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Io, l'altro: il sospetto che rende vittime

In uscita il prossimo 18 maggio il film di Mohsen Melliti, co-prodotto da Raul Bova, rientra nel filone riconosciuto come cinema post 11 settembre.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Io, l'altro

venerdì 11 maggio 2007 - News

Io, l'altro
Yousef, un esiliato tunisino, e Giuseppe, un pescatore siciliano, sono buoni amici e lavorano insieme da diversi anni. Si sono messi in proprio e hanno ancora parecchie rate da pagare per il peschereccio che si sono comprati. Proprio durante una battuta di pesca in mezzo al mare Giuseppe sente al radiogiornale che un uomo di nome Yousef è il terrorista che ha organizzato un attentato in Spagna e che la polizia sta cercando. Da prima divertito dell'evidente caso di omonimia, Giuseppe inizia poco a poco a sospettare dell'amico e a vederlo con altri occhi. Il sospetto si insinua anche nel pubblico man mano che il film procede sullo sfondo immenso del mare che la fa da padrona e rende ancora più piccoli, distanti e soli i due protagonisti, Raul Bova e Giovanni Martorana. Scritto e diretto dal tunisino Mohsen Melliti - al suo esordio sul grande schermo - da anni esiliato in Italia, Io, l'altro mette in scena tutta la paura e la diffidenza del prossimo provocata dopo i tragici eventi dell'11 settembre.

Come nasce l'idea di Io, l'altro?
Raul Bova: Quando ho letto la sceneggiatura ho visto la possibilità di ritrarre un bel personaggio. Era un'interpretazione difficile, quasi teatrale, ma ci ho creduto subito e così, pur di fare il film, ho rinunciato al mio cachet. Ho scelto di partecipare a Io, l'altro anche nelle vesti di produttore perché volevo mettermi alla prova, vedere fino a che punto ero arrivato. Inoltre mi era capitato altre volte di leggere script buoni che però non trovavano mai qualcuno disposto a produrli, così mi sono esposto in prima persona e non è detto che non ci saranno altre occasioni in futuro.

In un'intervista hai detto di esserti scoperto un po' razzista dopo l'11 settembre...
Raul Bova: Ho sentito crescere la paura, il sospetto nei confronti delle popolazioni arabe, ma allo stesso tempo ero indignato perché ero vittima di un modo di pensare provocato principalmente dai media. I terroristi sono solo una piccola frangia nel mondo islamico, ma il sospetto si è allargato a tutta la loro civiltà. Ho pensato a come ci consideravano gli americani fino a non molti anni fa. È vero che la mafia aveva messo radici negli Stati Uniti, ma non tutti gli emigranti italiani erano mafiosi.

Come è vissuta in America questa paura?
Raul Bova: Lì è ancora più radicata perché c'è un bombardamento mediatico in cui gli arabi vengono massacrati a livello d'immagine. Ho anche potuto vedere con i miei occhi in una sala di videogames un gioco dove invece di sparare agli alieni spari agli arabi. È spaventoso. Anche in Italia siamo rimasti coinvolti in questo moto di paura e credo che i media, di tutto il mondo, abbiano un potere enorme in questo senso: possono creare dei miti ma anche suscitare odio. Infatti il sospetto, nel film, nasce dall'esterno, è manipolato, non è istintivo.

Come mai ha abbandonato la Tunisia?
Mohsen Melliti: Nel 1987 l'Italia ha partecipato attivamente a un colpo di Stato in Tunisia che ha portato al potere il presidente Ben Alì. Da allora non c'è più stata libertà di espressione e i pochi giornalisti liberi sono stati costretti all'esilio, gli altri hanno ricevuto condanne fino a trent'anni di carcere. Io sono venuto via da piccolo, ma mi dispiace non poter partecipare attivamente al contrasto. Il mio film non si basa solamente sul pregiudizio nei confronti degli arabi, ma è un'analisi di come il terrore sia stato creato a tavolino.

Come ti sei preparato per la parte?
Giovanni Martorana: Sono nato in un quartiere di Palermo popolato da arabi, molti dei quali erano amici di famiglia. Avevo bene in mente il loro modo di parlare e mi sono ispirato a loro. Ho voluto fare questo film anche per loro, volevo dimostrare che non tutti gli arabi sono fanatici come ci vogliono far credere. Io stesso ho dei seri problemi ogni volta che viaggio perché vengo scambiato per un arabo. Mi fermano sempre.

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