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Con Ghost Son ritorna la paura anni '70

Lamberto Bava torna al cinema con un film tipicamente anni '70, sia dal punto di vista della trama che da quello della realizzazione
di Gabriele Niola

30 anni non sono passati invano

lunedì 14 maggio 2007 - News

30 anni non sono passati invano
Sono parecchi anni ormai che sono tornate di moda le estetiche e le soluzioni visive dei film di serie B anni '70, tra questi a regnare, oltre ai poliziotteschi, c'erano soprattutto gli horror di Mario Bava e ora il figlio Lamberto (che fino ad ora ha lavorato più che altro per la televisione) che con Ghost Son riporta il genere al cinema senza omaggiarlo, ma riproponendolo esattamente com'era. Come se non fosse passato un giorno.
Eppure gli anni sono passati e anche i film, e nemmeno Lamberto Bava non può tenerne conto, nonostante la sua volontà di girare un horror come quelli di suo padre. Innanzitutto perché alcuni film (come gli horror giapponesi) hanno modificato un certo modo di fare cinema e non si può più tornare indietro e poi perché la tecnologia, volente o nolente entra nel film e sorprendentemente lo fa verso la fine con alcuni effetti digitali di ottima fattura, come non se ne vedono in Italia.

Una storia d'altri tempi...
Sono molti gli elementi che rendono Ghost Son un film pienamente anni '70, sia dal punto di vista della trama che da quello della realizzazione. Innanzitutto si tratta di un film a produzione italiana con attori internazionali, un horror in cui la protagonista è una donna formosa, che esibisce il corpo in maniera velata e non esplicita, ma provocante ed erotica lungo tutto il film. La commistione erotico-orrore infatti era una cosa tipica del nostro cinema di paura, donne formose in continua fuga da assassini o entità soprannaturali, solitamente assalite in momenti erotici quali docce o i momenti prima di andare a letto. In questo caso c'è addirittura un atto sessuale con un fantasma.
A questo va aggiunto anche l'elemento infantile, il bambino demoniaco o mostruoso o comunque l'infanzia diabolica è un altro topos che non si può trascurare e che infatti si ripete anche in Ghost Son.
Infine vanno aggiunti gli elementi di contorno. Solitamente negli horror italiani degli anni '70, lo scenario aveva una grossa importanza, si trattava spesso di località esotiche o comunque diverse dalle città (fa eccezione Argento, che modificava e rendeva irriconoscibili le grandi città italiane) che si caratterizzavano più che per i paesaggi soprattutto per la presenza degli abitanti locali, sempre al corrente delle dinamiche spaventose che avevano luogo in quei posti.

...raccontata con mezzi d'altri tempi
Dal punto di vista tecnico invece tutto si gioca sulla luce. Essendo Lamberto Bava cresciuto sui set del padre ha preso molto di quello stile che creava la paura attraverso la manipolazione degli ambienti. La fotografia infatti è tutta incentrata su espedienti d'epoca.
Ci sono le luci che al buio illuminano i personaggi da dietro le spalle conferendogli un'aura quasi magica, ci sono le riprese da punti di vista impossibili come alcune fatte da sotto il pavimento della vasca da bagno (come se il fondo fosse di vetro e si potesse guardare da sotto), ci sono le forbici dalla lunga lama usate per spaventare, ci sono le riprese dal basso e i carrelli in orizzontale lungo la casa ecc. ecc.
E non solo, quello che più ricorda il cinema dell'orrore di trent'anni fa è il continuo insistere sui volti, sugli sguardi, stringendo i protagonisti in inquadrature alle volte quasi castranti (sempre volutamente) per sottrarre allo sguardo e creare tensione.
Insomma c'è tutto un modo di mettere in scena che oggi non si usa più ma che inevitabilmente si scontra con un'influenza moderna che non può essere evitata.

Quando Dario Argento incontra l'horror giapponese
Non sono passati invano i film giapponesi e quelli di John Carpenter e Wes Craven e nemmeno le tecnologie digitali. E nonostante Bava non voglia dare l'idea di fare un horror moderno alcune di queste tecniche si fanno strada ugualmente nel film.
In Ghost Son è presente infatti l'idea tutta giapponese di un male che è compenetrato dal bene e di un animismo dell'orrore, cioè le classiche forze del male che perseguitano la protagonista non sono più casi isolati, spiriti intrappolati tra un mondo e l'altro, ma una tendenza "normalmente soprannaturale" che colpisce anche altri abitanti del luogo.
A livello tecnico poi la modernità è particolarmente evidente nel modo in cui tutto è "mostrato". Sia per motivi di scarsità sia per motivi di opportunità il genere dell'orrore italiano tradizionalmente si fondava sulla negazione, cioè sul non mostrare ma suggerire gli elementi spaventosi in modo che fossero ancora più terrificanti. Il Giappone e la sua cultura dell'immagine ha invece ribaltato questo, trovando sempre nuove idee e nuove forme visive che fossero effettivamente spaventose in sé, dimostrando quindi come poter mostrare l'orrore.
Esempio perfetto di questa ibridazione con le ultime tendenze sono la scena della doccia, molto simile a quella di Ju-on (o The Grudge) in cui la protagonista è di spalle e tra i suoi capelli compare la mano del marito defunto, oppure ancora di più la scena del bambino che si mette in piedi, viene incontro alla madre e con un colpo cresce e diventa il fantasma del morto, una sequenza a metà tra la bambola di Profondo rosso (per il tipo di angolatura e l'idea dell'oggetto della paura che viene incontro alla macchina da presa in maniera rapida ma non istantanea) e i movimenti di scatto del demonio uscito dal televisore di The Ring.

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