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Festival di Cannes, attese e promesse della 71a edizione

Un appuntamento imprescindibile per chi ama il cinema. Stasera l'apertura con Penelope Cruz e Javier Bardem, i protagonisti di Everybody Knows di Ashgar Farhadi.
di Marzia Gandolfi

Tutti lo Sanno

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Penélope Cruz (Penelope Cruz Sanchez) (50 anni) 28 aprile 1974, Madrid (Spagna) - Toro. Interpreta Laura nel film di Asghar Farhadi Tutti lo Sanno.
martedì 8 maggio 2018 - Cannes Film Festival

Difficile quest'anno fare pronostici dopo i cambiamenti annunciati da Thierry Frémaux nella conferenza stampa del 12 aprile: la varietà dei Paesi invitati (una dozzina), i nuovi arrivi in competizione (otto), l'assenza dei precedenti vincitori per l'insoddisfazione dei selezionatori o per la strategia commerciale dei produttori (Jacques Audiard, Mike Leigh) e naturalmente la presenza istituzionale e irrinunciabile di Jean-Luc Godard (Le livre d'image), che ha ispirato la radiosa locandina ufficiale. Lasciati a casa i favoriti degli anni scorsi (Sorrentino, Kawase, Audiard, Dolan, Lanthimos...), le sorprese arriveranno probabilmente da quei registi conosciuti nel loro Paese ma 'sconosciuti' altrove (Ryusuke Hamaguchi, Kirill Serebrennikov). Autori che partecipano di quel rinnovamento generazionale annunciato da Thierry Frémaux e ribadito dalla programmazione di Un Certain Regard con sei opere prime in concorso.

Il Festival di Cannes, arrivato alla sua settantunesima edizione, riserva quest'anno sotto il glamour e le paillettes uno spazio fisico e intellettuale dove ripensare il cinema e prendersi cura dei suoi autori.
Marzia Gandolfi

La presenza del regista russo Serebrennikov, così come quella di Jafar Panahi o l'allineamento del festival a favore di Terry Gilliam nella battaglia dei diritti intorno al suo Don Quichotte, testimoniano un'edizione di grande sensibilità (e solidarietà). La maniera di evocare apertamente le miserie e le traversie della Russia contemporanea non sono state perdonate a Kirill Serebrennikov che esprime da sempre e senza paura la sua opposizione al regime attuale. Un regime che lo costringe ai domiciliari dal 23 agosto scorso. È quindi in condizioni del tutto particolari e difficili che ha terminato le riprese del film in concorso a Cannes (Leto). Assegnandogli per merito un posto nella competizione cannese, i selezionatori del Festival hanno preso una decisione politica forte che suona come un'esortazione per tutti quegli autori costretti a subire le logiche ottuse dei regimi. In Russia come in Iran, la cui 'giustizia' ha formalmente interdetto a Jafar Panahi di girare film per averne realizzato uno senza permesso, in Iran bisogna ottenere un'autorizzazione prima iniziare le riprese.
Nondimeno il suo film, ispirato a una storia vera (Three Faces), una ragazza sogna di essere attrice ma è osteggiata da una famiglia tradizionalista, concorrerà per la Palma d'Oro. Il delegato generale del Festival, Thierry Frémaux ha domandato ufficialmente alle autorità iraniane di accordare a Jafar Panahi il permesso di uscire dall'Iran per venire a Cannes. Al momento in cui scriviamo, ignoriamo ancora se quel permesso sia stato accordato. Il terzo autore che ci auguriamo di vedere sulla montée des marches è Terry Gilliam, il cui 'film maledetto' è bloccato da un contenzioso giuridico. Il produttore portoghese Paulo Branco ha proibito al Festival di proiettare il film che Gilliam ha provato a realizzare per un quarto di secolo. Mille volte sepolto e altrettante risuscitato, oggetto commovente di un documentario (Lost in La Mancha), The Man who killed Don Quixote non smette tuttavia di coltivare la strampalata idea del suo cavaliere errante, uscire al cinema. Auguriamo sinceramente a Terry Gilliam di chiudere il 19 maggio prossimo il Festival rinverdito di Thierry Frémaux, che ancora una volta si rivela luogo di dibattito e di appuntamento imprescindibile per chi ama il cinema.


