la propria immagine da quella della Vivien Leigh di Via col vento - che la Bette Davis diabolica e nevrotica venne "fissata". Seguirono fino alla metà degli anni 40 altri grandi film: Ombre malesi, Piccole volpi (Wyler, 1941), In questa nostra vita (John Huston, 1942). E poi, con gli anni 50 e 60, la "diva" Bette Davis entra quasi nell’ombra. E tuttavia viene forse in maggior evidenza l’"attrice", la grande attrice. O c’è forse bisogno di ricordare Eva contro Eva (Joseph L. Mankiewicz, 1950), Angeli con la pistola (Frank Capra, 1961), Che fine ha fatto Baby Jane? (Robert Aldrich, 1961), Piano... piano, dolce Carlotta (Aldrich, 1965)?.

REX REED
The New York Times

The last time I saw Bette Davis, she was in her dotage, the painful ravages of cancer and a paralyzing stroke cruelly evident. We had tea in a Manhattan hotel room, and she admitted her two favorite words were “What’s next?” Her days in front of a camera were mortgaged beyond revival, but with her flaring nostrils and incendiary nicotine butts, and still walking like an anchovy, she slashed the air with one parting shot: “You have not seen the end of Bette Davis!”
Apparently she was right. Eighteen years after her death, they are still writing books about her. This is as it should be. She created a template for movie acting that generations of starlets have tried but failed to follow. So the obsession with Bette Davis continues to resonate, redefining Hollywood “longevity.” Few of yesterday’s divinities affect audiences with the same force. But after so many friends, enemies, colleagues and poseurs — even her daughter B. D., who logged in with her own controversial “Mommie Dearest”-type broadside — have written everything they know, the question is “What else is there to say?” With Ed Sikov’s “Dark Victory” as evidence, I submit that the answer is a reluctant “Nothing much.”
Sikov, who has written biographies of Billy Wilder and Peter Sellers, displays scant information about her life and career that we haven’t come across before. From yellow newspaper clippings, corporate memos, Warner Brothers archives, passages extracted from other books (most notably her autobiography, “The Lonely Life”), interviews with peripheral associates and old Louella Parsons columns, Sikov recycles the suspensions, marriages, affairs and abortions, and her feuds with Miriam Hopkins, Errol Flynn (she once told me his idea of art was the fruit in a slot machine) and, of course, her archnemesis, Joan Crawford. Sikov’s juiciest implication is that Bette’s legendary hatred of Joan was based on the fact that Davis, because of her uptight Yankee sensibility, refused to have any part of a lesbian affair with her broad-shouldered, bisexual rival.

News

Da Ombre malesi a Eva contro Eva, ecco il programma dedicato all'attrice che ha ottenuto tutto per pura bravura. Dal...
Promossa dalla Cineteca nazionale/Centro sperimentale, è la prima grande iniziativa della più grande...
Vai alla home di MYmovies.it »
Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | Serie TV | Dvd | Stasera in Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | TROVASTREAMING
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati