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La possibilità di un'isola

Intervista esclusiva a Daniele Vicari, autore del Passato è una terra straniera.
di Marzia Gandolfi

Il ruolo della critica
Daniele Vicari (57 anni) 26 febbraio 1967, Rieti (Italia) - Pesci. Regista del film Il passato è una terra straniera.

lunedì 17 novembre 2008 - Incontri

Il ruolo della critica
Non è mai possibile dominare l'intenzione dell'autore, per questa ragione gioverebbe un dialogo con lui e il coinvolgimento del critico in prima persona, non nel senso di un ingiustificato narcisismo che persegue nel film la rappresentazione di sé ma in quella di una coraggiosa ricerca personale. Il ruolo della critica dovrebbe produrre testi "utili", aggiungere un significato ulteriore al film senza compromettere quello originale. Per questa ragione abbiamo incontrato Daniele Vicari in un luogo meno frequentato di una recensione e ci siamo confrontati sulla sua ultima opera, Il passato è una terra straniera. L'intervista all'autore di Velocità Massima e dell'Orizzonte degli eventi non colleziona aneddoti ma esprime un'idea di critica e un'idea di cinema. È un'isola possibile che raccoglie osservazioni utili e illuminanti sul metodo di lavoro e sulla poetica di Daniele Vicari. Per critico e artista si è trattato di prodursi e di "esibirsi", accettando la rischiosa controparte: essere analizzati, commentati, criticati e contestati.

Dentro l'officina, sotto (e sopra) il Gran Sasso, indietro nel passato. Come sceglie i luoghi abitati dai suoi film (l'ambiente e il sottosuolo)?
Li scelgo in base alle emozioni che mi suscitano, ai significati che possono produrre e alla storia che rappresentano.

Velocità massima, L'orizzonte degli eventi, Il passato è una terra straniera, nei suoi film accediamo alla storia attraverso i personaggi, due personaggi, due ragazzi estranei per indole e visione del mondo, messi uno accanto all'altro da un evento accidentale: Claudio e Stefano, Max e Bajram, Giorgio e Francesco. Tra loro scatta il meccanismo della formazione reciproca con prove e graduali passaggi fino al cambiamento e all'evoluzione. Come dirige gli attori e in che modo riesce a metterli in relazione, a guidarli nel percorso formativo?
Io non credo di saper "dirigere" gli attori. Tento di fare un percorso assieme a loro, in questo percorso cerchiamo un senso, un'emozione, un'impossibilità o una prospettiva. Quando ci guardiamo in faccia soddisfatti allora è il momento di imprimere le nostre reciproche incertezze sulla pellicola.

Nei suoi film c'è la tendenza ad individuare un popolo che non si vede, a raccontare la sorte di un luogo e la sua anima attraverso la singolarità delle persone. Può indicarmi la sua visione del rapporto tra personaggio e luogo?
I luoghi, o meglio le scenografie per me sono importanti quanto i corpi degli attori. Certamente sono il prolungamento delle coscienze dei personaggi, anzi sono la trasposizione immaginifica dell'interiorità degli interpreti. La Bari del Passato è una terra straniera è nera e astratta quanto la Roma di Velocità Massima, o quanto il laboratorio di Fisica del Gran sasso. I luoghi sono il completamento drammaturgico della narrazione, a volta sono l'essenza stessa dell'emotività del film. Per quanto riguarda i luoghi reali, li scelgo in base alla storia che portano impressa, in questo senso è vero, possono rappresentare indirettamente l'esistenza di una società intorno alla vicenda narrata.

Valerio Mastandrea ed Elio Germano. Due corpi attoriali prossimi o distanti?
Elio e Valerio sono due pianeti appartenenti a due galassie distanti anni luce. Questo sul piano attoriale. Due grandissimi attori che sanno mettere a disposizione la loro intelligenza per raccontare anche l'indicibile. Credo in loro, mi identifico in loro, se facessi il regista li chiamerei ad interpretare tutti i miei film.

Ancora una volta una coppia maschile. Perché? Perchè la notte appartiene istituzionalmente agli uomini?
Perché i maschi sono violenti e fragili, bugiardi e schietti, insomma tremendamente contraddittori e le loro contraddizioni si riversano sul mondo in un modo del tutto particolare. Due maschi possono sviluppare tra loro legami assai più forti dell'amore, certe amicizie sprofondano nell'inconscio infantile e si fondono definitivamente come leghe metalliche, possono portare a legami indissolubili o all'assassinio. E siccome mi fanno ridere i registi che raccontano storie di donne senza saper fino in fondo di cosa stanno parlando, almeno fino ad ora ho preferito parlare di maschi e maschiacci, una materia che penso di dominare sufficientemente. Ma prometto a me stesso che in futuro tenterò nuove vie.

Nei suoi film il movimento tra giorno e notte, buio e luce si rincorre, letteralmente e in auto. Che cosa l'ha seduce in questo tempo del racconto?
L'automobile il treno e il cinema sono nati insieme e hanno una stretta parentela. Quando per esempio la macchina da presa sale su un'automobile, le immagini diventano pure, e bastano a se stesse. La mdp posta su un'automobile racconta la relatività del tempo e soggettivizza lo spazio piegandolo alla pura percezione. Ecco che i secondi o i minuti o le notti e i giorni si confondono e fuggono via beffando i fotogrammi che per quanto sappiano andare veloci (normalmente ciascuno un ventiquattresimo di secondo) sono pur sempre immobili ed immobilizzanti.

