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Venezia 2010: Italia zero tituli

Quando la nostalgia italiana diventa identità.
di Pino Farinotti

Nostalgia
Margareth Madè (Margareth Maccarone) (41 anni) 22 giugno 1982, Paternò (Italia) - Cancro. Interpreta Mannina nel film di Giuseppe Tornatore Baarìa.

lunedì 10 agosto 2009 - Focus

Nostalgia
L'Italia è in concorso al Festival di Venezia con 4 titoli: Baaria di Tornatore, Lo spazio bianco di Francesca Comencini, Il grande sogno di Michele Placido, La doppia ora di Giuseppe Capotondi.
In uno dei miei recenti interventi ho scritto di nostalgia, riferendomi a Fox Retro, il nuovo canale Sky che ripropone le serie eroiche dei decenni passati. Ci sono anche canali tematici di cinema che guardano al passato. Detto in sintesi perentoria, questo accade perché la televisione e il cinema di adesso non lascerebbero altra scelta. "Nostalgia" è ormai un fenomeno, è certamente di moda e c'è un avallo "serio" a legittimare il concetto, quello della saggistica. Nel suo libro L'invenzione della nostalgia, Emiliano Morreale analizza questo ritorno al passato da una posizione di sospetto. In sostanza rifarsi a cose lontane e apparentemente migliori non porta a nulla, e occorre comunque prendere le distanze, diffidare del sentimento. La nostalgia è una resa. Non si può certo non condividere questa posizione di prudenza e questo segnale di debolezza. E poi non sarebbe mai corretto, su tutti i piani, estetico, culturale, politico, artistico-generale, dire "adesso è peggio di allora". Troppo diversi i tempi, non facilmente decifrabili le evoluzioni.
Parametri
A meno che non si trovino misure e parametri esatti. Dove "esatti" va inteso a sua volta con una certa prudenza trattandosi di valutazioni che non comportano numeri precisi, non comportano "scienza". Pur con tutti i distinguo possibili –la politica, la geografia, l'attualità, le convenienze, il peso economico, e altro- ci sono, in cinema, alcuni premi che possono far testo, anche se in modo diverso (qualità artistica, successo al botteghino) e con tutte le contraddizioni possibili. Alludo ai 3 major: Oscar, Cannes, Venezia. Focalizziamo Venezia, che è alle porte, e il cinema nostro. Baaria racconta la vicenda di una famiglia italiana lungo tutto il novecento, in ottica politica: le guerre mondiali, le ideologie, i partiti che hanno determinato la Storia. Ne Lo spazio bianco della Comencini, la Buy partorisce, quarantenne, una bambina prematura. Dietro l'oblò dell'incubatrice la donna percorre la propria angoscia, nel quadro di una città, Napoli, che con le angosce ha un rapporto stretto. Col suo Il grande sogno, Michele Placido, attraverso l'esperienza di un poliziotto, racconta gli eventi del Sessantotto a Roma, lui che allora era davvero giovane poliziotto. La doppia ora è un giallo con ingredienti "attuali". Sonia è una bella straniera che fa la cameriera, Guido un ex poliziotto. Le cose sembrerebbero funzionare, ma lui vene ucciso.
Identità
Il nostro cinema è ben rappresentato rispetto alle sue identità attuali e conosciute che si possono configurare in questa formula: triste&politico. Il movimento internazionale del cinema, che si esprime con quei 3 grandi premi – ribadisco, il Leone d'oro, la Palma d'oro, e L'Oscar, alludo dunque ai riconoscimenti massimi, ai "vertici", escludendo tutta la pletora di premi-a-scendere- non presta molta attenzione al cinema italiano. Sono ormai lontani i tempi de La vita è bella e de La stanza del figlio, vincitori assoluti. Lo scorso anno Il divo e Gomorra hanno ottenuto premi importanti a Cannes, ma non il più importante, quello assoluto, appunto, che verrà citato e ricordato, e identificherà la manifestazione di quell'anno.
Alla selezione degli Oscar Gomorra non ebbe…apprezzamenti. I responsabili ritennero che quella realtà italiana, seppure ben rappresentata, fosse la solita…realtà italiana, un pò abusata, e non molto interessante nel contesto generale del cinema e del mondo. I film di Placido, Tornatore e Comencini sono pieni di politica. Sono istantanee che tutti noi raccogliamo, nella sale, ormai da molto tempo.
Sociale
Un sociale duro e doloroso, movimenti passati ardenti, istantanee di violenza in strada, giovani col passamontagna, polizia coi manganelli, comizi con bandiere con falce e martello, gli stivali pesanti e crudeli dei nazisti, e tutto urlato, tutto rivendicato. Il nostro cinema ripercorre quelle istantanee non come episodi, ma come movimento, sono molti infatti i titoli che arriveranno, al di là di Venezia, in questa chiave. La sensazione è che le altre culture intendano sorpassare, senza ignorarli naturalmente, queste istanze e questo ricordo. Nei film dei registi in concorso, soprattutto in quelli di Tornatore e Placido, c'è qualità, c'è respiro e c'è "cinema". Ma la sensazione è che a Venezia, e dovunque, quel cinema sia già passato, su un treno che ormai è lontano. Certo, il nostro movimento non se ne accorgerà, da decenni non si accorge di…quasi nulla. Giallo
La doppia ora, come detto, è un giallo, che comunque tocca la politica, del tutto legittimo naturalmente. Capotondi, noto per lo più per video musicali e spot pubblicitari, mi si perdoni, non …si addice al Leone. Ed è qui che torno a fare riferimento alle misure dette sopra e alla…nostalgia, che cercherò di misurare. Ed ecco un'altra didascalia che mi appartiene: un tempo eravamo fra i più bravi del mondo ora …non più (mi astengo dall'aggettivo comparativo-negativo). Ecco dunque il dato (quasi) oggettivo. Nel decennio della grande nostalgia, fra il '59 e il '69 ecco una serie di titoli e di nomi davvero...virtuosa.
1959 Leone d'oro a Il generale della rovere, di Rossellini; 1959 a pari merito a La grande guerra, di Monicelli; 1962 Cronaca familiare, di Zurlini; Le mani sulla città, di Rosi; 1964 Deserto rosso, di Antonioni; 1965 Vaghe stelle dell'orsa, di Visconti; 1966 La battaglia di Algeri, di Pontecorvo.

Sette su dieci
Sono sette trofei in dieci anni. Era la misura del nostro cinema di allora. Nell'ultimo decennio dal 1999 al 2009 (dunque azzardo una scommessa: non vinceremo il Leone d'oro neppure quest'anno), al cinema italiano –lo dico secondo linguaggio corrente- zero tituli. "Zero tituli" è definizione perfetta per il nostro cinema contemporaneo. Definizione non discrezionale, ma che deriva da un dato esatto, appunto. E la nostalgia ci sta, magari come auspicio.

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