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Diventa giurato MYmovies: i vincitori

Adriano Lotito e Matteo Mele saranno i giurati MYmovies a Giffoni Experience.

I due giurati MYmovies a Giffoni Experience

lunedì 8 giugno 2009 - News

I due giurati MYmovies a Giffoni Experience
Si è concluso il 30 maggio su MYmovies il concorso "Diventa giurato MYmovies". Dedicato ai giovani tra i 16 e i 18 anni (non compiuti), il concorso ha rivelato l'amore per il cinema, la sensibilità e le ottime doti di scrittura dei ragazzi che hanno partecipato pubblicando le loro recensioni su MYmovies. I vincitori rappresenteranno MYmovies come giurati Generator + 16 alla 39esima edizione del Giffoni Film Festival e avranno l'opportunità di osservare e giudicare tutti i film in concorso, partecipando ad incontri con attori e registi. I due ragazzi saranno ospitati a partire dal 16 luglio presso una delle tante famiglie dei giurati che hanno dato disponibilità per offrire vitto e alloggio a Giffoni e dintorni.
I vincitori di questa prima edizione del concorso "Diventa giurato MYmovies" sono Adriano Lotito di Andria e Matteo Mele di Lecce, entrambi sedicenni.

Adriano Lotito frequenta il liceo classico ad Andria e ha partecipato al concorso con la recensione del film Gran Torino di Clint Eastwood, dimostrando di saper cogliere e analizzare i valori che stanno alla base dell'intera filmografia eastwoodiana.
Adriano adora il cinema, la musica rock e metal, i libri, e ama scrivere poesie.

Matteo Mele, che frequenta il liceo classico Virgilio di Lecce, ha partecipato con la recensione del film WALL-E di Andrew Stanton , dimostrando una spiccata sensibilità nel descrivere le tematiche sociali affrontate dall'opera.
Matteo ama il cinema di ogni genere, la lettura, la musica (in particolare quella del "poeta" Fabrizio De André) e ha avuto diverse esperienze teatrali.

Ecco a seguire le due recensioni.

WALL-E, recensione di Matteo Mele
Un ammasso di ferraglia che si aggira per una città in cui i grattacieli di spazzatura hanno superato in altezza quelli costruiti dall'uomo. È questa la prima, desolante immagine di WALL-E, ottavo capolavoro Pixar, intriso di educazione visiva e di un inevitabile (e giustificato) pessimismo di fondo. WALL-E è una figura che non si dimentica facilmente, sia per la fisicità goffa e spassosissima (geniali gli occhi a forma di binocolo) che per la personalità estremamente commovente e malinconica. WALL-E è un eroe, ma non ha la consapevolezza di esserlo; in un mondo che l'uomo, fuggendo codardamente dalle sue responsabilità, ha abbandonato, il robottino continua imperterrito la sua attività, conservando intatte curiosità e intraprendenza. Le scene, costruite come se fossero riprese da una telecamera (volutamente inseriti, perciò, certi fuori fuoco o movimenti poco fluidi), sono realistiche e coinvolgenti.
Intriso di uno splendido e suggestivo cromatismo visivo, il film rappresenta uno straordinario atto d'amore verso il cinema, un prodigio di stampo ecologista che pone in primo piano un'aspra e inevitabile denuncia della perdita dei valori situati alla base degli uomini. L'immagine della loro "metamorfosi" nella seconda parte del film colpisce gli occhi e il cuore dello spettatore: obesi, pigri, viziati dalla tecnologia di cui sono stati loro stessi gli artefici, ma soprattutto perduti nel loro mondo di aberranti abitudini e meccaniche routine e, conseguentemente, incapaci di avere veri rapporti con i loro simili. Ciò che turba di più, però, è il fatto che non siano a conoscenza dell'esistenza del pianeta (la Terra, of course) da cui tutto ha avuto inizio.
Il riferimento a "2001: Odissea nello spazio" è inevitabile: l'uomo, prigioniero inconsapevole dell'alienante mondo a cui ha dato vita, diventa, infine, schiavo della sua stessa creatura. WALL-E, in questo tragico e apocalittico quadro, è l'unico in grado di riportarlo alle sue origini, l'unico in grado di riconnetterlo a se stesso e, soprattutto, al suo prossimo. Tutto questo attraverso una esile piantina, simbolo speranzoso di un mondo (il nostro) che con spirito d'intraprendenza e forza di volontà può essere riconquistato in qualunque momento.
Tutto ciò che conta è l'amore, l'unica, vera forza in grado di radicare gli animi alla radice, l'unica in grado di riportarci in un mondo migliore. In quest'atmosfera vibrante e suggestiva, resta, tuttavia, un dubbio impellente: per quale motivo gli esseri umani sulla navicella spaziale hanno caratteristiche animate, al contrario dell'ultimo presidente degli U.S.A, che compare in alcuni spezzoni con caratteri fisici propriamente realistici? Metaforica stilizzazione dell'uomo che, a causa della perdita dei suoi valori, si riduce simbolicamente a un disegno animato o pura e inaspettata distrazione degli animatori Pixar? Ai posteri l'ardua sentenza.

