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Cinema Corso, il corto di Ivana Gloria dedicato a tutti i cinema che stanno scomparendo. Ora in esclusiva su MYmovies

La regista firma un poetico cortometraggio all’interno del Cinema Corso di Domodossola che - come tante altre strutture in Italia - sta per essere chiuso per poi diventare un albergo. 
di Luigi Coluccio

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martedì 18 febbraio 2025 - Video

Una figura si muove nel buio della sala – è una donna, e già sentiamo che è una storia d’amore e quindi una storia di fantasmi. I popcorn strabordano, le sedute sono accoglienti, lo schermo fiammeggia. Ma c’è qualcosa che non va, che non torna. Il cibo è sparso per terra, le file rimangono solitarie, le immagini mostrano distruzione. La voce fuori campo, prima divertita e accogliente, ora si incupisce, fa trasparire il peso degli anni, chiede di non essere lasciata sola. La donna forse se ne va, forse no, il film, la sala, il cinema, lo stesso. 

Quanto calore timoroso di essere spezzato da un freddo abbraccio c’è nel corto di Ivana Gloria, Cinema Corso. Lo voleva fare, Gloria, lo doveva fare: cresciuta frequentando proprio quel cinema, quando nel maggio 2024 ci torna per presentare il suo primo film da regista, il coming-of-age naturalista Clorofilla, viene a sapere della vendita dell’attività da parte della famiglia Antonioli, proprietari e gestori da tre generazioni. In un battito di cuore raduna Francesco Toto e Davide Casarotti (sceneggiatore il primo, regista il secondo, entrambi di origine ossolana), fa salire su uno dei più importanti direttori della fotografia italiani, Luca Bigazzi, convoca i montatori Christian Marsiglia e Noemi Obinu, Silvia Orengo al montaggio del suono ed Emilio Simonetti per le musiche originali, e si mette all’opera.


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Girato con un iPhone 15pro, innestato sul corpo attoriale dell’insegnante delle elementari Chiaretta Simonetta e sul corpo vocale dell’attore Michele Ragno, Cinema Corso dura solo cinque minuti eppure ne passano di cose lì davanti – l’infanzia di Ivana, la storia di Domodossola, lo spettacolo del Novecento e (ancora forse) quello del nuovo secolo. L’imponente e magnifica sala principale del Corso, costruita nel 1929 e dotata di tre ordini di posti per un totale di 630 sedute (dal ’96 affiancata dalla più piccola sala Corsino con 80 sedute), viene completamente mappata dalla regista nel suo essere assieme edificio storico, memoria collettiva e sogno individuale, testimonianza e monito per quello che è stato e quello che potrebbe essere.

Dedicato al Cinema Corso di Domodossola e a tutti i cinema che stanno scomparendo”, così recita il cartello finale, sorta di presagio che si fa monito che si fa denuncia: la struttura ossolana sembrava avercela fatta, con la nuova proprietà che ha riaperto per la stagione invernale al termine della quale inizieranno i lavori per trasformarla in un albergo etico sociale e cinema-teatro, ma per realizzare tutto questo verrà sacrificata la storica sala principale.

Una stortura che ricorda le vicende del Metropolitan di Roma, l’ex-cinema di via del Corso la cui “riqualificazione” passava per il ridimensionamento totale della sala a favore di negozi specializzati, una tensione tra acceleramenti commerciali e necessità artistiche (e non il contrario) che sta ferocemente animando il dibattito pubblico nella capitale, laboratorio speculativo che si vorrebbe bastione culturale.


Roma, infatti, è la città che ha visto spegnersi la luce in 101 cinema del suo territorio, di cui 43 chiusi definitivamente, 53 trasformati in altre attività e solo 5 recuperati: così nel 2021 snocciolava freddamente il rapporto coordinato da Silvia Sbordoni dell’associazione Dire Fare Cambiare, poi ripreso nel 2024 dall’ordine degli architetti della città con il convegno “Il recupero delle sale cinematografiche dismesse”, tenutosi nel giorno di apertura della Festa del Cinema dell’anno scorso. Nel frattempo, di teste (e proiettori) ne sono caduti altri due, il cinema King a Trieste-Salario e il cinema Roxy ai Parioli, e nel frattempo la politica si è (ancora e ancora) forse mossa.

Da gennaio 2025 l’orizzonte spettacolare romano è scosso dalla proposta di legge che a breve verrà discussa in Consiglio Regionale e che prevede la totale variazione della destinazione d’uso per le sale chiuse da almeno sette anni al 31 dicembre 2023, e nel caso si mantenesse la funzione originaria un aumento della volumetria per interventi di ristrutturazione, demolizione e ricostruzione. Una sterzata che va ad impattare su tanti piani – culturale, sociale, urbanistico, economico – e che ha provocato la perentoria presa di posizione delle associazioni di categoria e dei singoli artisti e autori con l’appello urgente firmato il 31 gennaio scorso dal gotha dello spettacolo italiano.

La semplificazione urbanistica prospettata dalla Giunta Regionale ha avuto sullo sfondo un’altra notizia centrale per gli equilibri culturali della città, cioè l’acquisto da parte della società olandese Hadrian’s Wall di otto cinema romani (più uno a Bracciano) nel concordato fallimentare della Eleven Finance di Massimo Ferrero, acquisto costato circa 42 milioni di euro (ben dieci in più rispetto al prezzo iniziale) e che ha nel mazzo sale storiche e funzionanti come l’Adriano e l’Atlantic. Anche qui, come a Domodossola, come in Regione, si temono le accelerazioni commerciali che con il solito vocabolario speculativo (degrado, sicurezza, mercato) cercano di smantellare quelli che sono stati spazi dell’anima della nostra società. Perché, invece, non aiutarli a ripartire nel post-cinema dello streaming e dell’AI? Perché farci l’ennesimo spazio commerciale romeriano?
 


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