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Joshua: le mani sulla culla e sul pianoforte

Dopo la partecipazione al Sundance e a Locarno, esce in sala Joshua, storia di un bambino educato e diabolico.
di Marzia Gandolfi

L'innocenza del diavolo

giovedì 10 luglio 2008 - Incontri

L'innocenza del diavolo
Capita anche nelle migliori famiglie che la nascita di un nuovo fratellino o di una nuova sorellina procurino ansie e gelosie nei primogeniti, abituati fino a quel momento all'attenzione totale di mamma e papà. Il nuovo arrivato prende spazio al fratello maggiore, provocandogli enorme frustrazione. Nel migliore dei casi il fratellone tenderà a regredire per richiamare l'amore e la cura dei genitori, non sarà così per Joshua, figlio eccezionalmente precoce di una ricca famiglia newyorkese, presto turbata e sconvolta da una serie di inquietanti incidenti. Presentato con successo al Sundance Film Festival, l'opera prima del documentarista George Ratliff porta sullo schermo un altro "bambino cattivo", che innesta il thriller familiare nei meccanismi canonici dell'horror movie. Ma se il cinema americano molto spesso allontana la minaccia attraverso un processo espiatorio e la morte del "mostro" a vantaggio dei perseguitati, Ratliff rifiuta qualsiasi catarsi familiare. Nessuna zona grigia, insomma, in cui ricollocare i volti di un uomo, una donna e un bambino, nessun ristabilirsi dell'ordine iniziale. Joshua è la minaccia prodotta in seno alla famiglia, è un corpo svuotato e incarnato dal male. Occupato da un'entità diabolica, il figlio dei Cairn è una figura classica di film dell'orrore, è ciò che non si conosce, ciò che diviene improvvisamente estraneo, che è simile a ciò che sembra (un bambino adorabile) ma che non è ciò che sembra. Un demone della disgregazione, del non familiare e dell'estraneo che gli spettatori vorrebbero addomesticare e ricondurre a sé e al proprio universo affettivo. Joshua è figlio di Rosemary. I fiori maligni del cinema degli anni Settanta sono tornati a minacciare i modelli familiari e a corrompere il focolare domestico (e borghese).

Le radici della paura
Sono sempre stato affascinato dai meccanismi psicologici della paura. In passato avevo già esplorato l'argomento nel mio documentario Hell House, in cui riferivo di una casa del terrore creata da una chiesa pentecostale texana per redimere i peccatori. Continuando su questa strada ho provato ad affrontare l'idea del terrore e della vulnerabilità umana da un punto di vista quotidiano. Per il mio debutto ho deciso perciò di mettere in scena un tema naturale ma suscettibile di provocare ansie e paure terrificanti: essere genitori. È stato il mio amico e sceneggiatore David Gilbert a inventare Joshua, aggiungendolo alla lunga lista dei bambini malvagi della storia del cinema. Ero perplesso se portare avanti l'idea del bambino cattivo, perché da poco tempo era diventato padre e consideravo i fanciulli buoni per natura. La sola idea che un bambino potesse essere malvagio era per me terribile, insostenibile e spaventosa. L'idea di Joshua all'epoca mi inquietava. Alla fine ho ceduto alla tentazione.

I bambini ci guardano
Scrivendo la sceneggiatura io e Gilbert abbiamo iniziato ad osservare la storia dal punto di vista di Joshua. Questo ci ha permesso di rovesciare completamente la prospettiva di come si immagina che sia una famiglia benestante e felice, evidenziando i sentimenti primitivi di ansia, ossessione e paranoia che molto spesso regolano i rapporti familiari. Il film si apre su una famiglia che vive serena e in perfetta armonia nell'Upper East Side a Manhattan. C'è una coppia felice che attende l'arrivo di una sorellina insieme al loro primogenito Joshua, un bambino intelligente e precoce. Ma il punto di vista di Joshua è distorto. Il bambino quando osserva la sua famiglia non vede altro che il caos: la madre sembra impazzita in seguito alla gravidanza, il padre è troppo occupato nella carriera e nella scalata sociale e lui ritiene a questo punto di dovere mettere le cose in ordine. Il film oscilla tra il dramma familiare e l'horror psicologico. Nella nostra vicenda ci sono numerosi elementi in cui lo spettatore si può identificare: l'arrivo di un nuovo figlio, la gelosia che può scatenare nel primogenito. In fondo Joshua sembra avere nei confronti della sorellina una reazione assolutamente naturale. Eppure quella "reazione" scatena l'orrore e manda in malora una famiglia.

Cercando Joshua
Dopo aver pensato e "scritto" Joshua non restava che individuare un giovane attore adatto al ruolo. Dovevamo trovare un bambino di nove anni in grado manipolare e creare scompiglio sullo schermo e negli spettatori, che avrebbero dovuto domandarsi per tutto il tempo se Joshua fosse un bambino innocente intrappolato in una serie di circostanze terrificanti o invece una mente perfida e subdola al lavoro. Abbiamo esaminato oltre settanta candidati ma dopo aver incontrato Jacob Kogan abbiamo capito all'istante che lui era il nostro Joshua. In Jacob l'essere infantile convive con una lucida scaltrezza, un controllo e un'intelligenza che vanno oltre i suoi nove anni. Davanti alla macchina da presa Jacob è sempre rimasto calmissimo e concentrato, nonostante i suoi pochi anni possiede quella precisione e quella volontà che in Joshua finiscono per diventare insopportabili e terrificanti.

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