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Storia 'poconormale' del cinema: puntata 134

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino e Rossella Farinotti

Il quadro 'The Syndics of the Clothmaker's Guild (The Staalmeesters)' di Rembrandt.

venerdì 30 settembre 2011 - Focus

Il cinema e l'arte
Uno dei film più pittorici della storia del cinema è Dies Irae. Lo stesso concetto, può essere esteso, in generale, al regista che lo ha firmato, Carl Theodor Dreyer. È legittimo dire che quel titolo possiede una doppia chiave pittorica, quella "autonoma" diciamo così, come campione dell'espressionismo, e quella "ispirata", come opera che si rifà a dei modelli figurativi. La produzione di quel film è un vero master sul cinema come pittura e sul rapporto fra la pittura e il cinema.

Raccontando Dreyer non si può non rifarsi all'espressionismo, quel movimento, artisticamente decisivo, sviluppatosi in Germania fra il 1905 e il 1930, dunque negli anni di maggiore energia creativa e di più forte curiosità ed entusiasmo del regista. L'espressionismo, applicato all'inizio soprattutto alle arti figurative, "invase", via via, la letteratura, il teatro, e poi il cinema: significa eccesso di espressione, nei gesti e nell'estetica, soprattutto attraverso l'uso delle luci e, ancora di più, delle ombre. Come sempre il cinema rappresentò un'evoluzione anomala e disordinata, come sempre si appellò alla propria fisiologica franchigia del non rigore, perché se applichi l'eccesso di espressione solo alla scrittura, o solo alla pittura, o solo al teatro, allora ti muovi in confini che favoriscono una disciplina, ma se quella disciplina la porti nel cinema, devi vedertela con una gestione complicata e articolata, troppo: la musica, l'immagine, la scrittura, tutte insieme. Insomma devi far convivere, tenere a bada tutto in un eccesso, e non è facile. L'espressionismo poteva rappresentare una pratica utile nei film muti, dove l'eccesso andava a compensare e a soccorrere la mancanza della parola. Ma col "parlato" le misure andavano pesate con grande attenzione, lo spartiacque fra un'opera d'arte di energia maggiore e un'anarchia estetica grottesca era molto sottile. Un'opportunità tanto efficace, in cinema, fu spesso gestita da autori inadeguati. Anche Hollywood la importò, con risultati contrastanti. Spesso si assisteva a sequenze "normali", di azione e dialogo di basso profilo, con coni di ombre che rilanciavano su mura immense un capitan Blood, dottore, che si aggira in un ambiente più simile a una sala d'armi regale che a uno studio medico. Anche in Quarto potere lo stesso Welles esaspera una riunione di redazione fra chiari e scuri drammatici, alla Ivan il terribile. Ma si sa, a Welles era riconosciuta una forte franchigia. Il suo non era errore, era anarchia geniale.
Dreyer invece seppe tenere e bada l'"espressione", anzi la assunse con grande naturalezza, facendone parte integrante, e nobile, della sua poetica e della sua estetica, registrandone l'intensità a seconda delle opere e diluendola dopo la sua prima fase. Il Dreyer espressionista è soprattutto quello dei "muti" iniziali, e di Vampyr, dove la seduzione espressionista è davvero irresistibile, applicata com'è a un contenuto da visione, inquietudine e delirio, con un'apertura all'horror, e dove il tutto deve vivere sulle atmosfere, dunque proprio sulle luci e sulle ombre.

Non semplice
Per Dies Irae il regista diede un compito non semplice al suo direttore della fotografia Carl Andersson. Gli disse: "Voglio che il film abbia esattamente le immagini del suo tempo, nell'architettura, nelle facce e nei costumi. E voglio che le luci, e le ombre, non solo accompagnino i personaggi nel chiaro o nello scuro, ma esaltino i loro sentimenti, l'infelicità, il dolore, l'amore, l'infedeltà, la menzogna, la mistica, la paura e il terrore". Andersson era uno svedese di Stoccolma con un back ground singolare, raro. Dopo aver lavorato come operatore nel suo paese, trasferitosi in Danimarca, negli anni Trenta si era specializzato in shorts pubblicitari. Nulla dunque di più diverso dall'estetica di un Dreyer, ma l'operatore aveva anche una profonda cultura pittorica, insomma era titolare di un mix che poteva produrre un risultato particolare. Alle indicazioni di Dreyer rispose con un nome: "Rembrandt". Dreyer ci aveva già pensato, ma aveva dei dubbi. Disse: "... è un olandese, un fiammingo". Andersson ribatté: "mi scusi maestro ma io conosco i suoi film, capolavori certo, ma mi permetta, un po' cupi. Se prendiamo un pittore della zona baltica il pubblico si deprime troppo. Rembrandt non è un meridionale, come olandese ci mette una luce solo un po' più forte della nostra, e poi molti dei suoi dipinti sono proprio vicini agli anni del nostro racconto, terzo e quarto decennio del milleseicento." Dreyer si convinse. Cominciarono a lavorare. Studiando l'opera del pittore prendevano appunti. Dopo molta dialettica selezionarono tre quadri: "La lezione di anatomia del dottor Tulp", "Ritratto di Cornelius Anslo e di sua moglie Altje Schouten" e "I sindaci dei drappieri". I quadri si trovavano rispettivamente in musei dell'Aja, di Berlino e di Amsterdam. "Dovremmo vederli dal vivo" disse l'operatore. "Credi che non mi piacerebbe" rispose il maestro "ma il budget è ristretto, ci ho messo dieci anni a raccoglierlo, dovremo accontentarci delle riproduzioni. E poi c'è la guerra".
Scenografia e costumi, occorre una scelta appropriata, professionisti che abbiano quel tipo di cultura. Il direttore intende privilegiare confronto e dibattito, dunque assume artisti in coppia: Fribert e Aes per la scenografia, e Sandt Jensen e Thomsen per i costumi. Tutti sanno che quel segmento è decisivo. Sono consci di partecipare a qualcosa che farà storia. E l'impegno è assoluto. C'è da rappresentare il tribunale che giudicherà la strega. Lavorano sui volti: i modelli di Rembrandt hanno tutti, rigorosamente, la barba, indossano abiti neri, per fortuna portano gorgiere e colletti bianchi a contrastare. E molti hanno il cappello. Dreyer rinuncia a qualche barba e ai cappelli. Si studiano le luci, intensità e posizione, e si compone la giuria. Si preparano le inquadrature, con l'ascetico Absalon nel mezzo. Molti fotogrammi saranno semplicemente dei Rembrandt in bianco e nero.

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