Lei è un autore che ama filmare il mondo popolare alla stessa altezza dei personaggi, misurandosi con loro senza giudicarli. Ho però la sensazione che nel Passato è una terra straniera Giorgio e Francesco non trovino questa volta una motivazione al loro essere e al loro agire. Sono ambigui senza vertigine. La loro vita è esibita e non vissuta. Riondino e Germano non sono credibili quanto lo furono Mastandrea e Morroni. Mi sembra manchi la messa a punto del background e del linguaggio dei personaggi. Germano è un barese che usa una lingua di marcato colore romano. Mi può illustrare la sua visione su questo punto?
A lei evidentemente e del tutto legittimamente il film non è piaciuto, è rimasta fuori dal racconto, e per questo, avendolo vissuto con distacco, attribuisce ad elementi irrilevanti una importanza abnorme. Strana considerazione per esempio quella che propone sull'accento dialettale di Giorgio. Se fossimo nel 1950, forse sarebbe poco credibile che un giovane abitante di Bari avesse l'accento leggermente romano. Certamente sarebbe poco credibile anche oggi se fosse figlio di Baresi doc, che parlano barese, ma questa famiglia di professori che abitano a Bari non ha evidentemente radici baresi. All'università di Bari (come in tutte le altre università italiane e del resto del mondo) la maggior parte dei docenti non sono originari della città stessa. Marco Baliani è un attore notoriamente romano, così Daniela Poggi e Lorenza Indovina. Questa scelta non è stata fatta a caso. Non ho voluto forzare Germano verso un dialetto per lui insolito, anche perché per me la Bari del film non ha nulla di documentaristico, come ho già detto, potrebbe essere una qualunque città europea, ed è comunque un luogo quasi astratto, una proiezione dell'animo dei personaggi. Mi chiedo per quale motivo lei noti l'accento di Germano e non invece quello di Riondino che barese non è, è tarantino e tra i due dialetti c'è una abisso simile a quello che c'è tra il milanese e il genovese. Ma forse per Lei, se non sbaglio una donna del Nord Italia, è difficile distinguere un accento meridionale dall'altro, per cui non le crea alcun problema. Non dimenticherò mai Orson Welles, divertito e infastidito per essere stato doppiato ne La ricotta di Pasolini, rievocando la vicenda con Bogdanovic, disse più o meno «In Italia se uno del nord sente parlare uno del sud rotola a terra dalle risate, per cui si usa doppiare gli interpreti del cinema con attori della radio».

Ritiene che Gianrico Carofiglio abbia fatto un buon servizio al proprio romanzo? È riuscito a fare i conti con Bari sullo schermo? A toccarla, a raccontarla, a svelarne le contraddizioni, a scavarne gli interni? Può dirmi cosa è rimasto e cosa è scomparso, quali sono le differenze concrete tra il film e il libro?
La prima domanda dovrebbe rivolgerla a Gianrico. Il quale ha cominciato il lavoro di sceneggiatura con Massimo Gaudioso e suo fratello Francesco ben prima che il film avesse un regista. Quando sono arrivato io ho portato ovviamente il mio punto di vista nel film e con questo punto di vista Gianrico, Massimo e Francesco si sono confrontati. Posso solo aggiungere che Carofiglio non è esattamente una mammoletta, se a lui non fosse piaciuta la sceneggiatura e non fosse piaciuto il film, non credo lo avrebbe taciuto.
Mi perdoni ma per quanto riguarda le differenze tra film e libro devo evocare il professore di Pantautologia di siloniana memoria e devo dirle che un film è un film e un libro è un libro. Non sono possibili confusioni tra le due cose. Per dirla fuori dallo scherzo il libro è l'opera di uno scrittore che ha una sua visione della storia che sta raccontando e un proprio stile, oltre che una propria visione del mondo e il film è diretto da un regista che non ha la stessa visione del mondo, la stessa visione della storia e soprattutto non è uno scrittore. Direi per fortuna, altrimenti sarebbe inutile "ridurre" in film un romanzo.
Sul piano strettamente narrativo sono quattro gli elementi di distanza tra romanzo e film:

1-Il libro è scritto in prima persona, nel film la prima persona non è la voce narrante ma la soggettiva
2-nel film è stata eliminata la figura del Tenente dei Carabinieri che conduce l'indagine
3-nel film alcune caratteristiche di Francesco sono passate a Giorgio e le due figure si confondono molto di più
4-l'ambientazione storica del film è contemporanea mentre il libro è ambientato negli anni novanta

Il passato è una terra straniera ha spaccato in due la critica italiana. Qualcuno l'ha considerato "mancante", qualcun'altro "compiuto". Come giudica il rapporto tra la critica italiana e il cinema italiano?
Se posso permettermi di correggerla non direi che la critica si sia spaccata in due parti uguali, direi che l'ottanta per cento se non di più dei critici (sia dei quotidianisti che dei saggisti) ha apprezzato o molto apprezzato il film e una parte esigua lo ha criticato. Detto questo a me interessa forse di più quel venti percento di critiche, perché, a volte, è dalle critiche negative che emergono i limiti del lavoro fatto, a patto che non siano preconcette e violentemente liquidatorie. Il rapporto tra la critica italiana e il cinema italiano? Direi che si tratta di una complessa dialettica, nella quale si mescolano caratteri e interessi che a volte sfuggono dal controllo di tutti, e ciò spiega le "tempeste" che si scatenano nei festival (in particolare a Venezia) a favore o contro determinati film. Tuttavia negli ultimi anni mi sembra stia migliorando, perché alcuni registi della mia generazione si sono guadagnati sul campo attenzione e rispetto.

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