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A lezione con Monica Bellucci

La più esportata delle nostre attrici a Taormina per tenere una lezione di cinema.
di Ilaria Ravarino

Monica Bellucci a Taormina dove ha tenuto una lezione di cinema.
Monica Bellucci (59 anni) 30 settembre 1964, Città di Castello (Italia) - Bilancia.

lunedì 13 giugno 2011 - Incontri

C'è chi nasce con un talento luminoso ed evidente, e chi passa i migliori anni della sua vita a tentare di dimostrare che il talento c'è, e magari è solo offuscato. C'è chi colleziona premi e passerelle, chi lavora all'estero, chi va lontano. E chi, bruciato dalle critiche ad ogni passo falso, non riesce a uscire dal recinto provinciale della bassa fiction metropolitana.
Monica Bellucci è un bizzarro oggetto di spettacolo che si colloca a mezza via fra i due estremi. La sua bellezza, anche e soprattutto adesso che si avvicina ai cinquant'anni, esplode sullo schermo in modo incontestabile. Alta e giunonica, dominante, da vent'anni è ambasciatrice di quel fascino italiano perduto nel tempo, di una bellezza antica che sa di Loren, ammalia gli stranieri, capace di bucare trasversalmente gli schermi mondiali. Il suo talento, mai riconosciuto e sempre contestato, è un dettaglio trascurabile. Una performance secondaria, un accessorio che stride ma non rovina l'insieme, come una borsetta da mercato su un vestito da sera. Bellucci, la più esportata e la più amata delle nostre attrici, alle critiche non ha mai fatto caso. Non le servono. Il cinema l'attira come una calamita, e lei si lascia prendere senza opporre resistenza. Decora i blockbuster d'America. Si abbina agli indipendenti europei. Si intona a pellicole di ogni foggia e colore, al fantasy de L'apprendista stregone, al nazional popolare Manuale d'am3re, ai toni rivoluzionari dell'iraniano Rhinos Season, suo prossimo progetto d'autore.
Quando fa il suo ingresso al TaorminaFilmFest per una lezione di cinema, qualcuno arriccia il naso. Non è all'altezza di insegnare, si dice. Non ha mai vinto abbastanza, non è mai stata benedetta dalla critica, in pochi le hanno detto brava. Il suo successo fa spavento, perché ha a che fare col mistero. Eppure, appena comincia a parlare, in sala cala il silenzio.
Le opinioni su di lei non hanno grande importanza: Bellucci è una star e il suo shining, qualsiasi cosa esso sia, continuerà a portarla lontano.

Qual è il segreto del suo successo?
Non saprei dirlo, perché nel mio lavoro sono sempre andata avanti con l'istinto. Scelgo un certo copione perché voglio lavorare con un determinato regista. Mi piacciono i ruoli pericolosi, quelli che ti fanno entrare in altri mondi, che cacciano via i tuoi fantasmi interiori. Forse, se non facessi l'attrice, sarei una delinquente.

Cosa intende per ruoli pericolosi?
Ruoli come quello che ho interpretato in Dobermann o Shoot'em up, personaggi passionali o violenti. Film rock o film fumetto come Il patto dei lupi. Adoro il mondo dei fumetti. Da piccola leggevo Diabolik, anche se mia madre non voleva.

Sul set quanto lavora con le sue emozioni?
Moltissimo, non ho problemi nemmeno con le scene di pianto, come invece accade spesso agli uomini.

C'è un regista con cui vorrebbe lavorare?
La lista dei registi e dei fotografi con cui vorrei lavorare è troppo lunga per raccontarla. In vita mia non ho mai chiamato un regista per dirgli: «Ti adoro, vorrei lavorare con te». Forse è perché sono molto femminile, mi piace essere desiderata. Voglio che le cose vengano a me, senza che me le debba cercare io.

Meglio i set italiani o quelli all'estero?
Mi piace lavorare in italiano, e quando posso torno. Ho lavorato con Muccino, Virzì, Tornatore, persino l'esperienza fatta in Italia con De Niro in Manuale d'Am3re è stata bellissima. È una persona molto semplice e umana, e a me piace quando incontro l'umanità nei grandi talenti.

Sul set come le piace essere diretta?
In generale, se un regista non mi dà indicazioni può capitare che mi senta persa. A me piace essere la musa di artisti che stimo e che sanno dove vanno. Ma una delle doti dell'attore è la capacità di adattamento. Con Tornatore, che è preciso e sa quel che vuole, mi sento curata e protetta, sicura. Philippe Garrel con cui ho appena girato Un été brûlant, è un regista che ti fa provare per un anno perché sul set vuol fare uno o al massimo due take. Poi ci sono quelli che non riescono a prevedere cosa accadrà in scena, e altri che non parlano mai, non ti dicono nemmeno dove posizioneranno la macchina. E quando chiedi se hai fatto bene ti rispondono solo: «It's ok». Bisogna sapersi adattare. La recitazione è il frutto di un'alchimia tra regista e attore. Ogni volta è una storia diversa.

