Un viaggiatore solitario, spettatore casuale, a tarda sera di un giorno piovoso di fine giugno trova riparo nella sala di un cinema cittadino. Si siede pensandosi solo, scoprendo invece una varietà discreta e vivace di spettatori anonimi. Senza popcorn, le luci si spengono prima e il buio è più denso quando nessuno rumina mais fritto con stridore di denti. L'unico rumore lo fa la tendina dello schermo che si stringe, escludendo la visione panoramica a favore di un formato inconsueto, quasi quadrato, come quello delle vecchie televisioni a tubo catodico. Il proiettore s'avvia, distinto è il suo ticchettio, e sullo schermo s'accende un bianco e nero luminoso, mentre a lettere cubitali un titolo shakespeariano prende forma, To Be or Not To Be. Per un attimo, il viaggiatore solitario non è più sicuro di essere nel suo tempo, proiettato com'è in un altro spazio. Poi, cedendo alle battute in inglese dell'esilarante rappresentazione teatrale che apre il film, si rilassa e inizia un'esperienza realmente alternativa: quella di vedere in lingua originale un film degli anni Quaranta di uno dei maestri del cinema, Ernst Lubitsch, in una sala di prima visione. Ne esce ingigantito e arricchito, quasi volando.

Questo è quello che è capitato a quei non pochi "viaggiatori solitari", curiosi del cinema e del mondo, che si sono imbattuti in questi giorni nella programmazione, voluta dalla Teodora di Vieri Razzini, in lingua originale e in bianco e nero, del capolavoro di Lubitsch che alla quinta settimana raccoglie ancora un incasso incredibile, seconda media copia dopo gli zombie di Brad Pitt. Una lezione a tutti coloro, soprattutto tra i distributori, che non credono più nell'intelligenza e nella curiosità degli spettatori cinematografici.

Ora, l'esperienza offerta da Teodora, che da anni in homevideo promuove i classici per il suo "Piacere del cinema", ha un modello festivaliero unico e irripetibile, rappresentato dal "Cinema Ritrovato" di Bologna, giunto in questi giorni alla ventisettesima edizione.
Chi scrive lo fa proprio da lì, sulla prua di questa punta avanzata verso il cinema del passato, un'Arca di Noè fatta di pellicole rare come fossero specie in estinzione, salvate dal lavoro indefesso di laboratori e cineteche sparse in tutto il mondo, e qui raccolte per festeggiare il lavoro di un anno. Ecco, quell'esperienza che vi abbiamo descritto prima, con un pizzico di romanticismo, a Bologna viene portata ai massimi vertici, facendo del cinema del passato la stazione orbitante di un viaggio siderale alla scoperta di mondi che sembrano e sono nuovi, perlopiù sconosciuti o mai più visti da allora. E parliamo di film muti di cento anni, come quelli raccolti dall'omonima sezione curata da Marianne Lewinski, oppure di giganti del cinema portati a nuova vita, come il Falstaff di Orson Welles nella sua riedizione originale, in un restauro conservativo che ha tenuto conto delle indicazioni cromatiche che lo stesso Wells diede ai laboratori francesi nel 1966, poco prima del passaggio a Cannes.

Il "Cinema Ritrovato" non è solo il paradiso promesso per cinefili e studiosi che qui arrivano da tutto il mondo, ma è anche, e da anni, l'incontro possibile con un pubblico generico e vasto, come quello che si raccoglie tutte le sere in Piazza Maggiore per assistere, su di uno schermo gigantesco, alle comiche di Chaplin come a classici del cinema, da Nicholas Ray e Terrence Malick a Chris Marker.
In questo frangente in cui, soprattutto per il cinema italiano, forte è la crisi delle idee e della progettualità, l'esempio rappresentato dalla distribuzione in sala di classici del cinema, come quello decennale proposto dalla Cineteca di Bologna con il suo Cinema Ritrovato, è importante e da seguire, aprendo a una riflessione altrettanto urgente sulla funzionalità multipla delle sale, non più esclusiva della prime visioni.