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Charlie Bartlett: "cattivi" ragazzi crescono

Robert Downey Jr. abbandona le vesti di figlio ribelle per diventare padre nel film di Jon Poll.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Giovani, carini e dipendenti

mercoledì 28 maggio 2008 - Incontri

Giovani, carini e dipendenti
La vita è come un mazzo di carte, quando lo tagli in due non sai mai quello che ti capita, sta a te accettare la sfida o arrenderti". Parola di Robert Downey Jr., che di recente ha vestito i panni del supereroe dall'armatura d'acciaio e il cuore artificiale, ma che continua a offrire indimenticabili interpretazioni nel circuito indie. Dopo una vita passata a incarnare il "cattivo" ragazzo in conflitto col padre (Al di là di tutti i limiti, Guida per riconoscere i tuoi santi, Iron Man), in Charlie Bartlett ha il ruolo del "cattivo" padre in conflitto con la figlia (e se stesso). La commedia generazionale di Jon Poll - al suo esordio in lungo dopo una pregevole carriera come montatore - guarda alla vita dei ragazzini americani fuori e dentro il liceo, ai loro problemi spesso mal gestiti dalle istituzioni (che siano familiari o scolastiche), mostrandoli persi senza la quotidiana dose di Ritalin. Il regista si assume il compito di far riflettere sul mondo adolescenziale dove le potenzialità di ognuno vanno scovate e incoraggiate e non messe a tacere con qualche pillola o a suon di sberle. Gli adulti, visti dai giovani, sono altrettanto persi, ma hanno ancora l'occasione di redimersi. Ne abbiamo parlato con Robert Downey Jr..

Al cinema hai spesso interpretato personaggi in conflitto con il padre mentre di recente, in Charlie Bartlett, sei finalmente un papà. Come ci si trova dall'una e dall'altra parte della barricata?
L'aspetto più interessante di Charlie Bartlett è stato poter affrontare un ruolo giusto per la mia età. Tra parentesi Iron Man era probabilmente l'unico supereroe che avrei potuto interpretare perché è abbastanza vecchio, fatta eccezione forse di Thor, che ha duecento e passa anni. Quanto al fattore "padre" è un discorso complicato. Ho un figlio adolescente e da qualche tempo ho iniziato a pensare alla mia mortalità e alla mortalità di mio padre. È come se in qualche modo gli attori riescano sempre, in maniera inconscia, a scegliere dei ruoli che hanno a che fare con la propria esperienza personale.

La forza della tua recitazione sta nel portare sullo schermo un grandissimo senso dell'umorismo. Come ci riesci?
Il merito è della mia famiglia, il contesto nel quale sono cresciuto. Mio padre era solito giocare a poker con gli amici la sera tardi e dalla mia cameretta potevo sentire le loro risate, perché è un tipo molto spiritoso. Poteva succedere che mia madre entrasse nella stanza e dicesse una battuta che faceva ridere tutti. Anche nei momenti peggiori, quando le cose andavano storte, almeno c'era quello, il senso dell'umorismo. Questa cosa mi capita ancora oggi, quando guardo un film non mi interessa quanto sia serio, l'unica cosa che voglio è che mi intrattenga.

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