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First Case, da una storia vera, il lato oscuro e crudele del mestiere d’avvocato. In streaming su MYmovies

Disponibile online su MYmovies ONE il film con l'astro nascente del nuovo cinema europeo Noée Abita, uno sguardo al dietro le quinte del sistema giudiziario, tra accusati, accusatori e logiche perverse e disumanizzanti. GUARDA ORA IL FILM »
di Roberto Manassero

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martedì 3 dicembre 2024 - mymoviesone

La regista francese Victoria Musiedlak ha diretto First Case, suo primo lungometraggio, dopo aver lavorato come assistente alla regia, sceneggiatrice e regista di corti.

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Anche per lei, dunque, come per la protagonista del suo film, la giovane avvocatessa Nora, si tratta di un momento di passaggio, di un ingresso nella maturità (sancito dalla presentazione nel 2023 sulla Piazza Grande di Locarno): in un caso una regista al primo banco di prova, nell’altro una professionista che si trova ad affrontare il suo primo caso spinoso…

Il paragone fra cinema e legge è sempre ricco di sfaccettature. Nel cinema americano (vedi Giurato n. 2 di Eastwood) l’aula di tribunale è un ideale palcoscenico, un set sul quale va in scena lo spettacolo della democrazia e dei dilemmi dei cittadini; nel cinema europeo, invece – e in particolare in quello francese, dove il genere processuale continua a essere ampiamente sfruttato, come nel recente La misura del dubbio di Daniel Auteuil – sono soprattutto le questioni morali a determinare i conflitti dei personaggi e a mettere in discussioni le loro scelte.


In foto una scena del film First Case.

È il caso per l’appunto di Nora, parigina neo-laureata (a interpretarla è Noée Abita) che scopre un po’ ingenuamente la crudeltà di un mondo di accusati e accusatori, investigatori e pubblici ministeri, guardie carcerarie e giudici, e finisce per cambiare la sua stessa vita, sbaglio dopo sbaglio, conquista dopo conquista.

Il rapporto di Nora con la legge e la sua complessa applicazione dà vita a un racconto di formazione che chiama in causa aspetti cruciali della società in cui viviamo (francese ma non solo): la realizzazione sociale di una ragazza proveniente dal basso e figlia di immigrati; il peso delle ferite del passato (in particolare il terrorismo islamico nell’Algeria degli anni ’90) sulle scelte del presente; il confine fra libertà e prevaricazione; il ruolo che ciascun individuo può svolgere in una comunità; la posizione del singolo individuo di fronte all’impersonalità della legge.

«Nel corso del film», ha detto Musiedlak, «Nora scopre che la morale è l'inverso della giustizia e alla fine acquisisce la distanza necessaria per svolgere il suo lavoro». La questione di fondo dunque diventa – eticamente e di conseguenza anche cinematograficamente – la sua posizione verso i casi che si ritrova ad affrontare e il suo grado di coinvolgimento, a cominciare dal rapporto non proprio professionale che instaura con un ambiguo investigatore (interpretato dall’attore norvegese Anders Danielsen Lie, noto per i ruoli nei film di Joachim Trier).

«Nora è nel posto giusto?», si chiede ancora Musiedlak. «Io credo di sì, anche se in lei c’è sicuramente una certa dose di disincanto. Alcuni avvocati con cui ho parlato dicono di preferire difendere i colpevoli più che gli innocenti: con un colpevole giocano con la meccanica giuridica e difendere nel miglior modo possibile diventa una sfida. Questo però non impedisce loro di avere in privato un proprio giudizio morale».

Il film sta tutto qui, semplice e chiaro.      


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