Disponibile online su MYmovies ONE l’atteso docufilm su una delle più le grandi attrici giapponesi. Un lavoro certosino capace di ricostruire le mille sfaccettature di una personalità complessa e affascinante. GUARDA ORA »
di Emanuele Sacchi
Forse meno celebrata di Setsuko Hara o Meiko Kaji, ma altrettanto indimenticabile, tra le grandi attrici giapponesi Keiko Kishi è una delle più meritevoli di una articolata biografia. Che arriva, con Keiko Kishi, Eternally Rebellious, grazie allo sforzo di Pascal-Alex Vincent, autore di un documentario biografico che prova a ricostruire le mille sfaccettature della personalità della diva.
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Attrice, scrittrice e produttrice, Kishi ha attraversato oltre settant’anni di storia cinematografica, ridefinendo il ruolo delle donne nell’industria culturale del suo paese. La sua scelta di sposare un regista francese, Yves Ciampi, le comportò pettegolezzi, invidie e rancori a tutte le latitudini: in Europa di stampo vagamente razzista, palesando l’ignoranza che si nasconde sotto il fascino verso l’“esotico”; in Giappone suscitando l’ira post-nazionalista di chi gridava al “tradimento”.
Ma Kishi ha sempre seguito la sua strada, più forte del chiacchiericcio di sottofondo, dando vita a un connubio artistico e produttivo tra Oriente e Occidente che ha avvicinato cinematografie tra loro remote. Basti pensare a Yakuza di Sydney Pollack, in cui recita Kishi, un titolo chiave del graduale “sdoganamento” del cinema nipponico presso il pubblico occidentale.
Nel documentario il percorso biografico di Kishi emerge così in tutta la sua complessità: dagli esordi negli anni ‘50, quando il cinema giapponese cercava di ridefinirsi nel dopoguerra, fino ai suoi ruoli più maturi, che l’hanno consacrata come un simbolo di indipendenza e impegno sociale.
Se nei primi anni della sua carriera ha incarnato figure femminili delicate e tradizionali, con il tempo ha saputo trasformarsi in un'interprete capace di trasmettere intensità e ambiguità, come dimostrano le sue collaborazioni con registi del calibro di Kon Ichikawa (Il fratello minore), Yasujiro Ozu (Inizio di primavera) e Masaki Kobayashi.
Con quest’ultimo, in particolare, Kishi lavora assiduamente, fino a produrre Kwaidan, oggi a ragione considerato un classico senza tempo dell’orrore: tuttavia all’epoca fu un insuccesso al botteghino e l’esposizione in prima persona di Kishi, attraverso la sua casa di produzione Ninjin Club, la obbligò a saldare debiti negli anni a venire.
Un’esperienza che segnò profondamente la carriera dell’attrice, ma che confermò anche il suo spirito audace e il suo impegno nel sostenere opere cinematografiche di grande valore.
In linea con lo spirito della protagonista, la struttura del documentario evita la linearità cronologica in favore di un approccio più libero, che alterna momenti di racconto intimo a contributi di attori, registi e critici cinematografici, arricchendo il quadro con aneddoti e analisi che rivelano il fascino e l’unicità di Kishi.
I passi in avanti compiuti in termini di pari opportunità nel mondo del cinema, tanto in Europa che in Asia, devono molto a una donna che ha saputo rimanere fedele a sé stessa e a dimostrarsi più tenace di mille difficoltà.
Keiko Kishi, Eternally Rebellious non è solo un utile ripasso, ma una lezione necessaria su un’autentica icona di libertà e indipendenza.