ARTEKINO FESTIVAL, GRATIS IN STREAMING 8 ECCELLENZE DEL CINEMA D'AUTORE EUROPEO

MYmovies propone una selezione imperdibile di film pescati da una raccolta vivace ed eclettica.

Marzia Gandolfi, martedì 4 dicembre 2018 - Festival

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Lily Newmark . Nel film di Deborah Haywood Pin Cushion.

Giunto alla sua terza edizione, ArteKino Festival, vetrina d'eccezione per il cinema d'autore europeo, invita ancora una volta a guardare gratuitamente online una selezione di dieci film. Lanciato nel 2016 ArteKino Festival promuove l'uso legale dello streaming e offre una maggiore visibilità al cinema d'essai. A partire dal primo dicembre e per tutto il mese, sarà possibile riservare gratis un posto nelle sale virtuali di 45 paesi. Primo festival europeo, digitale e gratuito, ArteKino è una vera innovazione nel mondo del cinema: è possibile fruire dei film della selezione, o di una parte della selezione, solo dal proprio tablet o computer, restando seduti sul divano.
MYmovies, media partner per l'Italia, appassionato e sempre dalla parte del pubblico, promuove otto dei dieci film selezionati, esortando gli spettatori a vedere la bella programmazione che conferma l'ottimo stato di salute del cinema d'autore europeo. Otto talenti emergenti pescati in un florilegio vivace ed eclettico. Otto film che riflettono il cinema nuovo del vecchio continente nella sua florida diversità, proponendo accanto agli artisti affermati (Babis Makridis), debuttanti davvero promettenti (Cyril Schäublin). Buone visioni.

Astrid, attrice comica che mette in scena con spirito la propria gravidanza, scopre di aspettare un bambino affetto da anomalia genomica. Sostenuta dal marito, decide di proseguire la sua gravidanza. Ma una seconda ecografia, che accerta una malformazione cardiaca, la getta nel più assoluto sconforto.
Confusa e perduta, Astrid dovrà prendere la sua decisione. In competizione a Berlino nel 2016, 24 Weeks è il secondo film di Anne Zohra Berrached sulla maternità. Se nel film precedente (Perfect Mothers) una coppia lesbica desiderava avere un figlio ma doveva scontrarsi con innumerevoli difficoltà sociali e giuridiche, 24 Weeks si concentra su una giovane donna che subisce delle pressioni per non abortire un figlio portatore della sindrome di Down.

Costruito intorno a due ecografie, che alimentano il dramma e interrogano la protagonista, 24 Weeks affronta un soggetto tabù, l'aborto tardivo.
Marzia Gandolfi

L'idea della regista non è quella di girare un film a tesi ma di mettere semplicemente in scena il dilemma morale di una madre sola davanti a una scelta impossibile. Perché nonostante il sostegno del consorte con cui forma una coppia unita, Astrid è alla fine la sola a poter decidere la sorte del suo bambino. Senza giudicare o spingere l'acceleratore su un soggetto così intimo, Anne Zohra Berrached realizza un film limpido e pieno di pudore. Alla maniera della sua protagonista (Julia Jentsch), 24 Weeks si prende il suo tempo per dire le cose come stanno, nessuno sentimento complesso è negato, nessuna spiegazione scientifica è taciuta, riproducendo l'autenticità dell'esperienza e mostrando quello che abitualmente è nascosto.

In foto una scena di 24 Weeks.

Madre, figlia e nipote, tre generazioni di donne ruotano attorno a un bordello al confine tra le Fiandre e la Francia. Eline, sei anni, vuole scoprire cosa nasconde quel luogo segreto da cui mamma e nonna la tengono distante eppure troppo vicina. Un attimo di distrazione e il mondo di Eline precipita nell'oscurità, travolgendo il destino di tutti. A dispetto del titolo, in Flemish Heaven non c'è nessun paradiso ad attendere i protagonisti che indagano per trovare il mostro che ha abusato della loro bambina.

Racconto crudo che non lascia indenne, Flemish Heaven cerca malgrado tutto la luce in fondo al tunnel. Peter Monsaert, alla seconda prova (Offline), sceglie daccapo un soggetto doloroso.
Marzia Gandolfi

Come il film precedente, storia del reinserimento di un uomo in famiglia e nella società dopo sette anni di prigione, Flemish Heaven racconta la ricomposizione dei legami familiari contro la durezza della vita. Abile documentarista, l'autore iscrive il film in un quadro che traspira il vero, in paesaggi grigi e sordidi abitati da personaggi di carne e sangue che si battono per conservare la propria dignità in una società che li abusa e poi li condanna. Su di loro il film getta uno sguardo benevolo, senza giudizio, guardandoli fare la scelta sbagliata e trovando un lieto fine istintivo e malsano.

