ZIAD DOUEIRI, UN REGISTA PER DUE MONDI

Incontro con l'autore de L'insulto, film premiato alla Mostra del Cinema di Venezia, molto apprezzato in Libano e dal 6 dicembre nelle sale italiane.

Marianna Cappi, venerdì 1 dicembre 2017 - Incontri

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Ziad Doueiri . Regista del film L'Insulto.

L'Italia sarà il primo paese del mondo occidentale a far uscire nelle sale L'Insulto, il nuovo film di Ziad Doueiri, presentato in anteprima alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia in Selezione Ufficiale.

Mentre attende di vedere come verrà accolto qui e nel resto d'Europa, il regista si gode il successo del film nel suo paese d'origine, il Libano, dove, nonostante l'appello di alcuni gruppi estremisti a boicottarlo, è primo in classifica al botteghino dal momento della sua uscita.
Marianna Cappi

Per Douieri si tratta di un risultato importante, per tante ragioni, che emergono con chiarezza e passione dal racconto che ha rilasciato alla stampa stamattina a Roma.

In foto una scena de L'insulto.
Un film autobiografico

Mi sono svegliato stamattina e come tutte le mattine prima di un'intervista ho cercato una risposta a questa domanda, che mi viene spesso posta. Ma una risposta sola non c'è, perché dietro la scrittura di questo film c'è tutto un insieme di ragioni. L'elemento scatenante è stato effetivamente un incidente di natura personale, che mi è capitato circa quattro anni fa quando ero a Beirut. Joelle (Touma, ndr), allora mia moglie, ora mia ex moglie e cosceneggiatrice del film era incinta e vivevamo senza un soldo, in grave difficoltà, perché il mio precedente film, The Attack, era stato sequestrato dalla Universal che ad un certo punto non ha più voluto finanziare le riprese. Ero molto arrabbiato, credevo in quella sceneggiatura e volevo fare quel film. In quel periodo collezionavo cactus, ne avevo moltissimi, circa duecento, perché guardarli e prendermene cura mi calma. Li stavo innaffiando, una mattina, quando l'acqua è caduta su un operaio che lavorava di sotto e abbiamo finito per insultarci a vicenda. Lui stava pulendo la strada e mi dato del "pappone", che in arabo è un insulto molto grave, io l'ho insultato a mia volta pesantemente, fino a che Joelle mi ha detto: "Come puoi insultare un palestinese in questo modo?" E mi ha chiesto di scendere e scusarmi. L'ho fatto. Ho detto: "Mi dispiace, non avrei voluto dire che 'Ariel Sharon avrebbe fatto meglio a sterminarvi tutti'" e quell'episodio è finito lì. Ma un paio di giorni dopo mi sono detto: e se invece non fosse finita lì, se quello fosse stato solo l'inizio?

In Libano un piccolo incidente come questo può portare grossi problemi: ne sono consapevole da quando ero bambino, infatti mi sono spesso messo nei guai per questo, perché faccio fatica a non dire quello che mi passa per la testa.

A quel punto ho cominciato a scrivere una scena dopo l'altra e le idee fluivano come se si fosse rotto un argine. Ho fatto leggere il trattamento a Joelle, per saperne cosa ne pensasse e se volesse collaborare e lei ha accettato, aggiungendo che comprendeva appieno quello che avevo scritto. E dovete pensare che non era scontato: è stata cresciuta da una famiglia di estrema destra, totalmente antipalestinese, mentre i miei sono militanti pro Palestina, e parte della mia famiglia è rimasta uccisa nella lotta a favore dell'OLP. Due realtà antitetiche. Per questo le ho proposto di scrivere le scene dell'avvocatessa che difende il palestinese, Yasser, mentre io avrei scritto quelle del difensore di Toni, il cristiano. Questo ci ha consentito di metterci nei panni dell' "altro" e provare empatia per lui.

Tre anni dopo ho fatto The Attack, che è stato bandito e non poteva essere proiettato nel mondo arabo ad eccezione del Marocco. Per questo, per la rabbia e la delusione che ho provato, politicamente mi sono spostato su posizioni contrarie alla sinistra, per la guerra che mi ha fatto e perché la sinistra oggi, in Libano e nel mondo arabo, la sinistra che difende i diritti dei palestinesi, è diventata fascista nei modi. Per cui ho preso la sceneggiatura delL'Insulto e l'ho riscritto come risposta a coloro che avevano proibito il mio film. Questo per dirvi che dietro la scrittura c'è tanta vita, dunque in questo senso è autobiografico: contiene tutto quello che ho vissuto dall'infanzia ad oggi.