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Una scena di Le livre d'image.
Una scena di Three Faces.
Una scena di The Man Who Killed Don Quixote.
Gli italiani

Dogman
 

Quarta volta a Cannes per Matteo Garrone, vincitore due volte del Gran Prix Speciale della Giuria con Gomorra e Reality. Dopo aver presentato al Festival nel 2015 un classico della letteratura barocca napoletana (Il Racconto dei racconti), l'autore muove da un fatto di cronaca nera, consumato negli anni Ottanta nella periferia romana, per costruire un racconto altro e andare al fondo di un personaggio complesso.
Dogman è la parabola discendente di un uomo mite che ama sua figlia e il suo lavoro, gestisce un modesto salone di toilette per cani, ma subisce le prepotenze del colosso borioso che spadroneggia nel suo quartiere. Il protagonista di Marcello Fonte è ispirato a Pietro De Negri, toelettatore soprannominato "er Canaro della Magliana", che uccise brutalmente Giancarlo Ricci, ex pugile dilettante.


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Una scena del film.
Una scena del film.
Una scena del film.

Dopo Le meraviglie, Gran Prix Speciale della Giuria, Alice Rohrwacher torna a incantare la competizione con le avventure di Lazzaro, personaggio innocente ai margini del mondo moderno. Sensibile da sempre al decadimento ecologico ed estetico del Bel Paese, l'autrice traduce gli stravolgimenti della società italiana degli ultimi trent'anni in racconto poetico. Lazzaro Felice, allineato alle opere che lo hanno preceduto (Corpo celeste, Le meraviglie), si confronta di nuovo con spazi di sopravvivenza tenendosi saldo alla 'favola'. Una favola materialista tra materie primarie (cieli, strade, periferie, campagne) e residui essenziali. Fanno corona al Lazzaro di Adriano Tardiolo, Alba Rohrwacher, Nicoletta Braschi e Sergi López.


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Una scena del film.
Una scena del film.
Una scena del film.

Opera seconda di Valeria Golino e seconda volta in concorso nella sezione ufficiale Un Certain Regard, Euforia confronta due fratelli per natura e inclinazione diversi. Spregiudicato il primo (Riccardo Scamarcio), prudente il secondo (Valerio Mastandrea), Matteo e Ettore accorceranno le distanze in emergenza, scoprendo una fratellanza mai sospettata. Dopo aver messo in scena con sensibilità il caso di coscienza di una giovane donna che aiuta la gente a morire, Valeria Golino osserva con altrettanta convinzione il ritratto di due fratelli lontani, obbligati a riavvicinarsi tra timore, curiosità ed euforia.


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Una scena del film.
Una scena del film.
La regista Valeria Golino sul set del film.

13 minuti sono sufficienti a Pier Lorenzo Pisano per raccontare un paesaggio ferito e guadagnarsi la Croisette. Progetto nato dalla collaborazione tra Fondazione Marche Cultura e il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Così in terra svolge una piccola storia di sopravvivenza nel territorio di Acquasanta Terme, colpita dal terremoto dell'ottobre del 2017. Interpretato da Roberto Citran e liberamente ispirato al racconto "Casa d'altri" di Silvio D'Arzo, il corto di Pisano affonda nei luoghi del terremoto che hanno piegato l'Abruzzo e le Marche, mescolando fiction e realtà. La realtà drammatica di un paese che prova con orgoglio e fermezza a rimettersi in piedi.


