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Hitchcock: delitto di lesa maestà

Riccardo Milani rivisita Rebecca di Hitchcock.
di Pino Farinotti

Alfred: perdona loro, perché non sanno…

mercoledì 9 aprile 2008 - Focus

Alfred: perdona loro, perché non sanno...
Quello che fanno. Rebecca è qualcosa di molto serio. Non è solo il titolo di un film, ma è un lemma assoluto che fa parte del linguaggio popolare da quasi settant'anni. Alfred Hitchcock lo ha fatto diventare "rebeccalaprimamoglie". Non andrebbe toccato, soprattutto malamente toccato.
È impossibile confrontarsi con un classico. È il destino di tutti i remake. Titoli come Sabrina, Psyco, Via col Vento, I soliti ignoti, Lolita, sono radicati nella memoria e nella coscienza popolare nel più profondo. Hanno creato un precedente che rimarrà tale per sempre. Non lo si può confrontare o scalfire. Tuttavia una storia perfetta come quella scritta dalla du Mauyrier può essere rivisitata, è legittimo farlo, così come viene rivisitata una sinfonia di Beethoven da qualcuno che non sia Toscanini o Karajan. Ma se "rivisiti", devi stare attento. Devi rispettare. Il Rebecca della Rai, per lunghi tratti sembra uno scherzo. Per lunghi tratti, non sempre. Cominciamo dal protagonista Massimo de Winter, al quale dà corpo e volto Alessio Boni. Boni è il miglior attore della sua generazione, per bravura e appeal. Veste bene i panni del nobile vedovo inglese. Va detto che De Winter è uno dei personaggi più antipatici del cinema e della letteratura del mondo. È dolente (e va bene, ne ha tutte le ragioni) è isterico, imprevedibile, viziato, non ha nessuna qualità se non l'eleganza naturale dei nobili inglesi. Le sue reazioni sono quasi femminili. Ci si domanda come se la sarebbe cavata se non fosse stato ricco. Daphne du Maurier lo voleva certamente così.
Olivier, attore ambiguo e a sua volta "viziato", sessualmente... curioso, era perfetto per quel ruolo. Premesso che, come ho detto prima, il confronto è comunque perduto in partenza, Boni se la cava benissimo. Senza di lui la Rebecca-Rai non solo sarebbe stata imbarazzante, ma da oscurare.

Melato e Capotondi
Lo stesso discorso vale per Mariangela Melato, che affronta il ruolo della governante Danvers – inquietante, tragica, incombente - talmente estremo e "pericolante", pronto al grottesco, da quella grande attrice che è.
Boni e Melato tengono in piedi, ma solo in piedi, immobile e traballante, il film televisivo. Poi c'è Cristiana Capotondi, la... seconda moglie. È dolce e carina ma... cosa c'entra? L'attrice fa parte di quelle nuove leve che hanno deciso di non recitare. Perché recitare significa applicazione, prove, anche un pochino di accademia. Dunque è più semplice "parlare". Sarebbe quella tecnica "minimale", bisbigliata, "naturalistica" per usare un termine impegnativo. Due forti modelli-referenti si chiamano Stella e Pession. Questa recitazione del contro-metodo (butto lì, e chiedo scusa: Stanislavskij), sa trasformare una chanson des gestes nella lettura dell'elenco telefonico. Alfred e Daphne proprio non avrebbero gradito.

Menderley
Poi c'è Menderley, il castello. Hitchcock non cercò neppure la location, la disegnò personalmente e ne fece fare un modello in cartapesta. Poi naturalmente fu lui a fotografarla, non... Riccardo Milani. Il castello-Rai viene sempre ripreso con camera immobile, di fronte. Certo, è imponente e ricco, ma è bianco e "muto", occorreva interpretazione, colori inseriti per un'estetica inquietante. A cosa serve, altrimenti, il computer? Così Menderley sembra la sede di un G8. Nella seconda puntata, quando si sono accorti di questa debolezza hanno inserito una nebbiolina passante, simile allo spruzzo dei vaporizzatori da tavolino esterno di un caffè d'estate.
La durata naturale di quella storia la dichiara Hitchcock, dunque non può che essere perfetta: novantatré minuti. La Rai ha voluto coprire due serate. Così siamo stati costretti ad assumere un brodo, già senza sapore, diluito due volte e mezzo. Anche con delle invenzioni raccapriccianti, come il suicidio tentato dal vedovo. Massimo e la (seconda) moglie, si abbracciano sugli scogli, lei gli rivela il grande mistero del suicidio di Rebecca, lui le rivela di non aver mai amato la prima moglie. E poi parlano, parlano, stiracchiano e allungano (c'erano minuti da riempire). Chi fosse entrato in quel momento nel film avrebbe pensato di essere precipitato in Stranamore. Poi il film è finito. E allora, triste e dolente (a mia volta, come Max De Winter), ho recuperato il Rebecca vero e me lo sono riguardato. E sono riuscito a ripristinare, anche se non del tutto. Il trauma era profondo. Ci vorrà del tempo.

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