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Le Deuxième souffle: la pupa e i gangster

Alain Corneau riporta sullo schermo un classico noir di José Giovanni.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il film

giovedì 18 ottobre 2007 - Incontri

Il film
Nella Parigi degli anni '60 Jacques muore sotto i colpi d'arma da fuoco nel locale di Manouche. È il suo amante ma la donna non sembra disperarsi perché ha appena saputo che Gu, l'uomo di cui è segretamente innamorata, è evaso dal carcere dopo dieci anni di prigionia. I gangster che hanno fatto fuori Jacques la raggiungono a casa per ucciderla, ma Gu la salva e cerca di vendicarsi. Le strade della capitale francese sono però controllate dalla polizia comandata dal Commissario Blot che sembra sapere cosa stia accadendo e studia le mosse della malavita per trovare il pericoloso evaso e rimetterlo in cella. Gu è costretto a lasciare la Francia, ma prima di farlo deve partecipare a un ultimo colpo che gli dia la libertà... È un noir classico e coinvolgente quello riportato sullo schermo da Alain Corneau a distanza di quarantun anni dall'uscita del film firmato da Jean-Pierre Melville.

Genesi
Alain Corneau: È un progetto che ho a cuore da più di trent'anni, che un po' mi ha perseguitato. Me ne sono innamorato quando ho visto l'adattamento di Jean-Pierre Melville, in seguito mi è capitato di lavorare come assistente alla regia a un film di José Giovanni. Avevo già da tempo provato ad adattare il suo romanzo in epoca odierna, ma ho lasciato perdere perché non funzionava. Quando i produttori mi hanno chiesto di fare un noir ho risposto che lo avrei fatto a patto che fosse Le Deuxième souffle. È stata un po' una scommessa, perché sono tornato alle fonti ma in più c'è la modernità del testo. Lo stesso Melville aveva detto che gli sarebbe piaciuto, a distanza di venti o trent'anni, che qualcun altro portasse una nuova visione su questa storia. Il libro è scritto come se fosse una tragedia greca mentre il mio film utilizza un cast e uno stile registico molto moderni. Manouche nell'opera letteraria è un magnifico personaggio femminile che Melville aveva ridimensionato nel suo film. Noi l'abbiamo portata sullo schermo attraverso Monica Bellucci. Ho a lungo discusso con José Giovanni (lo scrittore è scomparso tre anni fa, NdR) sulla scelta degli attori. Nel caso della protagonista femminile non siamo nel clichè della donna fatale. Manouche è una persona molto modesta, nonostante sia una donna anche molto forte, una donna d'affari. Daniel Auteuil, che interpreta Gu, è arrivato a un tale punto di maturità che è diventato minimalista nella recitazione. Se gli attori invecchiano bene, come nel suo caso, è perché hanno dato qualcosa allo schermo che resta nel tempo.

Manouche secondo la Bellucci
Monica Bellucci: Questo ruolo per me è stato un regalo. Manouche è una donna molto femminile e allo stesso tempo molto forte perché viene dalla strada ed è cresciuta in un mondo di gangster. È un'anima che piange, ha una coscienza, ma non può fuggire da quel mondo malavitoso perché ne fa parte. Si è tinta bionda (e lo abbiamo voluto rimarcare con la ricrescita visibile) perché si è voluta rifare un'immagine, se l'è costruita per difendersi dalla strada. Manouche vuol dire gitana ed è il nome che le ha dato il suo primo grande amore, Paul, ma lei finge di essere una donna borghese. Farebbe qualsiasi cosa per l'uomo che ama, ma l'istinto di sopravvivenza la spinge verso colui che può proteggerla meglio. È una donna matura che ha avuto tanti uomini ma non ha nessun figlio, come se si fosse negata di avere un figlio di cui non sapeva chi sarebbe stato il padre. Vive negli anni '60 e anche se è molto forte non ha i diritti che hanno le donne oggi. Lei non può stare senza un uomo al suo fianco. È un tipo di donna che oggi non esiste più. Ne Le Deuxième souffle è al centro di una storia dominata dagli uomini e il look mi ha aiutata a creare il ruolo. Per interpretare questo ruolo mi sono ispirata a tutte le bionde del mondo, quelle attrici francesi che mi hanno fatto sognare, come Brigitte Bardot o Catherine Deneuve, e a Lauren Bacall ne Il grande sonno. Ciò nonostante, se faccio questo mestiere è grazie ad Anna Magnani, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, Silvana Mangano. Sono state le brune a ispirarmi.

Personaggi ispirati alla realtà e i codici d'onore
Alain Corneau: Tutti i personaggi dei libri di José Giovanni sono esistiti realmente, lui li aveva conosciuti, alcuni erano evasi dal carcere, altri avevano commesso omicidi, ma è ovvio che lui li aveva descritti in maniera diversa. Diceva sempre: "Quello che mi interessa è costruire una realtà tragica con un codice d'onore". Credo che ai tempi non fosse così difficile che tra i gangster ci fosse questo codice d'onore, il rispetto per la parola data. È vero però che con gli anni la malavita si è molto trasformata, forse anche a causa degli stupefacenti, dei grandi traffici. Per prepararmi a questo film ho assistito a molte inchieste poliziesche e ho visto come si comportano oggi i malviventi. Basta che gli metti le manette e quelli iniziano a tirare fuori i nomi, denunciando amici e parenti. La droga ha cambiato moltissime cose, ha fatto scomparire codici che in un'epoca passata esistevano realmente. Codici eterni che ci riguardano tutti, come la moralità e la lealtà. Forse è per questo che nei film polizieschi si dice spesso che una volta era meglio...

Il noir
Alain Corneau: Amo il noir perché si tratta di un corpus collettivo. Ci possiamo sentire artigiani all'interno di un gruppo che va verso la stessa direzione. Il cinema hollywoodiano e quello asiatico hanno fatto molto per questo genere. Penso a De Palma o a Scorsese di cui l'ultima opera cinematografica è proprio un remake di un film hongkonghese. Non dimentichiamoci però che la parola noir è francese. Infatti gli asiatici riconoscono il loro debito con Melville.

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