In foto una scena di Flemish Heaven.

Áron ha ventinove anni, ha finito gli studi di cinema e non riesce a darsi pace da quando Eszter lo ha lasciato. Eszter ha scelto un altro e Áron ha comprato un biglietto per Lisbona, dove la sua vita si complica.

Commedia ungherese e racconto autobiografico, For Some Inexplicable Reason è abitata da un antieroe irresistibile, un incrocio curioso tra Don Giovanni e Don Chisciotte, un romantico seriale senza speranza che si innamora di nuovo a Lisbona ma poi ripiega su Budapest.
Marzia Gandolfi

La città natale che disegna la geografia dei suoi mancamenti. Torna a casa Áron e a quella "stanchezza del vivere" incarnata da un ragazzo giovane, istruito e "fallito" ancora prima di cominciare. Il rappresentante di una generazione senza aspirazioni ovvie (sentimentali, economiche, lavorative) e obiettivi chiari. Áron non sa dove sta andando, vive al minimo ed è preda costante di un'apatia esistenziale che lo coglie nei luoghi più improbabili. Opera prima di Gábor Reisz, For Some Inexplicable Reason è la storia di un ragazzo che tarda ad affermarsi nella vita e dentro un film che ha l'aria di un documentario e il cuore nel suo protagonista, alter ego del regista.

In foto una scena di For Some Inexplicable Reason.

Difficile diventare grandi in una provincia uggiosa, soprattutto se tuo padre se n'è andato e tua madre è 'azzoppata' dalla vita. Difficile essere Iona, eroina adolescente di una favola che volge in incubo nella piccola comunità di Derbyshire.

Deborah Haywood, giovane autrice al suo debutto, realizza una sorta di Mean Girls britannico e cupo che racconta la difficile integrazione di Iona, ponendo uno sguardo da incubo sull'adolescenza, i suoi problemi, i suoi riti di passaggio, le angosce e la solitudine.
Marzia Gandolfi

Pin Cushion è anche il ritratto di una madre e una figlia, legate da un affetto quasi morboso e traslocate in una vita nuova di cui provano disperatamente a prendere le misure, finendo per soccombere alla crudeltà degli altri. Tra racconto intimo e critica sociale, Pin Cushion 'ficca spilli' e artigli nel cuore innocente di due marginali a cui nessuno tenderà la mano.

In foto una scena di Pin Cushion.

Finley Blake è una camgirl che si guadagna da vivere esibendosi in performance erotiche davanti alla sua webcam. Scampata a un cancro e separata da un marito che non approva la sua professione, cerca di ottenere la custodia di Ethan, il figlio di nove anni. Ritratto intimo e complice dove la realtà è filmata come fiction e viceversa,

Flesh Memory nasce dall'incontro tra Finley Blake e Jacky Goldberg, critico cinematografico francese che racconta il rovescio del décor di una camgirl.
Marzia Gandolfi

Una vita 'in un interno' che riduce i confini tra domicilio e luogo di lavoro e trasforma l'intimità in un set. Finley e Jacky si incontrano per caso la prima volta a New York. Era il 2005, Finley aveva ventidue anni e viveva a Brooklyn. Facebook non esisteva ancora e Finley faceva la commessa in un negozio di scarpe. Risalendo il suo profilo su MySpace e i tatuaggi sulla sua pelle, Goldberg ripercorre le tappe della sua vita, coniugando corpo e spirito, complementari nella memoria. Il regista condivide una porzione della sua storia e prende atto, con cura e sentimento, di una solitudine in attesa di un verdetto (la corte deve pronunciarsi sulla custodia del figlio). Jacky Goldberg non ha bisogno di raccontarci la fine, gli basta afferrare l'anima della sua eroina, trattandola col riguardo di un segreto custodito.

In foto una scena di Flesh Memory.

Racconto di formazione classico, L'animale segue il percorso di crescita di Mati, diciasettenne austriaca che spende le sue giornate a cavallo di una moto e dietro a un gruppo di maschiacci che fa il buono e il cattivo tempo fuori dalla scuola. L'incontro con Carla, una ragazza indipendente impiegata in un supermercato, vincerà le sue resistenze, determinando l'individuo che sarà per sempre. L'animale è il racconto della distanza coperta per diventare grandi, chiosando i classici della letteratura e sperimentando la vita.

