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5x1: lo Stallone italiano

Torna un altro dei personaggi simbolo del cinema anni '70 e '80.
di Stefano Cocci

Con John Rambo c'è di nuovo Sylvester Stallone

martedì 19 febbraio 2008 - Celebrities

Con John Rambo c'è di nuovo Sylvester Stallone
John Rambo e Rocky Balboa, piaccia o no, hanno scritto pagine importanti del cinema mondiale. Qualsiasi sia l'opinione – estetica, sociologica o politica – sui film in questione, non si può negare che abbiamo segnato un'epoca, lanciato una moda e fatto fare un mucchio di soldi ai produttori e allo staff tecnico. Fra chi certamente è riuscito a dare una svolta alla propria carriera e a segnare una storia personale all'insegna di Rambo e Rocky c'è indubbiamente Sylvester Stallone, il quale, al di là dell'esperienza nei panni di queste due icone del cinema, è riuscito a dare poco altro alla settima arte. I tentativi di riciclarsi come attore comico sono andati a vuoto; è rimasto il suo essere rappresentante di un genere in cui ha segnato uno standard al quale hanno dovuto adeguarsi tutti coloro che sono arrivati dopo di lui. Nessun film d'azione sarebbe oggi quello che è senza il contributo dato da Stallone. Nell'anno di grazia 2008 torna l'eroe per eccellenza, quel John Rambo simbolo di una ferita nel tessuto connettivo della società americana e che fatica a rimarginarsi anche alla luce dei fatti iracheni.

Rocky IV
Purtroppo anche i miti cadono. È una fermata fondamentale lungo la strada lastricata di successi al botteghino di Sylvester Stallone e questo quarto capitolo della saga del pugile più famoso della storia del cinema non fece certo eccezione. Fu anche una pietra miliare nella storia della Guerra Fredda, in cui il nostro eroe la vinceva con i suoi pugni, il suo coraggio, i suoi sani valori americani, ai danni dei corrotti sovietici, pronti a tutto per battere nel campo sportivo gli odiati antagonisti. Nel ricordo dell'amico Apollo Creed, Rocky sfida il temibile Ivan Drago: alcuni momenti sono mitici (la festa a stelle e strisce prima dell'incontro tra Creed e Drago) altri francamente risibili, stereotipati canoni che hanno fatto la gloria della franchigia: i duri allenamenti che non portano a nulla senza l'amore di Adriana, l'avversario assassino e drogato, l'establishment sovietico crudele e senza cuore, con il pubblico di Mosca che intona il nome di Rocky a fine incontro.

Fuga per la vittoria
Una delle eccezioni all'assioma Stallone uguale film d'azione, anche se, va aggiunto, questo di John Huston, in senso largo, è un action movie a tutti gli effetti. In mezzo a un cast stellare, tra Michael Caine e Max von Sydow, Sylvester Stallone si improvvisa portiere di calcio. A esaltarsi fra i pali, dopo le corde del ring di boxe, il nostro Sly trova anche il modo di parare un calcio di rigore e mettere un paletto tra i cingoli delle "magnifiche sorti" del Terzo Reich. Della serie: poi non dite che il calcio non è una cosa seria...

Rocky
Prima di diventare franchigia vittima del marketing e della codardia dei produttori, Rocky è stato prima di tutto un film e potremmo aggiungere anche che si tratta di un buon film, prima di finire svilito tra i sequel che si sono succeduti nei decenni. Era il 1976 e la pellicola di John G. Avildsen si meritò l'Oscar per il miglior film, miglior regia e montaggio, segnando un ritorno ai valori tradizionali della cinematografia a stelle e strisce: il mito dell'uomo "self made", che con il cuore, il coraggio e il sacrificio – oltre all'amore di una donna – può ottenere qualsiasi risultato. Purtroppo, passerà alla storia per essere il film che tolse la statuetta a Martin Scorsese e al suo Taxi Driver che, un certo senso, rappresenta proprio l'esatto contrario dei valori e dei canoni estetici interpretati da Rocky.

Rambo
Anche per le prime gesta del reduce del Vietnam John Rambo, può valere il discorso fatto per Rocky: le pecche dei sequel hanno in parte cancellato i meriti del primo film. Indubbiamente poggia su di una solidissima base: le straordinarie scene di azione che esaltano l'atletismo di Sylvester Stallone. Ma non va dimenticato che Rambo continuò la striscia di cinema che ricordava il Vietnam come una ferita non solo nei corpi dei reduci ma nell'anima di una nazione. Un Paese che non riusciva a riaccogliere nel suo seno i soldati che avevano combattuto per essa; l'ostilità dei "civili", le magagne dell'ordine costituito. Contro tutto questo si batte John Rambo, non è mai violenza fine a se stessa.

Cop Land
Nella gran confusione del circo Barnum rappresentato da eroi che, in un verso o nell'altro, sono destinati a sporcarsi le mani di sangue per poter affermare i propri valori – che poi altro non sono che quelli di una nazione e di un Paese la cui bandiera spesso Stallone ha indossato in questi film – il ruolo più convincente interpretato dall'attore italo – americano è quello di Freddy Herlin con cui vinse un premio quale miglior attore al Festival di Stoccolma. Qui, sotto la lente di ingrandimento del film di James Mangold – che si muove, tra l'altro, dentro la grammatica fondamentale del film d'azione – c'è l'universo idilliaco rappresentato da una cittadina alle porte di New York abitata prevalentemente da poliziotti che vogliono tenere la famiglia lontana dalla violenza metropolitana. In un situazione in cui sembrerebbe difficile immaginare che si nasconda il male, proprio nel cuore dello stile di vita americano c'è il seme della corruzione e della violenza. E neanche colui che ha rappresentato gli eroi più importanti del cinema riesce a tenerlo lontano dai suoi cari.

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