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5x1: Gus Van Sant, come li lancia lui

Ha scoperto Keanu Reeves, Matt Dillon, Matt Damon, Uma Thurman e Nicole Kidman. È abbastanza?
di Stefano Cocci

Cosa si nasconde dietro l'arte di un regista indiscutibilmente unico
Gus Van Sant (Gus Greene Van Sant Junior) (71 anni) 24 luglio 1952, Louisville (Kentucky - USA) - Leone.

martedì 4 dicembre 2007 - Celebrities

Cosa si nasconde dietro l'arte di un regista indiscutibilmente unico
Poter ammirare di nuovo Gus Van Sant che torna nel suo giardino artistico prediletto – l'adolescenza problematica della nostra epoca – è un autentico piacere. È infatti il tema di Paranoid Park l'ultima rivelazione visiva del regista di Belli e dannati e Elephant. Parlare di rivelazione è quanto mai opportuno nel caso del regista nato nel Kentucky poiché, proprio la capacità di mostrare la quotidianità dell'immagine eccezionale è una delle caratteristiche più importanti di Van Sant.
Non è classificabile tra i registi visionari: a tratti il suo stile può ricordare quello del documentario tanto è freddo e preciso, ma con una sensibilità capace di travalicare lo schermo. Lo è stato quando ha raccontato le vicende del Matt Damon "genio" incastrato dentro il suo carattere difficile o le vicissitudini di Reeves e Phoenix "belli e dannati"; quando ha dovuto rievocare Hitchcock per uno sciagurato remake di Psycho è riuscito lo stesso a superare la prova malgrado molti lo attendessero al varco. Lo sguardo attento e raffinato di Van Sant sul nostro tempo è uno degli specchi più sinceri della nostra realtà.

Will hunting
È il film dell'esplosione di Matt Damon e Ben Affleck. Van Sant continua a scoprire talenti e ad affrontare temi rivolti ai giovani ma che mettono anche in discussione come il mondo "dei grandi" è pronto ad accogliere i giovani.
Will è un ragazzo cresciuto nei quartieri poveri di Boston, ha una storia di piccoli crimini alle spalle ma, soprattutto, è un genio. Facendo dei lavoretti all'Università incontrerà due personaggi che avranno un grande influsso sulla sua vita aiutandolo a incanalarla.
Al di là dei temi, in un certo senso ricorrenti, qui Van Sant si porta all'interno della filmografia hollywoodiana, abbandonando temi scomodi – per l'epoca - come le "cowgirls alla ricerca di un nuovo sesso" o l'omosessualità "bella e dannata". E anche lo stile ne risulta più pulito, quasi didascalico, naturalistico: il regista non vuole essere notato ma solo raccontare una storia.

Elephant
Stesso registro: stile pulito per un film veloce che segue i personaggi quasi di nascosto. Un'indagine intorno ai fatti di Columbine. Se quella di Michael Moore è un'accusa contro un sistema, un mondo, un atteggiamento e l'attitudine di un popolo verso le armi e la loro accettazione sociale, Elephant è una ricerca sociale e umana, per scoprire il vuoto di giovani vite incapaci di confrontarsi con il mondo esteriore e soprattutto quello interiore. La macchina da presa è come se pedinasse, di nascosto, i suoi protagonisti.
Vincitore della Palma d'oro per il miglior film e la miglior regia al Festival di Cannes del 2003 è senz'altro l'opera più difficile ma forse anche la meno controversa di Van Sant tanto è limpida e fredda nell'approccio stilistico e nel giudizio.

Da morire
Abbiamo scritto dell'attitudine di Van Sant a lavorare con i giovani, o meglio, a scoprire nuovi talenti o lanciarli definitivamente. In questo caso tocca a Nicole Kidman che mai, prima di Da morire, era stata così sconvolgente. Innanzitutto per la bellezza colpevole e peccaminosa che sfoggia, un fascino che corrompe le giovani anime degli studenti con cui entra a contatto; poi, per il ruolo da giovane Barbie spietata. Anche Joaquin Phoenix, qui col regista che scoprì il fratello, è eccellente. Tirando le somme, se tanti giovani – e meno giovani – attori e attrici sfoggiano interpretazioni tanto preziose e complesse sempre con lo stesso regista, forse quest'ultimo ha del vero talento. Beh, quel regista è Gus Van Sant: qui la sua telecamera, in alcuni momenti, è ancora orticante per il mainstream di Hollywood ma lo stile da documentario entra nello schermo qua e là, nelle interviste ai ragazzi, ad esempio.

Last days
È l'ultimo capitolo di quella meglio conosciuta come la trilogia sulla morte. In Gerry due giovani sono perduti nel deserto; in Elephant due giovani crivellano di colpi i compagni di scuola prima di uccidersi; qui, il volto emaciato di Michael Pitt si consuma fino a non poterne più della vita, tra un venditore delle pagine gialle, una madre oppressiva e la sua musica, incessante come un requiem. È la storia, rivista senz'altro, di come la candela di un grande artista del nostro tempo si è bruciata su due lati: Kurt Cobain echeggia in ogni inquadratura, in ogni espressione, in ogni nota addirittura, figlio di un'epoca senza valori e di una società che li ha persi. O almeno è quello che intuiamo: lo stile pulito di Van Sant non lascia trapelare giudizi.

Belli e dannati
A modo suo ha fatto epoca: ha lanciato la stella brillante di Keanu Reeves, mentre quella di River Phoenix ha avuto modo di bruciare due volte più veloce, fino alla supernova e, infine, al buco nero conclusivo di una esistenza maledetta, come avrebbero potuta intenderla i poeti francesi dell'800. Ancora giovani, ancora attori destinati a divenire delle stelle, ancora Van Sant. Qui lo stile è ancora rude, il regista vuole che la sua mano si veda. Qua e là qualche caduta nella retorica ma resta lo sforzo di raccontare storie dei bassifondi, vite stracciate prese qua e là, catturarle e gettarle negli occhi dello spettatore con la forza prorompente di un'arte ancora incorrotta dal filone commerciale. A tratti pesante, a volte poco digeribile ma comunque un film che ha fatto epoca.

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