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William Friedkin a Locarno

Il regista e showman americano presente alla Master Class del Festival di Locarno.
di Giancarlo Zappoli

Una carriera da autodidatta
William Friedkin 29 agosto 1935, Chicago (Illinois - USA) - 7 Agosto 2023, Los Angeles (California - USA).

venerdì 14 agosto 2009 - News

Una carriera da autodidatta
È un William Friedkin in piena forma quello che si presenta alla gremita Master Class del Festival di Locarno dove riceverà il Pardo d'Onore. Inizia ricordando da subito la sua carriera di autodidatta che non ha frequentato l'università, andava piuttosto male all'High School ed è entrato nel mondo delle immagini grazie a una pubblicità che prometteva anche a chi partiva da zero la possibilità di diventare regista televisivo. Appreso il mestiere praticandolo e ammirando i grandi maestri del cinema europeo senza dimenticare l'Orson Welles di Quarto Potere, il giovane Friedkin trova la svolta della sua vita andando ad un party (attività da lui solitamente detestata). È lì che incontra il cappellano del braccio della morte del penitenziario di Chicago (sua città natale). Conversando gli chiede se c'è, secondo lui, qualche condannato innocente. Il sacerdote gli risponde affermativamente: c'è un afroamericano che nel giro di sei mesi andrà sulla sedia elettrica ma che è molto probabilmente estraneo al crimine imputatogli. Friedkin non perde tempo. Noleggia una macchina da presa e gira il documentario The People vs Paul Crumb che riesce a suscitare un movimento d'opinione tale da far sì che la posizione del condannato venga rivista e che Crumb venga prosciolto. Siamo nel 1962 in quegli Anni Sessanta che per il regista sono cruciali per la nascita di un nuovo modo di fare cinema a causa dei traumi creati dalle uccisioni dei due Kennedy, di Martin Luther King e dall'escalation militare in Vietnam.
Proprio l'esordio da documentarista tornerà proficuo nel 1972 quando girerà il suo primo grande successo internazionale Il braccio violento della legge. Perché Friedkin vuole consentire agli attori libertà di movimento e sceglie quindi una troupe leggera e una camera che gli consenta di muoversi agilmente su un set sgombro da elementi da backstage. Nessun vero e proprio set, anzi. Tutte le locations sono reali e la luce è quella d'ambiente. Ad affiancarlo un direttore della fotografia cubano (che era stato al fianco di Fidel Castro riprendendo la sua presa dell'Avana) capace di inventare un carrello su una sedia a rotelle.
Qui Friedkin mostra di divertirsi un mondo raccontando come il casting di quel film abbia avuto alle origini uno scambio di persone. Il responsabile del casting, critico del "Village Voice", si sente fare dal regista una richiesta particolare. "Ho ammirato in Bella di giorno di Luis Buñuel l'attore che recitava nel ruolo del cattivo. Scopri chi è, trovamelo e vedi se è disponibile". Detto e fatto. Così un giorno Friedkin si trova all'aeroporto ad attendere...Fernando Rey. Da subito gli sembra di non riconoscere in quel signore compito con foulard al collo l'attore che aveva in mente. Nel tragitto in auto scopre che Rey non sa il francese, non si vuole tagliare la barba e, soprattutto, ha lavorato con Buñuel ma non in Bella di giorno. Colui che andava contattato era Francisco Rabal che risulterà poi non disponibile. Così Friedkin si ritrova a lavorare con Rey e con un 'noioso' Gene Hackman dopo che altri hanno rifiutato il suo invito convinti che The French Connection sia un film romantico.
Il cinema è comunicazione
Il cinema è comunicazione insiste il regista. A partire dalla sintonia con le varie professionalità della troupe proseguendo con gli attori per arrivare al montaggio. A proposito di attori suscita grande ilarità quando mette a confronto i differenti approcci alla professione di Tommy Lee Jones e Benicio Del Toro. Jones, laureato in un'università prestigiosa e compagno di stanza di Al Gore, una volta sentite le disposizioni del regista è subito pronto per girare. Del Toro vuole sapere il perché di ogni cosa fino ad arrivare a chiedere cosa facesse il suo personaggio quando aveva 12 anni. Ci sono poi attori che i produttori non vogliono. William Peter Blatty, del quale in passato Friedkin aveva criticato una sceneggiatura dinanzi a Blake Edwards che la apprezzava e che nessuno osava contraddire, consegna al regista lo script de L'esorcista. Friedkin lo trova eccezionale e si batterà per avere Ellen Burstyn nel ruolo della madre mentre la produzione vorrebbe o Audrey Hepburn (che non si vuole spostare da Roma) o Jane Fonda (che ritiene che lo script sia una m....). Il produttore si sdraierà per terra dinanzi a lui dicendogli di passare sul suo corpo se vuole la Burstyn. Friedkin lo farà. Così come si accorgerà subito che la undicenne Linda Blair, portata agli studios dalla madre è la protagonista giusta. Sa bene cosa dovrà fare e non ha timore di parlare di masturbazione col crocefisso dimostrandosi competente in materia di autoerotismo. Friedkin è un vulcano di aneddoti e di riferimenti al cinema che inanella con doti da showman minacciando anche sorridendo il pubblico ("Non conoscete questo o quel film? Ma allora andate all'inferno!"). Un pubblico che alla fine invece ringrazierà calorosamente (ricambiato) e al quale, sollecitato da chi gli chiede quali siano i registi che ama oggi risponde con un solo nome: Katryn Bigelow aggiungendo che Hurt Locker è un film che va assolutamente visto. Poi aggiunge tre titoli tutti tedeschi: La caduta, La Banda Baader Meihnoff e Le vite degli altri.
Thank you Mister Friedkin.

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