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In bilico sul Muro

Attraverso il cinema tedesco al di qua e al di là del Muro di Berlino.
di Edoardo Becattini

Un cinema diviso in due

lunedì 9 novembre 2009 - News

Un cinema diviso in due
Ogni film è la storia dell'abbattimento di un muro, il tentativo di rendere in forma visibile qualcosa che ci è inibito alla vista. Un eroe che affronta un ostacolo, un prigioniero in fuga, l'attivarsi dell'immaginazione, spesso hanno a che vedere con un muro, reale o simbolico che sia. E poi ci sono i muri della storia, esibizioni di un confine duro e ottuso che è la sintesi perfetta dell'incomunicabilità del nostro mondo, la perversione della non appartenenza e dell'impossibilità a conoscere contro le quali anche il potere dell'immaginazione cinematografica deve scontrarsi. Erigere un muro nella realtà della Storia significa inevitabilmente segnare le frontiere della storia del cinema e confrontarsi con il suo potere di reazione e il suo necessario bisogno di abbattere barriere. Attorno a quel muro che per quasi trent'anni ha diviso in due la grandezza di una città come Berlino, si è stabilita una netta separazione della cinematografia tedesca. Da una parte l'evoluzione del Neuer Deutscher Film e la rivoluzione stilistica apportata dagli autori tuttora conosciuti e riconosciuti come tali (Wim Wenders, Rainer Werner Fassbinder, Volker Schlöndorff, Margarethe Von Trotta, Werner Herzog, Edgar Reitz, Alexander Kluge e Werner Schroeter), dall'altra un cinema fatto da cineasti spesso coraggiosi ma dei quali, nella maggior parte dei casi, si sono perse le tracce, come Konrad Wolf, Kurt Maetzig, Frank Beyer, Heiner Carow o, nel documentario, Volker Koepp e Thomas Heise.

Il cinema e il Muro
Il primo cineasta a collocarsi a Berlino proprio nell'anno dell'edificazione del Muro (iniziato il 13 agosto 1961) è Billy Wilder, ex cittadino europeo espatriato negli Stati Uniti con l'avvento del nazismo, determinato a manifestare il suo dissenso per le ideologie con Uno, due, Tre!. La sua condizione di apolide e il suo sguardo estremamente acuto gli permettono di deridere tanto la deriva del capitalismo americano e i simboli della commercializzazione sfrenata, quanto la chiusura di un'ideologia isolazionista e fortemente restrittiva. Da lì, oltre al racconto romanzato della vera tragica fuga di ventinove cittadini della Berlino Est elaborato da Robert Siodmak con Il muro della paura, i rapporti fra cinema della Germania Est e cinema occidentale si fanno freddi quanto la guerra strategica di quegli anni. Dal "fronte occidentale", oltre al cinema velatamente propagandistico intento a promuovere la paura del "terrore rosso", si sbatte contro il Muro per lo più attraverso storie gialle e di spionaggio nelle quali si confrontano i servizi segreti britannici o americani contro quelli della STASI (fra i più noti, Il sipario strappato di Hitchcock, La spia che venne dal freddo, l'avventura di 007 Octopussy – Operazione Piovra, o ancora le varie declinazioni giovanilistiche (Toccato!) o demenziali (Top Secret!) del genere.
Dall'altra parte del muro si avverte più la necessità di far sentire una certa disperazione, spesso inscritta nei toni del melodramma sentimentale. La maggior parte dei film prodotti nella Germania dell'Est all'interno dei famosi studi di Babelsberg, raccontano di storie d'amore tragiche divise da un muro di ideologie. Spesso si ricorre a testi letterari noti e ad un linguaggio innovativo per rappresentare la dissociazione dello spirito del tempo, come in Il cielo diviso di Konrad Wolff, dove il trauma di una storia d'amore fra un'operaia della Berlino Est e un chimico dell'Ovest riecheggiano lo stile innovativo di Hiroshima mon amour di Resnais. Con la metà degli anni Sessanta e il famoso film di Kurt Maetzig, Il coniglio sono io (anch'esso una rappresentazione di un dissidio: quello di una donna fra l'amore per un magistrato e l'affetto per il fratello giudicato sovversivo), nasce anche una forte censura e, da quel momento, la DEFA (l'organo cinematografico della DDR) finanzierà principalmente film di importanza storica, fra i quali il famoso Jakob il bugiardo, che ispirerà un remake americano con Robin Williams, o di propaganda.

Dopo il Muro
Con una storica proiezione di Coming Out di Heiner Carow, Berlino vede in una sola sera abbattere due muri: quello del tabù dell'omosessualità al cinema e quello che segna la fine del comunismo e l'inizio del processo di unificazione. Dalle macerie di una città spezzata appaiono alcune presenze fantasmatiche sospese nel tempo come gli angeli romantici e dolenti di Wim Wenders de Il cielo sopra Berlino e Così lontano, così vicino, l'agente Lemmy Caution di Jean-Luc Godard che da Alphaville torna dopo venticinque anni nella Berlino post-comunista in Allemagne 90 neuf zéro, o ancora come i due splendidi amanti Hermann e Clarissa, che dopo gli amori di gioventù nella Monaco degli anni '60, si ritrovano nel giorno della caduta del muro nell'episodio che ha inaugurato il terzo ciclo dell'epopea di Edgar Reitz Heimat 3.
Ma, al di là di questi sguardi al di sopra del tempo e dello spazio, la frattura del Muro pare sopravvivere attraverso due tipologie di film che cercano di rappresentare in maniera antitetica certi aspetti della storia della città. Sono due correnti che ispirano un cinema di impegno storico e civile, come quello di Margarethe von Trotta e Volker Schlöndorff (soprattutto di film come La promessa o Il silenzio dopo lo sparo), ma che riportano anche alla ribalta anche la commedia nazional-popolare con film che riflettono in modo beffardo sulle differenze di costumi fra vicini di casa o su alcune imprese rocambolesche per varcare il confine (Go Trabi Go! di Peter Timm, Potremmo fare ben altro di Detlev Buck o Sonnenallee – In fondo al viale del tramonto di Leander Haussmann sono solo alcuni degli esempi).
Sono le stesse due tipologie che proiettano il cinema tedesco contemporaneo nel panorama mondiale con film da una parte come Le vite degli altri e Il falsario – Operazione Bernhardt, dall'altra con successi di un filone tutto dedicato alla Ostalgie, la nostalgia per la vecchia Berlino Est, di cui è capofila Good Bye Lenin! .
Si nota principalmente la voglia di non nascondere un passato travagliato, per motivi che vanno dall'importanza della memoria storica al puro piacere del racconto. Ma anche per dimostrare con orgoglio come il popolo di Berlino abbia fatto della capacità di cicatrizzare le proprie ferite un punto di forza, testimoniato anche dall'eclettismo estremo della sua architettura, dall'idea che il passato e le sue asperità si debbano fondere col futuro e integrarsi anche in modo non pacifico. In una corsa estrema e contro il tempo, come quella della ragazza dai capelli rossi di Lola corre. L'importante è che non ci siano barriere o costrizioni.

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