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Valzer: L'Italia di oggi in piano sequenza

A quasi due anni di distanza dalla presentazione al Festival di Venezia, il film di Salvatore Maira trova il buio delle sale.
di Edoardo Becattini

Un valzer fra le stanze d'albergo
Valeria Solarino (44 anni) 4 novembre 1979, El Morro de Barcelona (Venezuela) - Scorpione. Interpreta Assunta nel film di Salvatore Maira Valzer.

venerdì 22 maggio 2009 - Incontri

Un valzer fra le stanze d'albergo
Ossessione e tormento di registi e teorici del cinema, il piano sequenza è una delle inquadrature più complesse da organizzare e realizzare quando si fa un film. La capacità di prolungare una ripresa nella sua continuità fino a farle comprendere più momenti dello sviluppo di una storia è stata vista come manifesto, nel corso della storia del cinema, tanto di un'idea di realismo che di estetismo, come una presa di posizione etica oppure un vacuo esercizio di stile. Al di là di coloro che di questa tecnica si sono dimostrati maestri (in avanti nel tempo, troviamo Welles, Antonioni, De Palma, nonché buona metà dei cineasti della Nouvelle Vague), sono però in pochi, pochissimi ad aver tentato la radicalizzazione dell'inquadratura fino all'intera durata del film. Lo ha fatto Hitchcock (Nodo alla gola), barando sull'illusione della continuità con primi piani e dettagli di raccordo per poter cambiare bobina alle sue apparecchiature. Lo ha fatto Sokurov vagando in perenne soggettiva per le sale dell'Hermitage di San Pietroburgo alla ricerca della memoria storica della Russia zarista. E lo ha fatto anche il regista-professore Salvatore Maira, presentandosi due anni fa al Lido di Venezia con un lungo Valzer girato in digitale fra le stanze e i corridoi di un albergo del centro di Torino. La scelta estetica si muove a tempo con la radicalità della descrizione di un'italietta dominata da logiche di potere e principi "etici" mutuati dalla tv generalista. Il problema è che le scelte che impongono un virtuosismo tecnico di tale portata mal supportano una storia che, invece che agire per sottrazione, tende ad accumulare uno su l'altro tutti i mali della moderna società italiana. Calciopoli e vallettopoli, escort e lavoratori precari, esistenzialisti e desaparecidos coabitano letteralmente lo stesso quadro e finiscono con l'essere affrontati, per forza di cose, solo in maniera superficiale. Lo sforzo tecnico-artistico è stato tuttavia riconosciuto con premi e menzioni in vari festival del mondo e, allo stesso modo, adesso bisogna riconoscergli l'importanza di una distribuzione autonoma, prodotta unicamente dallo sforzo di chi ha lavorato al film. E che è anche un modo per denunciare, proprio come fa il film stesso, un sistema di produzione modulato sul circuito televisivo.

Vi aspettavate queste difficoltà distributive?
Salvatore Maira: Sì, certo me le aspettavo. Anzi, sarei stato un ingenuo a pensare il contrario visto che le tematiche che il film affronta sono una denuncia spudorata di un sistema che purtroppo dalla televisione ha ormai contagiato anche i meccanismi di produzione e di distribuzione nel cinema.

Gianmario Feletti (produttore): Beh, a dir la verità, sarò stato molto ingenuo, ma, vista la innumerevole quantità di premi vinti nei vari festival del mondo, pensavo che i distributori si sarebbero contesi il nostro film. Così purtroppo non è stato ma ad ogni modo, forti della qualità della nostra opera riconosciuta in tutto il mondo, abbiamo deciso di lanciarci in un processo di distribuzione indipendente con le stesse energie e la medesima devozione con cui abbiamo prodotto e girato il film.

Che tipo di sforzo richiede realizzare un film come un piano sequenza unico?
S. Maira: È stato possibile portare a compimento un progetto di virtuosismo registico così ambizioso soprattutto grazie ad un gruppo di forze tecniche ed artistiche che non era si presentava sul set con la sola intenzione di portare a termine un lavoro ma con un'idea precisa, una logica condivisa per un progetto che ha visto tutti straordinariamente coinvolti e concentrati in ogni fase della realizzazione, dalle prove alle varie realizzazioni in continuità. Abbiamo realizzato dieci volte l'intero piano sequenza del film. Quello che potete vedere come versione definitiva è stata la nona ripresa, che io e il direttore della fotografia Maurizio Calvesi abbiamo selezionato dopo una supervisione meticolosa attenta alla performance e alla sincronia degli attori.

Marina Rocco: L'idea del dover girare in continuità e calcolare con un'attenzione estrema entrate e uscite si è poi riflessa nei nostri stessi personaggi. Il modo di gestire questa claustrofobia e questo tipo di ansia legata alla perfomance si è innestata nella recitazione e ci ha visto tutti entrare con una aderenza maggiore nella psicologia dei caratteri che eravamo chiamati ad interpretare. Inoltre, la difficoltà di girare il tutto all'interno di un albergo situato nel pieno centro di Torino e soprattutto pieno di ospiti ha comportato anche qualche imbarazzo e soprattutto il rischio continuo che da un momento all'altro potessero entrare nell'inquadratura persone del tutto ignare di ciò che stava avvenendo nei corridoi proprio vicino alle loro stanze.

Maurizio Micheli: La tenacia di Salvatore mi ha fatto capire fin da subito che non sarebbe stata un'impresa impossibile. Anche perché per un attore abituato al palcoscenico del teatro l'idea della continuità è un elemento con cui bisogna confrontarsi forzatamente. La differenza principale era confrontarsi con un "palcoscenico mobile", con la presenza di una macchina da presa leggera e in continuo movimento. È un'operazione unica non solo per il cinema italiano e sono fiero di avervi partecipato...ora mi aspetto solo un generoso omaggio da parte della produzione!

In che modo pensate che il film verrà recepito?
S. Maira: Dopo i riconoscimenti da parte dei festival e delle giurie di specialisti e addetti ai lavori, attendo con ansia di sapere come il film verrà recepito da un pubblico composto anche da quei non cinefili che non conoscono le difficoltà tecniche legate ad un piano sequenza. Proprio in questo senso abbiamo voluto lavorare per un montaggio interno alle inquadrature, attento a donare al film una dinamicità capace di non far percepire una continuità lunga novanta minuti. Lavorare con un procedimento che fosse antitetico ai ritmi e ai tempi della televisione era fondamentale per l'idea che il film propone. Un'idea che speriamo il pubblico sappia recepire e che lo aiuti a fare delle importanti considerazioni su quella società che la stessa televisione propone quotidianamente. È una tematica molto attuale ed importante, soprattutto nel momento in cui il sistema italiano vive l'anomalia di avere l'unico cinema prodotto quasi interamente dalla televisione.

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