Girato sulla soglia, in una condizione di attesa e di rinvio, di timori e di rilanci, L'animale non si concentra tanto sull'omosessualità della protagonista e del genitore, quanto sulla natura profonda dei suoi personaggi, sui conflitti di personalità, sulla maniera in cui vogliamo essere percepiti e sull'emancipazione dalle maschere che ci costruiamo.
Marzia Gandolfi

Se per i genitori di Mati, l'amore resta una prigione, per la fanciulla diventa un trampolino di lancio verso il futuro e un'immagine che le corrisponda. Nel fare e disfare della sua eroina, Katharina Mückstein, regista austriaca alla sua seconda prova, disegna quell'esperienza di vita che appartiene ad ogni donna e ad ogni uomo, quell'alternanza di stati d'animo che permette all'adolescente di trovare la sua terra, la sua appartenenza, il suo Sé. Sulle note di una celebre canzone di Franco Battiato, quella che presta il nome al titolo, Mati decide cosa fare veramente di se stessa con buona pace dell'animale che ci portiamo dentro e che sovente "si prende tutto, anche il caffè".

In foto una scena di L'animale.

Da quando sua moglie è in coma, un uomo senza nome sperimenta la pietà del mondo: la torta della vicina ogni mattina, la solidarietà dell'impiegato della tintoria a ogni capo smacchiato, gli abbracci della segretaria a ogni congedo, l'affetto di un amico dopo ogni partita a racchettoni, gli incoraggiamenti del padre a ogni visita. Quel sentimento di commossa e intensa partecipazione umana lo appaga pienamente ma poi la consorte si risveglia e la vita torna a sorridergli gettandolo nello sconforto più totale. Per essere di nuovo consolato è pronto a tutto.

Il cinema greco, dopo la crisi economica e la morte del suo maestro (Theo Angelopoulos), resiste e si reinventa detonante.
Marzia Gandolfi

Meno conosciuto di Yorgos Lanthimos, ma altrettanto velenoso e provocatore, Babis Makridis cavalca un immaginario surreale che destabilizza. Di un umorismo irresistibile, prima di suscitare una tristezza inconsolabile, Pity muove da un'idea di partenza originale e intrigante che rimane miracolosamente coerente fino alla fine. L'impresa non è facile per lo spettatore ma se ci si lascia andare all'esperienza il film mantiene le premesse dispiegando uno sguardo inquieto sull'umanità.
Ai grandi eroi, Makridis preferisce il ritratto di una persona piccola piccola che vorrebbe esplorare tutte le possibilità della sofferenza, rimanendo sempre coerente e fedele a se stesso. Scritto con Efthymis Filippou (The Lobster, Il sacrificio del cervo sacro (guarda la video recensione)), Pity mette in scena un personaggio tragicomico di cui ignoriamo il nome e di cui interroga l'esistenza prigioniera dell'ambiente perfetto e asettico della classe di appartenenza.

In foto una scena di Pity.

Alice, occupata presso un call center di Zurigo, arrotonda i venti franchi al mese raggirando vecchie signore abbienti. Fingendosi nipotina in ambasce, le convince a consegnarle ingenti somme di denaro. Due agenti indagano sulla frode lungo le strade asettiche della città, battuta da gendarmi armati per un allarme bomba alla stazione metropolitana. Numeri di polizza, numeri di passaporto, numeri cliente, codici di accesso, password, coordinate bancarie dominano i dialoghi e sono la 'cifra' di Those Who Are Fine.

Le relazioni umane nel film alienato di Cyril Schäublin passano per i numeri che regolano la comunicazione e governano ogni aspetto della vita quotidiana.
Marzia Gandolfi

Cyril Schäublin, giovane autore svizzero al suo debutto, descrive un mondo non troppo lontano dal nostro, che ha esaurito l'empatia e cerca il mezzo più veloce per raggiungere il proprio fine. Precipitato lo spettatore in una sorta di monotonia morale e spaziale, il film non risparmia nemmeno l'arte, con improbabili discussioni su film di cui ci si scordano i titoli, come se contenuti fossero interscambiabili. Il titolo inglese, tradotto dal tedesco bernese, fa riferimento a una canzone di Mani Matter ("Dene wos guet geit"), avvocato brillante e cantautore anarchico svizzero.
I suoi versi rotondi, le allitterazioni nonsense, le strofe filosofiche e le riflessioni fenomenologiche (sul panino al prosciutto) rinviano a una "Svizzera verde", riparata e al riparo, così neutra e incapace di affrontare le tragedie. Ma se le melodie imprevedibili del giurista di Berna rovesciano la logica e offrono una via d'uscita alla burocratica uniformità elvetica, le immagini di Cyril Schäublin traducono un Paese inerte e sospeso, dove gli uomini non sono più umani del contesto in cui vivono e le loro vite stabili una ripetizione infinita di gesti automatici, spogliati di qualsiasi passione, garbo e malinconia del vivere. Del resto, bisogna averla una vita per rimpiangerla.

In foto una scena di Those Who Are Fine.
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