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2 giorni a Parigi, il viaggio sentimentale di Julie Delpy

Il nuovo film dell'attrice/regista è un ritratto pungente della sua Francia e della relazione di coppia.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

La regista

martedì 25 settembre 2007 - Incontri

La regista
Julie Delpy aveva già dato prova del suo talento come sceneggiatrice contribuendo allo script di Prima del tramonto - per il quale ha ricevuto una nomination all'Oscar - che la vedeva dialogare amabilmente con Ethan Hawke. Ma la sua bravura con i "fiumi di parole" era già emersa nel 1995, quando aveva scritto e diretto il suo primo cortometraggio, dal titolo a dir poco emblematico Blah Blah Blah. L'attrice francese torna di nuovo a Parigi - lasciando che i discorsi si facciano più ironici, sudici e taglienti - dove i due protagonisti finiscono per mettersi a nudo con tutti i limiti e i difetti che solo una coppia che si ama davvero può arrivare a comprendere e superare. Nell'esporre le problematiche sentimentali di Jack e Marion, la Delpy cita Viaggio in Italia ("un film a lieto fine"), perché, come ha spiegato la stessa attrice/regista nell'incontro che si è svolto questa mattina a Roma, non può esimersi dal fare riferimento ai film che ama. "Rossellini è riuscito a realizzare uno dei più bei film sulle difficoltà di coppia sottolineando come sia un miracolo riuscire a rimanere insieme".

Lei ha scritto, diretto, montato, co-prodotto, interpretato e firmato parte della colonna sonora del film. Come ci è riuscita?
La parte difficile non era rappresentata né dalla scrittura, né dalla recitazione, né dalla direzione e neanche dalla realizzazione delle musiche. Non è mai l'aspetto creativo di un film a spaventarmi. È stato difficile invece duplicare le copie del dvd da mandare ai festival, aggiustare le cineprese quando si rompevano e sicuramente andare in giro a chiedere il denaro per realizzarlo. Fare tutto da sola, più che una questione di megalomania è stata una necessità.

Una necessità economica?
Sì, se non avessi fatto io il montaggio avrei dovuto pagare qualcuno per farlo. Comunque penso che ogni regista debba occuparsene, se non in prima persona almeno ingaggiare qualcuno di cui si fidi ciecamente e stargli al fianco durante la post-produzione. È un aspetto troppo importante del film. Quanto alle musiche, avevo da parte più di 400 brani musicali scritti da me che aspettavano solo di essere usati. Mentre una delle canzoni inedite ("Experiment", Ndr) l'ho scritta per via di un accordo con i produttori francesi, in cambio della quale mi avrebbero dato i soldi che mi servivano per realizzare il film. Preferisco di gran lunga cantare una canzone piuttosto che andare a letto con qualcuno!

Come fa una regista/attrice a sdoppiarsi sul set?
Non ho riflettuto a lungo su come impostare il lavoro perché non ne ho avuto il tempo. Ma non sono mai stata una di quelle attrici di metodo, cerebrali, che non riescono a uscire dal personaggio neanche fuori dal set. Quando il regista grida "e... stop!" io torno a essere Julie, per questo non ho avuto nessun problema a sdoppiarmi. Soprattutto è importante riuscire a scindere le due personalità nella fase di montaggio. Rendersi conto che alcune scene, per quanto belle e ben recitate, possono non essere funzionali al film. Mi sono dovuta tagliare molto, e per fare questo bisogna essere un po' schizoidi.

Che aria si respirava sul set, considerato che il cast è in gran parte composto da familiari e amici?
Lavorare con i miei genitori e i miei più cari amici ha aiutato a creare un'ottima atmosfera sul set. Tuttavia ho sofferto molto, perché ero l'unica a essere a conoscenza delle problematiche del film legate essenzialmente al lato economico. Spesso non sapevo se i soldi sarebbero bastati per andare avanti con le riprese, e anche in fase di post-produzione il problema si è ripresentato. Ma tra le sceneggiature che avevo già pronte, 2 giorni a Parigi era quella che richiedeva meno denaro. Il prossimo film che farò (The Countess, Ndr) sarà totalmente diverso da questo. È un dramma in costume basato sulla storia vera di Erzebeth Bathory, la sanguinaria contessa ungherese dedita alla magia nera.

Lei ha partecipato come attrice a diversi film ambientati a Parigi. Qual è il fascino di questa città e qual era la sfida nel raccontarla nuovamente?
Sono parigina, sono nata e cresciuta a Parigi, ho studiato in questa città. La amo ma allo stesso tempo la detesto. Conosco un lato di Parigi che non viene spesso mostrato nei film, un lato più violento, meno romantico, che alimenta disordini, omicidi. Ecco, io ho voluto raccontare questo aspetto della mia città attraverso la storia di due persone in conflitto.

Cosa le hanno fatto di male i francesi e dov'è che ha calcato maggiormente la mano ritraendoli?
Ho lasciato la Francia per gli Stati Uniti - anche se non rappresentano quell'American dream di cui si favoleggia tanto - perché mi sentivo a disagio nel mondo del cinema, che trovo troppo piccolo e chiuso. Credo di essere troppo onesta per potermi trovare bene nel mio paese. Comunque non ho affatto esagerato descrivendo i francesi. Posso assicurarti che ho incontrato tassisti molto più razzisti di quello del mio film. Ho solo deciso di metterli di fronte a una telecamera.

I francesi sono noti per essere poco autocritici.
È vero, ma io penso che la satira sia essenziale per la sopravvivenza della cultura di un paese. Sono sempre stata estremamente autocritica nei confronti di me stessa e della Francia. Sebbene 2 giorni a Parigi sia andato molto bene nel mio paese di origine, molti spettatori sono usciti dalla sala scioccati. Ho ricevuto molte critiche, persino qualche minaccia di morte, neanche si fosse trattato de L'ultima tentazione di Cristo. I francesi sembrano non conoscere l'autoanalisi, tant'è vero che film come La battaglia di Algeri sono stati diretti da registi stranieri come appunto l'italiano Pontecorvo. Non amo particolarmente neanche la cultura americana, ma almeno loro sono capaci di ridere di se stessi.

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