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Elvis Presley avrebbe... anzi ha 75 anni

Nacque a Tupelo, il 9 gennaio del 1935.
di Pino Farinotti

Elvis
Elvis Presley (Elvis Aron Presley) 8 gennaio 1935, Tupelo (Mississippi - USA) - 16 Agosto 1977, Memphis (Tennessee - USA).

lunedì 11 gennaio 2010 - Focus

Elvis
Capita a tutti, fermi a un semaforo che si affianchi una macchina, finestrino aperto, dalla quale esce una musica tambureggiante. E magari il guidatore, un giovane, si muove a quel ritmo. Quel ritmo, quella musica, quel sentimento, vengono da lontano, da uno scantinato dove, nei primi anni cinquanta Elvis Presley, men che ventenne stava inventando, (o aggiornando o perfezionando ma cambia poco, l'identità è la sua) il rock, un movimento molto importante. Lo sappiamo tutti.

Momento
Ci sono delle costanti singolari ed efficaci, una è "dov'eri in quel momento". È notorio che tutti gli americani ricordassero, e molti ricordino, dove si trovassero all'annuncio della morte dei presidenti Roosevelt e Kennedy. E dove si trovassero, quel 16 agosto del 1977 quando vennero raggiunti dalla notizia della morte di Elvis Presley. Anch'io lo ricordo, ero nella mia casa di montagna nel piacentino, frazione "Farinotti", stavo cercando un libro nel disordine e da fuori mi sentii chiamare da mio cugino Gianluigi che mi disse, appunto, che il telegiornale aveva appena dato quella notizia. Anche per me, come per quasi tutti, Presley era quello che sappiamo. Uno dei modelli decisivi che fanno parte della memoria e della coscienza, inserito in profondità in quello spazio che accoglie l'incanto, l'evasione, il sogno e detto senza astrazioni, la musica le canzoni e il ballo. E qualcuno aggiungerebbe, lo sballo. Un modello raro, anzi esclusivo. Legittimo che la notizia della fine (parziale, perché poi ci saranno le canzoni e le immagini, per sempre) di un sortilegio così prepotente, dovesse valere, per lo meno, il prezzo della memoria, del momento e del luogo. Quando seppi di Sordi, giusto per fare un nome importante, certo mi dispiacque, anzi ne fui addolorato, ma per risalire almeno all'anno, devo forzare la memoria. Certo, so che era il 2002, sono quasi obbligato, per mestiere, a saperlo, ma di quel 1977 ricordo giorno, mese, momento e luogo, appunto.

Noi tutti
Perché Elvis sia così importante, anzi, sia "parte" un po' di noi tutti, può essere intuito, ma non decifrato con esattezza. Non vale l'analisi, la sociologia, la semiotica, il momento, la chiave musicale ed estetica, non vale la ragione. Era alto così, quella era la misura dei suoi fianchi, i capelli erano corvini, le iridi azzurre, quello era l'abbigliamento, quelli gli accordi, pochi in verità, della sua chitarra. All'inizio tutta roba sua, ed è il momento che conta, poi, naturalmente il marketing, gli uffici stampa, gli impresari, i consulenti, gli amici, la corte. Forrest Gump, che nel suo racconto incrocia alcuni momenti, e monumenti della storia americana del secondo novecento, oltre ai presidenti Johnsson e Nixon, oltre a Dylan, incontra il ragazzo Elvis che sta provando un passo di ballo, il suo famoso passo. Quel movimento delle spalle, soprattutto quello del pube e delle gambe: se l'angolo delle ginocchia fosse stato un po' più stretto, o un po' più largo, ecco, sarebbe successo tutto ugualmente? O sarebbe successo diversamente, o meno, o non sarebbe successo affatto? Il tutto, per istinto, non per consapevolezza o calcolo. Solo istinto (certo, parlo sempre di inizio), come è giusto che sia. Da dove è legittimo che parta il precursore. E poi, naturalmente, la voce, un incantesimo esplosivo oppure un incantesimo dolce, e l'uno valeva l'altro. Cantava il rock più violento di "Heartbreak Hotel" e "Jaillouse Rock", oppure la suggestione lenta di "Are you lonesome tonight" e "Can''t help falling in love". E davvero non è di tutti.

Giovani
L'influenza di uno come Presley sui giovani, sul sentimento, sui costumi è conosciuta. Si tratta di capire,l'ho detto sopra, fino a che strato della coscienza un esempio come il suo si sia attestato. E' un argomento al quale ho spesso dedicato spazio. Ci fu un momento in cui la lunga onda media, cinema, tv, carta "leggera", adesso web, cominciò a comandare e a sopraffare il resto della cultura, l'arte, i libri, i congressi, le testate specializzate. I soggetti del media leggero hanno avuto buon gioco. Una volta l'identità di un paese era dettata dalle intelligenze radicali, superiori, capaci di leggere il momento, a volte di determinarlo, e di dispensare dall'alto. Si diceva l'Inghilterra vittoriana, la Francia cartesiana, l'America di Roosevelt e di Kennedy. Poi l'Inghilterra è diventata quella dei Beatles e l'America quella di Presley. Possiamo chiamarla globalizzazione, o relativismo culturale. Il quesito è sempre quello della profondità. Dove si attesta la vicenda, per esempio, di Woodstock? La grande riunione rivoluzionaria, con la musica come collante di tutto, del rock e di tutti i simboli che si portava dietro e che una certa gioventù aveva contratto. Certo è che Woodstock, da qualche parte si è attestato.

