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Horror Frames: I bambini terribili e il remake di Baby Killer

Non essere contenti di venire al mondo.
di Rudy Salvagnini

I bambini terribili

martedì 8 giugno 2010 - News

I bambini terribili
Nel cinema horror più di qualche volta i bambini sono ben lontani dall'essere la rappresentazione dell'innocenza. Anche tralasciando quelli posseduti - classica la Regan de L'esorcista - e i figli del diavolo (che hanno naturalmente ampie ragioni per essere cattivelli) come ne Il presagio e simili, ne resta un ampio plotoncino. All'origine, quanto meno per l'horror moderno, c'è un famoso racconto di Ray Bradbury, Il piccolo assassino, breve e fulminante, che sottendeva un concetto interessante, quello che non sempre chi viene al mondo è contento di farlo.
Tra i bambini malevoli più noti ci sono quelli de Il villaggio dei dannati diretto da Wolf Rilla e tratto da uno dei romanzi migliori di John Wyndham, uno dei più rinomati scrittori britannici di fantascienza, autore anche di quell'altro caposaldo del fantahorror che è Il giorno dei trifidi, anch'esso oggetto di più versioni cinematografiche e televisive. Sottile e inquietante, Il villaggio dei dannati ha avuto un interessante sequel (La stirpe dei dannati di Anton Leader) e un remake (modesto) di John Carpenter. Analoghi ai bambini de Il villaggio dei dannati, ma ancora più spossessati della loro innocenza e resi alieni al mondo (mentre gli altri erano veramente di un altro mondo) sono i bambini di un altro piccolo capolavoro fantascientifico: Hallucination, prodotto dalla Hammer e diretto da Joseph Losey, che ha saputo dare il suo inconfondibile tocco di ambiguità e problematicità a una storia già di per sé inquietante. In campo più orrorifico non si può tralasciare Ma come si può uccidere un bambino? di Narciso Ibáñez Serrador, che ha mirabilmente unito, in un clima hitchcockiano, politica e orrore creando una tensione notevolissima. Ci sono molti altri titoli, ma il film che forse più di ogni altro ha contribuito a creare l'icona del bambino omicida è Baby Killer di Larry Cohen. Incalzante, ricco di spunti originali e dotato di una notevole carica iconoclasta, Baby Killer è un piccolo film capace di riflessioni e approfondimenti psicologici per nulla banali. Il suo successo ha generato due seguiti diretti sempre da Cohen e, come è ormai costume, anche un remake, It's Alive, realizzato recentemente da Josef Rusnak. Girato in Bulgaria con un budget modesto, il film è dichiaratamente basato sul film di Cohen, che figura tra gli sceneggiatori, ma si prende ampie libertà, pur mantenendo la situazione di base.

La trama
Larkspur College, New Mexico. Lenore Harker (Bijou Phillips) è incinta e perciò lascia il college e la sua compagna di stanza Marnie (Ty Glaser). Il padre è Frank Davis (James Murray) che, pensa Lenore, sarà grande nell'evenienza. Non si sbaglia: quando Lenore arriva a casa sua per viverci, trova già preparata una perfetta cameretta per il nascituro. Frank ha un fratellino paraplegico, Chris (Raphaël Coleman) che è finito sulla sedia a rotelle nell'incidente in cui hanno perso la vita i loro genitori. Mentre fa una doccia, Lenore ha le doglie e Frank deve portarla di corsa in ospedale. Pur nella concitazione, tutto sembra normale finché il dottore non dice a Frank che il feto è incredibilmente raddoppiato di grandezza dall'ultima visita. Perciò servirà un cesareo. Frank attende ansioso. Quando un inserviente va nella sala operatoria trova medico e infermieri massacrati e il neonato piangente sopra Lenore. Il sergente Perkins (Owen Teale) della polizia indaga, ma naturalmente non può pensare che l'omicida sia il neonato. Perkins spera comunque che Lenore, benché anestetizzata, possa ricordare qualcosa, grazie anche all'intervento del dottor Baldwin (Jack Ellis), specializzato nel far emergere memorie nascoste. Lenore ha comunque i suoi problemi: il neonato le morde il seno durante l'allattamento e altri fatti strani avvengono in casa. Quando trova il piccoletto intento a divorarsi un piccione, Lenore si rende conto che suo figlio non è proprio come tutti gli altri. Balzano subito agli occhi le differenze iniziali tra il remake e il film originario. Il bambino, a differenza che nel film di Cohen, non ha l'aspetto di un mostro. È più in linea con il concetto bradburyano del normale neonato che nasconde la sua natura omicida. Anche la coppia che partorisce il neonato è diversa. Non è una tipica coppia borghese di età matura e perfettamente integrata. Qui i genitori sono giovani. Non sono sposati, lei è una studentessa, lui un promettente architetto con un retroterra familiare traumatico. Questi cambiamenti non portano però particolari benefici alla storia. In particolare, il fatto che apparentemente il bambino non sia un mostro diminuisce ancor più la credibilità delle sue azioni.

Contro ogni logica
J osef Rusnak si era fatto notare soprattutto con l'interessante Il tredicesimo piano, tratto da un famoso e fondamentale romanzo fantascientifico di Daniel F. Galouye, ma la sua carriera non ha avuto sviluppi particolari. Affronta il racconto cercando di trarne suspense in modo piuttosto tradizionale, inserendo avvenimenti bizzarri e misteriosi in un contesto che dovrebbe essere idilliaco. Il risultato è sin troppo scolastico e prevedibile. Non va meglio con la caratterizzazione dei personaggi. Come nel film di Cohen, la mamma protegge il bambino contro ogni logica a dimostrazione del rapporto privilegiato tra madre e figlio che annulla ogni altra considerazione. Solo che il tasso di credibilità ottenuto questa volta è ridotto sia dalle iperboli della sceneggiatura (non sostenute dalla messa in scena: i delitti sono sostanzialmente sempre fuori campo), sia da una performance non troppo convincente dei protagonisti. Non che Bijou Phillips - figlia di Genevieve Waite indimenticata protagonista del curioso Joanna e di John Phillips dei Mamas & Papas - non mostri a tratti doti recitative di qualche livello. Il problema è che non è troppo adatta alla parte, non riesce a rendere in modo convincente il dramma della madre del mostro. Del tutto convenzionale il ritratto del padre, che nel film di Cohen, nella magistrale interpretazione di John P. Ryan, diventava invece il vero protagonista.
La storia inoltre ha una progressione lenta e torpida, che nemmeno il finale riesce a scuotere. Anche lo spunto sociopolitico che era alla base del film di Cohen - con il neonato mostruoso creato per colpa di una spregiudicata multinazionale farmaceutica che aveva messo in commercio dei farmaci senza calcolarne gli effetti collaterali - viene trivializzato con un aggiornamento piuttosto risibile che fa risalire la causa a pillole abortive trovate su internet e assunte improvvidamente dalla dubbiosa futura mamma. Forse è sembrato agli autori un furbo aggiornamento ai tempi del web, ma è solo senza senso. O meglio, toglie ogni senso polemico al film. Tutto è più asfittico, decontestualizzato, manca completamente lo sfondo sociale: la vicenda è ambientata in un non luogo, deserto e senza contatti, dove le forze dell'ordine sono minimali e una lunga catena di omicidi passa inosservata.
Raramente i remake riescono a dimostrare d'aver avuto diritto all'esistenza da un punto di vista creativo o spettacolare: questo non è uno di quei casi.

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