In foto una scena de L'insulto.
Una risposta cinematografica alla campagna della BDS

Il gruppo Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni, sostenuto da molti artisti, tra i quali Ken Loach, Roger Waters e Brian Eno, è un gruppo che vuole punire Israele per la sua occupazione del suolo palestinese, ma è anche il gruppo che mi ha denunciato e fatto arrestare al mio ritorno dalla Mostra del Cinema di Venezia. Volevano fermare l'uscita in Libano de "L'Insulto" ma non potevano, perché io non avevo violato nessuna legge, quindi mi hanno arrestato andando a prendere un vecchio dossier, relativo ad un'infrazione che avevo fatto sul set di The Attack.

Ma, in generale, il boicottaggio del mio film è riuscito soltanto a Ramallah, il pubblico libanese e tunisino, invece, l'ha accolto con grande successo.

Voglio specificare che la causa palestinese è qualcosa che tutti condividiamo, e tutti crediamo che l'occupazione debba finire, ma appena la si sfiora gli animi si infiammano, per tutte le passioni che salgono in superficie, e certa gente viene accecata. Il mio film mostra simpatia verso i palestinesi, ma questo tipo di sinistra non l'ha nemmeno voluto vedere.

In foto una scena de L'insulto.
Il dramma giudiziario

Il legal drama è qualcosa che gli americani hanno fatto molto bene e che desideravo fare da tanto tempo. Quando a 19 anni sono emigrato da Beirut negli Stati Uniti, ho fatto una scuola di cinema a San Diego e poi ho lavorato a Hollywood per moltissimi anni come assistente, dunque la mia formazione si è svolta tutta lì e il mio cinema ne è rimasto influenzato. Se fossi andato a Mosca anziché un America, probabilmente i miei film sarebbero diversi, è evidente.

Mi è parso subito chiaro il dramma giudiziario potesse essere il genere giusto per L'Insulto, perché c'è di mezzo un confronto e anche una questione legale (Una persona può dire tutto ciò che pensa? È legale insultare la cultura di qualcun altro?).
Marianna Cappi

Inoltre, mia madre è avvocato (mi ha fatto da consulente) e tre dei suoi fratelli sono giudici, uno dei quali della corte suprema, dunque le questioni giuridiche hanno sempre fatto parte dei discorsi della mia famiglia. Di nuovo: dietro la nascita de L'Insulto c'è una combinazione di fattori vari e diversissimi. In fase di scrittura mi sono rivisto tanti film americani: Il Verdetto di Lumet, Philadelphia di Jonathan Demme, Vincitori e Vinti di Stanley Kramer, La parola ai giurati sempre di Lumet, poi mi sono chiesto se al pubblico di oggi interessasse ancora vedere un dramma giudiziario: forse avrei dovuto farlo negli anni Ottanta, forse oggi non era più di moda... Ma come cineasta alla fine fai quello che senti, quindi ho seguito il mio istinto e quando ho finito di scrivere il film mi sono trovato con nove scene corali in tribunali. Joelle diceva che erano troppe, ma io sono andato oltre e arrivato a 13, e ne avrei voluto mettere altre ancora e infatti ce ne sono alcune che non ho montato. Perché, in un dramma legale, le scene in tribunale non devono parlare di aspetti giuridici ma devono rivelare qualcosa sui personaggi: servono a questo.

Ma come fare a girare tutte quelle scene in un'aula di tribunale senza diventare ripetitivo? Questo era un altro problema, per risolvere il quale mi sono messo a tavolino con il mio direttore della fotografia, (l'italiano Tommaso Fiorilli, ndr) e abbiamo fatto in modo che non ci fosse una scena uguale all'altra. Vedrete che ce ne sono di statiche, fatte con la macchina fissa, e di fluide, fatte con la steadycam, di scene dal punto di vista del giudice e di altre dal punto di vista degli avvocati o degli degli imputati.

In foto una scena de L'insulto.
Il Medio Oriente, terra di conflitti e dunque di cinema

Il Libano non è una dittatura, è una democrazia nonostante tutto, dunque non posso dire che il governo non voglia la pace sociale, però posso affermare che non sia mai stato fatto uno sforzo consapevole e cosciente per riconciliare le persone. Ho vissuto metà della mia vita in Libano e metà tra Stati Uniti e Francia, scrivo film sul Libano ma lo faccio in un contesto occidentale e continuo a saltellare da una cultura all'altra.

Non so nemmeno io a chi appartengono, se all'Oriente o all'Occidente, perché mi sento esterno a qualunque cultura io abbia respirato.
Marianna Cappi

Quando ero un bambino e la mia famiglia faceva il Ramadan, io lo capivo ma non mi apparteneva, ugualmente, nei miei diciotto anni in America, sono stato spesso invitato a Natale o al Giorno del Ringraziamento, ma anche quello non mi apparteneva. Non mi considero un regista libanese perché non lo sono al 100%, diciamo che non sono ancora riuscito a gettare l'ancora e fermarmi. Ma il Medio Oriente è per i miei lavori un bacino preferenziale perché è ricco di conflitti e il cinema si basa sui conflitti, sono il motore dei film.

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