Gran Torino, recensione di Adriano Lotito
Harry Callahan, Thomas "Gunny" Highway, Frankie Dunn e adesso, per ultimo, Walt Kowalski. Dietro questi nomi, veri e propri senhal di un tipo d'uomo, c'è un unico volto, un'unica burbera espressione, un unico vir: Clinton "Clint" Eastwood, leggenda vivente, simbolo di un cinema classico hollywoodiano che ormai si ritrova solo nelle pagine ingiallite dei libri di storia del cinema, autentico mostro sacro di un cinema d'auteur e mainstream ad un tempo, che sa fare solo lui. Gli spettatori, i critici, i registi di tutto il mondo si chinano al suo cospetto. Negli ultimi quindici anni si è costruito un'autentica aura mitica e non gli si può assolutamente dar torto. A tutti oggi vien da dire: e chi ci avrebbe scommesso su quel vaccaro che sapeva solo stare col sigaro o senza? Con questo suo ultimo capolavoro, Eastwood firma il suo testamento: l'ideale conclusione di un percorso assolutamente personale all'interno dei binari del cinema commerciale. Walt Kowalski, ex-operaio della Ford in pensione, nonché eroe di guerra in Corea, è un vecchio insofferente e disilluso, che vede cadere la sua patria sotto la valanga di stranieri che gli invadono il quartiere, che si sparano a vicenda, che hanno usi e costumi diversi. Ma ecco, che dopo una vita (descritta in tanti film da Dirty Harry a Gunny) fatta di solide certezze, di assoluta (e cieca) determinazione, ecco aprirsi uno spiraglio nella ferrea personalità del vecchio Wally: dopo mille esitazioni, entra finalmente in contatto con una famiglia di orientali che abitano accanto alla sua villetta. Ed ecco dispiegarsi davanti ai suoi occhi (e al suo cuore) un mondo incredibilmente vario, divertente, curioso, tutto da scoprire ma soprattutto, un ambiente in cui egli, tra tante diversità, riesce addirittura ad identificarsi. Infatti, i valori che possiedono Thao e sua sorella sono incredibilmente distanti dall'insipida logica del guadagno che possiedono i figli di Walt e le loro rispettive famiglie e molto più vicini a lui. Nella prima parte la continuità filmica si perde un po' tra mille fronzoli, la linearità dell'azione si spezza a causa dell'eccessivo tempo con cui il regista si sofferma nel descrivere la comunità hmong col quale è entrato in contatto. Ma nella seconda metà dell'opera inizia un incredibile crescendo di tensione che culmina nella mezz'ora finale, il sensazionale spannung e l'agognato momento catartico, come atto ideale per porre fine ad una grande parabola di sentimenti, sofferenze, riflessioni che hanno percorso tutta l'intensa filmografia da regista di Clint Eastwood. La sparatoria finale, la caduta di Walt, incredibilmente eroico nell'estrarre l'accendino ricordo di un massacro. Il suo momento espiativo è sicuramente realizzato in modo tale che gli occhi dello spettatore, già messi a dura prova, non reggino le lacrime, quindi fin troppo esplicito nella maestosità della sua mise en scene; ma in tal modo nessuno, nemmeno l'uomo più freddo, può rimanere impassibile, nessuno può chiudere la porta del suo cuore e respingere la marea di emozioni che provoca questa visione. Efficacissima poi la ring composition: il film comincia con un funerale e si chiude con un altro; tra una morte e l'altra, dalle ceneri dell'automa Walt Kowalski, spietato e nolente assassino di coreani, è nato, cresciuto e (in pace) morto un Uomo. Ben scritta la sceneggiatura dell'esordiente Nick Schenck, eccellente l'interpretazione di tutti gli attori, ben fatto dal punto di vista tecnico. Di Gran Torino hanno scritto ammirevolmente numerose penne, elencando le numerose tematiche affrontate: il razzismo, la gioventù bruciata delle boy gang, il difficile rapporto tra padre e figli, il rapporto ambiguo con Dio e la religione, la guerra, la patria...Io dico che al centro c'è innanzitutto un Uomo. Un Uomo e la sua Parabola. Da non perdere. Post scriptum: sì, bella la redenzione di Walt, ma alzi la mano chi in fondo al suo cuore, non avrebbe voluto vedere una magnum 44 al posto dell'accendino e quattro cadaveri sul selciato della strada.

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