Irrompe
Presley irrompe nei primi anni cinquanta, quando il grande movimento dei media leggeri si sta preparando a ... muoversi, appunto. Elvis, senza consapevolezza lo ribadisco, sembra fatto apposta per il momento. Il primo grande mercato sono i giovani, la prima grande istanza è la ribellione. Un precedente c'è già, molto vicino, appartiene all'arte nobile, alla letteratura, che, strutturalmente, come vocazione e profondità, è destinata ad arrivare prima del medium leggero. Holden Caulfield, l'eroe adolescente inventato da Salinger, vive nel 1951, dunque solo tre anni prima dell'avvento di Presley. Holden è davvero il primo ispiratore dell'istanza detta sopra che diventerà una coccarda dei giovani per il resto del secolo, e oltre. Anche James Dean si affianca a Presley,e anche Dean deriva da un personaggio della letteratura, il ribelle Cal Hamilton, il ragazzo protagonista de "La valle dell'Eden" di Steinbeck. Il libro (1952) era quasi a ridosso del film (1955). Quando nel '54 Elvis provava mosse accordi e canzoni, era già un ribelle, l'anno dopo con titoli come "That's All Right" e "Good Rockin' Tonight" era sul mercato, e l'anno successivo era nelle classifiche. In quel tempo la musica leggera era nettamente divisa fra nera e bianca, Presley intuì, ma solo perché la preferiva, che la nera offriva maggiori possibilità di evoluzione. Così si mise a ballare cantando: sembra la cosa più semplice dello spettacolo, ma come sempre c'è voluto un precursore. Ancora prevaleva, allora, il modello Sinatra&Crosby, cantanti in giacca, magari in smoking, che si esibivano statici, compassati, muovendo solo le mani. Da quel momento Elvis è diventato l'eroe popolare generale, dunque non solo musica, di un'era perenne. Si contende il primato di vendita di dischi coi Beatles. I suoi numeri sono sovrumani, eccone tre a semplificare: circa 1.300 settimane di permanenza nelle classifiche, spesso al primo posto, 61 album pubblicati per una vendita di oltre un miliardo di copie.

Il cinema
Il cinema naturalmente si avventò su un patrimonio del genere. All'inizio tentarono un restyling, proponendolo in ruoli drammatici, persino in western, ma la chimica di Elvis cantante e uomo spettacolo non era la stessa di Elvis attore. Nei film non era l'eroe esclusivo, ma una bella presenza, una delle tante. Così negli anni sessanta la Metro gli restituì, sullo schermo, la sua identità e gli costruì dei musical. Faceva il bagnino a Las Vegas, il pilota d'auto da corsa, l'animatore nei locali. Soprattutto cantava. Fu lui a ridare visibilità a un genere che aveva ormai consumato la sua stagione d'oro. E comunque Presley sarebbe sempre stato quello dei concerti, dei dischi, dei servizi. La sua vera casa, il suo sito naturale era il palcoscenico, al set si adattava. Uno dei molti modi che lo tengono in vita sono i cloni, gli adepti, i figli degeneri. Nessuno ne ha avuti quanti lui. In America sono migliaia, hanno persino un sindacato. Negli anni sessanta anche artisti nostrani non hanno potuto prescindere da lui, dico Celentano, Bobby Solo, Little Toni. Tutte le rockstar che si sono imposte da allora hanno speso una parte della sua eredità. Certo in evoluzione, certo perfezionando. Un nome su tutti, ritoccato nelle generazioni, Michael Jackson, che ballava meglio di Elvis, ma non cantava come lui.

Stress
Pochi giorni prima di morire 42enne Presley tenne un concerto. Alla fine, stress, pressioni, alcol e sostanze, il diabete: gonfio con quel costume carnevalesco, sembrava l'effetto speciale di se stesso. La vita e la carriera lo avevano davvero logorato, più del dovuto. Sappiamo, la vita d'artista, di un artista come lui poi: da decenni puoi spendere 100mila dollari al giorno e non sono che uno spiffero nella tua economia, e poi le donne che ti assediano, in fila per farsi sedurre. E ancora: vuoi una villa alle Hawaii, un palazzo a Venezia, una tenuta in Costa azzurra? Eccoli. Equilibrio difficile da gestire, e poi tutto il resto. Qualche anno fa c'era uno spot ispirato a Elvis. Un cantante è sulla sua limousine, con lui il manager che gli detta il calendario, un amico che fuma uno spinello, una ragazza che gli accarezza un ginocchio, un terapista che gli massaggia il collo. E' notte, la macchina arriva sul ponte su un fiume lento e liscio, la rockstar fa fermare la macchina, scende, scavalca la balaustra, si libera del costume, si tuffa in acqua. Nuota, libero e nudo, sottacqua, poi emerge, fa altre bracciate, raggiunge la sponda, è in piedi, libero, rivolto verso il cielo pieno di stelle. Poteva essere il sogno di Presley, l'istantanea della sua salvezza. Ma era troppo compromesso, così giovane.

Luci
La radio si sente soprattutto in macchina, passano musiche e canzoni, piatte e superflue, poi d'improvviso cambia qualcosa, entrano una musica o una voce, diverse, intense come luci alogene, può essere Cole Porter, o Piazzolla, gente che ha la grazia, può essere Presley. Così comprendi come quella sua mitologia non sia soltanto marketing gonfiato e imposto, tradizione portata da un volano di grande raggio, comprendi come il suo eccesso, la sua iperbole, siano autentici, nella sostanza e nella dotazione. Un divo (senso letterale) che fa parte di un palazzo che ospita pochissimi inquilini. Davvero li puoi contare sulle dita di una mano.

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