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Bertolucci: italiano del mondo fra ideologia e contrasti

Il regista di Parma è stato davvero tante cose, ma prima di tutto è stato un esploratore instancabile.
di Pino Farinotti

Bernardo Bertolucci 16 marzo 1941, Parma (Italia) - 26 Novembre 2018, Roma (Italia).
martedì 27 novembre 2018 - Focus

Bernardo Bertolucci (1941-2018): prima di tutto esploratore instancabile. Dai primi film quasi da amatore-cinefilo, poi titoli (quasi) sperimentali, poi progredendo, titoli "autoriali", e ancora film di grandi investimenti, per alternare, nella fase matura, opere low budget a produzioni impegnative. Il tutto applicato a orizzonti diversi aperti a contenuti provinciali oppure del mondo. Per tutto questo c'è una ragione di nascita, frequentazioni e cultura. Il padre di Bernardo era Attilio, poeta importante, fra le amicizie del futuro regista, Pasolini, Moravia, Elsa Morante, Enzo Siciliano e Dacia Maraini. Un "circolo" di mentori decisamente di qualità. Il primo segnale deriva dal padre, trattasi di un riconoscimento che Bernardo conseguì ventenne: il Premio Viareggio per la poesia, col testo "Il cerca del mistero".

La letteratura è sempre stato un primo motore, un incentivo, infatti cinque dei suoi film presentano origini letterarie, ma l'attitudine primaria di Bertolucci, che poi si rivelò potente, era quella visiva, del cinema appunto.
Pino Farinotti

Il tutto in chiave di contrasto, un termine che possiede un significato decisivo, per Bertolucci, che doveva accordare i suoi caratteri di borghese e di marxista. In questo senso, nella prima fase vale La strategia del ragno (1970), che si ispira a Jorge Luis Borges, vicenda di un giovane, figlio di un eroe partigiano, che si identifica nel padre, in un'ambiguità con risvolti politici e freudiani. Vale anche Prima della rivoluzione (1964) storia di un ventenne che ama una donna più grande, e impegnativa, ma non ha il coraggio di risolvere, e accetta un matrimonio borghese: il solito contrasto fra sentimento e ideologia. Il concetto lega tutti i suoi film, anche quelli cosiddetti minori, che però minori non sono, ma sempre portatori di significati evidenti o di letture contrastanti, come accade in The Dreamers (2003), che ri-legge il Sessantotto. O nella Luna (1972) "Dove volevo ricordare mia madre dopo essere stato 'assediato' da mio padre".


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In sintesi, il focus su tre titoli fondamentali. Ultimo tango a Parigi (1972), aprì al regista tutte le strade, da allora poteva permettersi tutto. Ci fu chi disse che quel film era più di Brando che di Bertolucci. Il regista, dopo un confronto "fisico" (parole sue) decise di aderire alle intenzioni del più grande divo del cinema. L'adulto e la ragazza che si incontrano senza conoscersi e fanno sesso, anche forte, crearono un precedente. Brando, con quel suo cappotto di cammello, i capelli disordinati nel vento, tormentato e magnetico, divenne il sex symbol del secolo. Bertolucci diceva "è un film di sesso e di morte". Anche Bergman commentò: "La trasgressione sarebbe stata perfetta se la ragazza fosse stato un ragazzo. Bernardo doveva avere quel coraggio". Ultimo tango, vittima di una censura violenta, con tanto di macero, alla fine ci guadagnò per popolarità e scandalo.

Novecento (1976) racconta mezzo secolo di storia italiana dal 1900 al 1945. Nello scenario dell'Emilia rurale vive il rapporto fra il padrone e i contadini. Dunque "contrasto" più che mai. Il regista si impegna in uno stile fra la propaganda epica del cinema russo e la cifra spettacolare hollywoodiana. Il film è diviso in due atti, il primo attraversa la storia della morte di Verdi all'avvento del fascismo. Il secondo arriva alla Liberazione. La seconda parte soffre... per la sua mole. E non mancano le cadute di stile e di estetica, in certe sequenze di violenza e di cattivo gusto e per l'eccesso di simboli schiacciati dentro dall'autore, come quello delle bandiere rosse in una sfilata che non finisce mai. "Mentre pensavo di effettuare un lungo viaggio in un grande cimitero ho scoperto che esistono sempre dei valori molto vivi malgrado la meccanizzazione. Senza pretendere di realizzare un film gramsciano, mi accorgo che sto per filmare una realtà che Gramsci aveva già analizzato".

L'ultimo imperatore è un monumento del cinema internazionale. Pu-Yi a tre anni è imperatore della Cina, cacciato dalla città proibita diventa play boy e collabora coi giapponesi, dopo la guerra viene "rieducato" dalla rivoluzione della Repubblica Popolare, muore nel 1967 a Pechino, era giardiniere del Parco botanico. Personaggio trasversale, nella felicità e nei dolori, nei trionfi e nelle cadute, nei contrasti, perfettamente alla Bertolucci. "Come è possibile che un uomo riesca a passare dal mondo dei semidei a quello dei comuni mortali?" Il film è il risultato di un investimento da record, migliaia di comparse, centinaia di tecnici italiani e cinesi, e lo sforzo premiò. Il film ottenne nel 1988 ben 9 Oscar, tutti i più importanti. Ponendosi al sesto posto assoluto, dopo Titanic (11), Ben Hur (11), Il signore degli anelli (11), Via col vento (10), West Side Story (10).

Una didascalia che ricorre: Bertolucci, l'ultimo gigante del Novecento. La sua non è l'epoca dell'età dell'oro del cinema italiano, dei Fellini, De Sica, Visconti e Rossellini, che hanno firmato opere che trascendono il cinema per diventare arte generale. Il regista di Parma è un grande cineasta cosmopolita, inserito nel sistema internazionale. Il segnale sta anche negli Oscar. Fellini e De Sica ne contano nove in due, come miglior film straniero, quelli di Bertolucci sono "assoluti". Certo, il vuoto che lascia è grande.


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