Di Mel Gibson, per il quale ha recitato ne La Passione di Cristo, che ricordi ha?
Su Gibson se ne dicono tante. Io ho adorato lavorare con lui, è un uomo intelligente, brillante e di talento. La sua parte privata non la conosco.

Le piace dividere il set con suo marito, Vincent Cassel?
Sì, dal prossimo gennaio tra l'altro torneremo insieme, in un film girato in Brasile, terra cui siamo legati e dove andiamo spesso: saremo una coppia in crisi, con i problemi tipici di chi sta insieme da tanto tempo, e sullo sfondo ci sarà il carnevale di Rio. Mi piace molto lavorare con lui, c'è un bello scambio, litighiamo benissimo sul set. È un attore di talento. E poi lavorare insieme ci permette di vederci un po' di più.

Quanto è importante ottenere ruoli da protagonista?
La recitazione non è una questione di minutaggio. In Dracula avevo un momento, un assaggino, nemmeno un cameo: ero una modella che non sapeva nemmeno cosa fosse il cinema, ma quell'esperienza è stata determinante. Amo sia fare la protagonista che avere piccoli ruoli in film che mi piacciono, come i 10 minuti in The private lives of Pippa Lee o in Baaria di Tornatore.

Che ruolo avrà nel prossimo Rhinos Season?
Sarò una donna iraniana. Il film è una storia d'amore sullo sfondo dell'Iran prima e dopo la rivoluzione.

E il teatro? Lo farebbe?
Michele Placido mi ha proposto un progetto molto bello. Ma io vado lenta, ho cominciato a fare film tardi, il primo contratto con i prodotti di bellezza l'ho firmato a 40 anni. Secondo me avrò una vita molto lunga, dunque mi prendo tempo per imparare. Farò anche il teatro, arriverà. Ma senza fretta.

Cosa ha imparato nel corso della sua carriera?
Poco. Ogni volta è tutto nuovo. Ho imparato ad andare aldilà dalla timidezza, a superare il blocco della macchina da presa, a lanciarmi, dimenticare tutto e darmi senza riserve. Ho imparato a usare il mio corpo, anche attraverso la nudità espressiva. Il mio corpo è il mio strumento, un oggetto che uso come mi serve, come il pianista fa con il piano.

Nella sua carriera la bellezza quanto ha contato?
Io non so quando sia nata questa diceria. Che io sia bella è una specie di barzelletta, un tic giornalistico. Ovviamente i complimenti fanno sempre piacere, ma io mi reputo solo carina. Quanto alla bellezza in generale, dire che rende più difficile la vita sarebbe una bugia. Rende tutto più facile. Ma senza l'intelligenza o la sensibilità non si va lontano.

Si sente invidiata dalle donne?
No. Io con le donne vado d'accordo, senza di loro sarei rovinata. Vicino a me ho solo avuto donne meravigliose: mia madre, mia zia, le nonne. Ho solo amiche donne, pochissimi amici maschi. Degli uomini mi fido di meno.

Chi sono le sue attrici di riferimento?
Ci sono tante star americane del passato, quelle che hanno creato Hollywood, che amo moltissimo: la Monroe per esempio, per la sua femminilità sublime, un misto di fragilità e forza. Ma le mie attrici di riferimento, quelle per cui ho deciso di far cinema, sono tutte italiane: Magnani, Loren, Lollo, Mangano, Cardinale. Abbiamo avuto un grande cinema, che ha fatto scuola nel mondo, e a quello sono legata: alle sue donne forti e mediterranee, drammatiche. Lo sguardo del nostro cinema sulle donne è molto diverso da quello dei francesi, che amano le lolite perennemente bambine. Gli italiani hanno portato al cinema la ragazzina adulta e matura, come la Loren ne La ciociara, o la Mangano in Riso amaro. Donne che si portano dentro una specie di antico dolore, che emerge sullo schermo.

Diventare madre l'ha cambiata?
Come persona, un figlio ti cambia: le mie due bambine sono la cosa più bella e importante della mia vita. Mi fanno sentire piena, risolta, donna. E nel lavoro sono diventata più selettiva, per cercare di stare con loro il massimo del tempo. Ho allattato fino a due settimane fa, e la piccola è sempre con me. Quello che non è cambiato è il criterio per cui scelgo o scarto un progetto: non voglio fare film da brava ragazza solo perché sono madre, e allora dovrei dare il buon esempio. Faccio ancora ruoli disturbanti, selvaggi, istintivi. Non mi è mai piaciuto fare la brava ragazza del cinema.

Ha un sogno nel cassetto?
Più di uno. Del resto, se non ne hai, sei morto. Voglio vedere le mie bambine crescere, e sono curiosa di scoprire come diventerà il mio lavoro quando sarò vecchia. Ho la sensazione che arriveranno ruoli più interessanti. La bellezza può essere come una maschera, che ti isola e ti schiavizza. Da vecchietta mi si apriranno altre porte, ne sono certa.

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