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Quella volta che Pozzetto fece finta di essere il suo sosia

Gli 80 anni di un grande artista festeggiati da un ricordo personale di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

mercoledì 15 luglio 2020 - Focus

Conosco bene Renato Pozzetto. Ero nella commissione consultiva del cinema dei Beni culturali che decise per un contributo a una sua sceneggiatura. Da allora ci siamo visti spesso, non solo per lavoro. Conosco i figli, e ho conosciuto la moglie, che non c’è più dal 2009, e quanto ci ha sofferto Renato. La famiglia abita su tre piani nello spesso palazzo davanti ai giardini di San Lorenzo. Quanti caffè abbiamo preso in quei bar nei dintorni della Darsena. Siamo stati più volte, io e mia moglie, ospiti nella sua casa di Gemonio, che è a pochi metri dalla villa di Umberto Bossi. Avevamo un’ipotesi di progetto, che non si è realizzato,  per un film che avremmo scritto insieme.

L’ho sentito di recente Renato,  quando ho dato le dimissioni da Presidente della Lombardia film Commission, un ruolo che aveva coperto anche lui. Esperienza deludente, per entrambi. “Siamo artisti Pino, lì ci vuole un burocrate, un ragioniere.” Sarebbero tanti gli episodi da raccontare, e tutti avrebbero un senso, perché il Pozzetto privato è del tutto simile al Pozzetto artista. Davvero ha fatto poca fatica, in carriera, a calarsi nei suoi personaggi. Erano, sono “lui”. 

Eccolo un episodio. Qualche anno fa: fatta colazione a casa mia, scendiamo a un certo bar per un caffè. Naturalmente barista e presenti, tutti lo riconoscono. Qualcuno gli si avvicina. È una domenica di derby, Pozzetto, è notorio, è milanista, fervente. Un ragazzo con la maglia rossonera, sta per andare allo stadio, gli dice: “Dai Renato, che agli interisti gli facciamo un... così.” Lui risponde.” “Spero di no, spero proprio di no. Io sono interista.” Il ragazzo, sorpreso: “ma come lo sanno tutti di che fede sei.”. Renato mi guarda, ammicca: “Dai Pino, glielo diciamo:” Non capisco subito dove voglia parare, ma lo conosco e aderisco, al buio.” “Ma sì, diglielo”. Si guarda in giro, scuote il capo: “Signori, io non sono Renato Pozzetto, magari!”

Certo c’è sorpresa, sconcerto. Da un attore come lui ci si può aspettare uno scherzo. Un aiuto arriva da una signora che dice: “Io l’ho visto Pozzetto, questo signore non è lui, anche se gli assomiglia molto. Sì, è un po’ invecchiato.” A quel punto mi sento in dovere di confermare: “È così, non è quello vero, si chiama Mario, è un sosia.” E a quel punto il grande comico dà il meglio di sé. Si inventa all’istante un episodio degno di un film di Dino Risi.

“Adesso non più, ma qualche anno fa sono stato utile a Renato. Lo volevano tutti e lui non aveva il dono dell’ubiquità. Mandava me. Se bastava la presenza, o poche banali parole a ringraziare per i complementi. Anche perché, forse si sente, pure le nostre voci si assomigliano. Però un volta ho preso io un’iniziativa. Si era presentata l’occasione, che era davvero ghiotta. Renato stava girando Sono fotogenico, a Roma. Eravamo nello stesso albergo con altri del cast. Si era fatto tardi, il Renato vero era andato a dormire. Arriva la Fenech e io le chiedo se vuol bere qualcosa non me. Lei accetta di buon grado. Il bar dell’albergo è nella penombra, la mia voce è un po’ impastata per via dei drink. Insomma  Edwige mi crede quello vero.”

Pozzetto pone una pausa. Serve all’attesa, per il colpo di scena che qualcuno si immagina. Questa volta interviene il barista. “E allora... cos’è successo?” “Non posso dirlo, un po’ di discrezione. Posso dire che è comodo essere Renato Pozzetto.”


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