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Da Godard al ... Festival di Roma

Il cinema ormai vive di contenuti sociali e politici.
di Pino Farinotti

In foto Jean-Luc Godard.
Jean-Luc Godard 3 dicembre 1930, Parigi (Francia) - 13 Settembre 2022, Parigi (Francia).

lunedì 8 novembre 2010 - Focus

Un po' di paradosso: si può leggere il quinto Festival di Roma come una sorta di Concilio tridentino del cinema che ha sancito tendenze e codici del movimento attuale. A Trento, a cominciare dal 1545 la Chiesa dovette affrontare anche l'irruzione di Lutero. Non era evento da poco. Il cristianesimo cambiava, sentimenti e contenuti diversi, e regole diverse. E cambiava chimica. L'ho detto sopra, fatte tutte le debite proporzioni, lo spunto paradossale può starci.
Anche il cinema ha dunque decretato il proprio cambiamento di chimica. Il quinto festival di Roma, potrà essere ricordato anche in questo senso: aver derubricato la qualità del cinema. Naturalmente rispetto all'autorevolezza della manifestazione, ancora tutta da conquistare. Grande o piccolo, comunque il segnale verrà registrato sui libri.

Corretto
Si sono accorti tutti, a Roma, che il cinema ormai vive di contenuti sociali e politici, di linguaggio urlato e di politicamente corretto che a forza di essere corretto finisce per essere levigato e piatto. E senza potenza. Il Cinema, (c maiuscola) con le sue belle identità, il linguaggio, l'estetica, il sortilegio e il sogno, l'evasione e il sentimento, l'eroe, la poetica e l'arte, insomma il cinema-per-se-stesso, ormai è un ospite lontano, tanto rarefatto da non esistere quasi più.
Mi si conceda che lo dico da molto tempo.
Roma ha presentato una serie di vicende che sembravano ordini del giorno di un'agenda politica. Molte culture e Paesi sono presenti.

Precedenti
Ci sono stati anche dei precedenti singolari, come la sfilata dei cineasti sul red carpet. Erano contenti di esserci. Hitchcock e Fellini, lo dichiaravano, un pochino invidiavano i loro alter ego Grant e Mastroianni. Erano loro, i modelli creati dai registi, che il pubblico adorava. Certo che i maestri sfilavano sul tappeto, ma le ovazioni erano per i divi. E così la protesta, legittima, degli autori contro il ministero che non finanziava, è stata fatta il giorno dopo che il ministero ha finanziato. Ma era bello, per produttori, sceneggiatori e registi, essere divi per caso e per un momento. Non hanno resistito. Un altro ordine del giorno era la rivendicazione dei precari che si mescolavano alla gente di cinema. Rivendicazione ultralegittima, come del resto lo sono quasi tutte in Italia che, detto alla Coen, "Non è un paese per nessuno".

Ostaggio
Dunque gran parte del cinema è tenuta in ostaggio dalla politica e dalla televisione. I registi, salvo eccezioni naturalmente, sono bravi impiegati, sanno mettere insieme un film, così come saprebbero montare un servizio per un talk o un documentario. E da noi gli schemi sono ormai tristemente sempre gli stessi, ribaditi naturalmente a Roma. Storie e caratteri ormai consolidati. La famiglia? Che sia numerosa, così possiamo metterci un figlio gay e meglio se ci sta anche una figlia lesbica. La mamma? Che non sia l'angelo del focolare, che sia un po' puttana. Il padre? Be', non capisce niente. La droga? Ma è normale, si sa, i giovani si drogano tutti e molti spacciano. La scuola? Perché, esiste ancora una scuola? La fede, cos'hai detto, la fede? Cos'è? Gli stranieri: devono sempre essere migliori di noi. Un rapinatore assassino? È un trasgressivo, anzi, un eroe. Un attore bello? Ma sei matto? deve essere normale, se bruttino meglio, espressione del paese. Bravo? Bravo, sì, possibilmente. E vediamo un po' se ci possiamo metterci una cugina assassina, o quella tizia dei riti satanici, o una escort che sbarca a Olbia. L'audience va tenuta d'occhio.

Sociale
Una volta Jean-Luc Godard fece La chinoise. Film sociale e politico. Un gruppo di studenti parigini si applica su una revisione del pensiero comunista, quello russo, nella chiave maoista. Véronique, la leader, propone l'uccisione di un ministro sovietico che verrà in visita. I ragazzi vanno a conferenze, dibattono fra loro e coi maestri filosofi, hanno la stanza invasa dai libretti rossi di Mao, analizzano e contestano tutto, attraverso metafore volutamente astratte, artatamente incomprensibili. Era la cultura ed erano i sentimenti di quella generazione del sessantotto. Godard applica a quel film tutta la sua potenza. Lui sì, l'aveva. Citazioni letterarie, da Puskin a Brecht, e poi cinefile, Fellini e Ray, con un richiamo al linguaggio di Eisenstein. Godard cerca e trova, propone l'idea utopica, anche della rivoluzione delle armi e della cultura, che può appartenere ai giovani, magari senza la speranza che il tutto si attui. Ho detto "il sessantotto" e qui viene il bello: Godard sapeva già tutto... un anno prima. La Cinese infatti è del '67. Cinema sociale e politico, e addirittura pre-instant. Senza televisione. Confusione, contraddizione, ma entusiasmo e stile. Un cinema che anticipava non solo la letteratura, disciplina antica e nobile, ma anticipava la Storia. Il cinema di un artista colto, studioso vero, scrittore vero, maestro. Un inciso: ci volevano i francesi, arroganti, antipatici, ma ciclicamente, i primi ad arrivare. Com'era bella, com'era intelligente, com'era confusa ma affascinante quella sinistra di Godard. "Confusa" come può essere una licenza del cinema, anche al massimo livello. Ecco come un grande autore leggeva quel momento storico.

Imbarazzo
Ho imbarazzo a rientrare da Godard nelle vicende romane. Ma tant'è. So bene di aver evocato un paradigma sleale, ma fa bene a volte evocarli. Le differenze vanno rilevate, magari come promemoria, o come auspicio. Anche se mi sembra una battaglia perduta. E adesso tutto è straordinariamente univoco e coerente, tutto torna.
Ha vinto una storia, certo grottesca, di suicidi. In perfetta linea col Concilio di Roma.
Ha vinto Toni Servillo, attore magnifico e grande caratterista. Ma al Cinema non basterebbe. Secondo buona parte della critica, e del pubblico, il film migliore era Oranges and Sunshine, di Jim Loach, la vicenda dei 130 mila ragazzini deportati dalla Gran Bretagna all'Australia. Un contenuto troppo importante e intenso, troppo cinematografico. Da ignorare, assolutamente. Infatti è stato rigorosamente ignorato.

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