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Una scena del film.
Una scena del film.
Un momento delle riprese del film.
I favoriti

Netemo Sametemo
 

Figura eccezionale del cinema giapponese, Ryusuke Hamaguchi potrebbe essere una delle rivelazioni di questa settantunesima edizione. Netemo Sametemo comincia con un incontro. Asako si innamora di Baku che ha il volto di un uomo amato nel passato. La storia evoca La donna che visse due volte ma il film è soprattutto il tentativo di filmare l'amore. In sala in questi giorni in Francia con Happy Hour, un feuilleton in cinque episodi, Ryusuke Hamaguchi si è rivelato al Festival di Locarno nel 2015 e promette a quello di Cannes altrettanta meraviglia. La meraviglia che nasce da un cinema che sonda i più intimi movimenti dell'esistenza, l'intimità inaccessibile dei suoi personaggi, dove si disegna il patto decisivo che lega l'individuo alla società. Un patto personale, emozionale, sensuale e politico.


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Una scena del film.
Una scena del film.
Una scena del film.
 

Conosciamo poco il cinema di Kirill Serebrennikov, autore russo di quarantotto anni in concorso a Un Certain Regard nel 2016 con Parola di Dio. Identificato sovente come regista di teatro, Serebrennikov ha iniziato a fare cinema negli stessi anni (gli anni Novanta). La sua opera cinematografica è influenzata dalla sua esperienza teatrale, che ha trasformato e rispecchiato con disinvoltura sullo schermo. Leto, in concorso ufficiale a Cannes, ripercorre la storia del movimento rock underground della fine dell'era sovietica, la cui apparizione e l'enorme popolarità furono i primi segni della caduta prossima dell'URSS. Una delle sue figure centrali fu Viktor Tsoï, cantante di origine coreana nato a Leningrado che incarnò con il suo gruppo, i Kino, il desiderio di rinnovamento di un'intera generazione. Sarà interessante scoprire lo sguardo di Serebrennikov su un periodo pieno di desideri e di promesse di cambiamenti che la Storia non ha mantenuto.


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Una scena del film.
Una scena del film.
Una scena del film.
Il più atteso

Solo: A Star Wars Story
 

Insieme al film di Terry Gilliam (The Man who killed Don Quixote), Solo: A Star Wars Story è davvero il film più atteso sulla Croisette. Fuori concorso, lo spin-off della celebre saga è consacrato alla giovinezza di Ian Solo, mercenario charmant interpretato ieri da Harrison Ford. A ereditare il ruolo leggendario è Alden Ehrenreich, rivelazione folgorante in Ave, Cesare! (guarda la video recensione). Sarà lui il volto nuovo dell'antieroe dal grande cuore, di cui il film rintraccia gli anni verdi, prima del suo incontro con la Ribellione e Luke Skywalker. Congedati per "divergenze artistiche" Phil Lord e Chris Miller, Ron Howard si è aggiudicato la paternità di un personaggio celebre e amatissimo che ha cavalcato il nostro immaginario a bordo del Millennium Falcon e a fianco dell'inseparabile Chewbecca. Accompagnano le avventure del contrabbandiere più carismatico della storia del cinema, Emilia Clarke (Il trono di spade) e Woody Harrelson, al solito cattivissimo, criminale e bugiardo.


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Una scena del film.
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Dichiarato 'persona non grata' nel 2011 per aver confessato di "comprendere Hitler", Lars von Trier ritorna finalmente a Cannes con la storia cruda di un killer seriale interpretato da Matt Dillon. Dopo aver precipitato la melancholia sulla terra e franto le Onde del destino sulla Croisette, guadagnandosi il Gran Premio della Giuria nel 1996, il principe delle tenebre del cinema contemporaneo presenta fuori concorso The House that Jack Built, un thriller glaciale e nichilista che riconferma Uma Thurman dopo la sua straordinaria epifania in Nymphomaniac. The House that Jack Built piazza al centro del racconto un protagonista maschile dopo anni di personaggi femminili. Diviso in capitoli, uno per ogni omicidio, e narrato in prima persona, il nuovo film di Lars von Trier promette il ritratto di un criminale come non lo abbiamo mai visto.


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Una scena del film.
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