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L'ora di punta: l'ascesa immorale di un giovane arrivista

Fischi di dissenso per il terzo film italiano in concorso a Venezia.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il film

giovedì 6 settembre 2007 - Incontri

Il film
L'opera terza di Vincenzo Marra - in concorso alla Mostra di Venezia - segue la spregiudicata scalata al successo di Filippo Costa (Michele Lastella). Proveniente da una modesta estrazione sociale, il protagonista aspira a fare carriera e viene aiutato da Caterina (Fanny Ardant), una donna tanto avvenente quanto potente che, per amore del suo giovane compagno, gli apre le porte del mondo dell'alta finanza. Le regole ciniche dell'ambiente porteranno Filippo ad abbandonare ogni residuo di remora umana e morale. Atteso domani, in uno centinaio di sale italiane (e già chiamato a partecipare al festival di Toronto), a Venezia L'ora di punta è stato accolto con fischi di dissenso, facendo nascere un acceso dibattito in sala conferenze, durante l'incontro con il regista napoletano e il cast del film.

Il suo film è stato molto criticato questa mattina, soprattutto per salti temporali che sembrano rispecchiare una cattiva sceneggiatura. Pensa ci sia stata una mala interpretazione da parte del pubblico?
Vincenzo Marra: Con tutta l'onestà intellettuale che posso avere, non posso stare nella testa delle persone. Rispetto le loro reazioni, altrimenti non farei questo mestiere. Mi aspetto però che lo spettatore sia intelligente da capire che un film ha anche una durata da rispettare. Ho scelto volutamente di non mostrare l'innamoramento tra i due protagonisti, ad esempio, perché credo che la scena in cui c'è lo scambio degli sguardi sia abbastanza loquace. Quanto ai dialoghi, ho sempre cercato di lavorare di sottrazione, centellinando le parole per dare allo spettatore il tempo di riflettere. Il mio mestiere è quello di cercare di fare un film che nasca da un'urgenza che ho dentro. Il mio rispetto nei confronti dello spettatore è di aver lasciato un finale aperto che possa sollevare delle domande, magari dopo tre giorni dalla visione. Mi basta che, in mezzo a un gruppo di anziani, a un solo ragazzo gli scatti un pensiero. Questo mi darà la spinta per andare avanti.

Come crede che prenderà la guardia di finanza il suo film?
Marra: Anche qui, devo ripetermi, spero sarà visto con occhi intelligenti. In tutti gli ambienti ci sono le mele marce. È ovvio che non volessi dire che sono tutti così. Se lo fanno gli americani va bene, se lo facciamo noi, no. Rivendico la mia libertà di cineasta, di raccontare anche l'altra parte, la parte cattiva. Sono molto felice di aver fatto questo film. Si critica spesso i registi italiani di non parlare dell'oggi, del paese in cui viviamo. Io l'ho fatto, parlando di una persona disposta persino a vendere la propria madre, che si attacca alla bramosia per uscire dall'anonimato.

Come mai ha scelto di interpretare Catherine e che ne pensa del suo personaggio?
Fanny Ardant: Le ragioni sono sempre oscure. Vincenzo è venuto da me a Parigi. Ha parlato, raccontato, l'ho guardato e quello che mi piaceva era la sua determinazione e la sua coerenza. Era molto sicuro di quello che voleva, il film era come un bambino che stava crescendo dentro di lui. Non ho amato subito il mio personaggio, ma volevo assolutamente partecipare. Ora che ho scoperto la mia parte, posso difenderla.

È pronto ad affrontare le critiche negative?
Marra: Non mi sono mai sottratto alle critiche, non mi sono mai sentito sopra le parti. Mi sono sempre documentato e ho cercato di ascoltare i diversi punti di vista mettendomi anche in discussione. Ma non posso farlo ora, di fronte alle prime critiche che mi vengono fatte per un film al quale ho lavorato negli ultimi tre anni. Mi sembrerebbe di fare un torto a me, al film, alle persone che hanno lavorato con me e anche al festival di Venezia.

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