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Le ferie di Licu: quando il cinema scopre la realtà

Un film sulla comunità bengalese di Roma, era questo l'obiettivo di Vittorio Moroni che, durante la ricerca si è imbattuto in Licu e ha deciso di seguirlo nella sua avventura fino in Bangladesh, dove il giovane protagonista è andato a sposarsi secondo la tradizione del suo paese.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla comunità bengalese di Roma e quali sono state le difficoltà nel girare questo docufilm?
Vittorio Moroni 1971, Sondrio (Italia). Regista del film Le ferie di Licu.

giovedì 3 maggio 2007 - News

Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla comunità bengalese di Roma e quali sono state le difficoltà nel girare questo docufilm?
L'idea iniziale era quella di farci un film, avevo scritto un soggetto che ha ricevuto una segnalazione al Premio Solinas, ma nell'avvicinarmi alla comunità bengalese ho capito che non ne sapevo abbastanza. Così ho iniziato un'indagine filmata che mi ha portato a conoscere Licu. Era il personaggio che stavo cercando, in lui c'erano dei conflitti tra la tradizione e la volontà di integrarsi a Roma. Ho trovato una grandissima disponibilità e apertura, soprattutto da parte di Licu che aveva una gran voglia di conoscere gli italiani. Da una parte era colpito dal fatto che volessi fare un documentario su di lui e dall'altra non aveva un atteggiamento esibizionistico, era molto trasparente, e questo mi ha spinto ad andare avanti con le riprese. Io facevo continuamente delle ipotesi su come avrebbe gestito la sua vita ma queste ipotesi venivano continuamente smentite dalla realtà offrendo al contempo al nostro film nuovi spunti.

Come il matrimonio combinato, ad esempio.
Esattamente. A un certo punto gli è arrivata una busta dalla madre contenente una foto di questa ragazza diciottenne che la sua famiglia aveva scelto per lui come sposa. Pensavo che non avrebbe mai accettato il matrimonio combinato, invece ha accolto la richiesta della madre con grande entusiasmo e si è organizzato per la partenza. A quel punto il film stava prendendo una direzione ben precisa, così a nostra volta lo abbiamo seguito in Bangladesh dove siamo rimasti un mese e una settimana.

Non avere una sceneggiatura ha reso probabilmente tutto molto più "reale". La telecamera non è mai stata vista come un intruso dalla famiglia degli sposi?
No, in Bangladesh le riprese sono state le più facili, in parte perché loro erano talmente concentrati dall'organizzazione del matrimonio che non prestavano particolare attenzione alla nostra troupe. Ho lavorato utilizzando il teleobiettivo e i radiomicrofoni in modo da stare tecnicamente distante da loro e otticamente più vicino, in questa maniera ho evitato che sentissero ingombrante la mia presenza. In più loro vivevano la telecamera come se fosse una macchina fotografica per cui rimanevano in posa i primi dieci secondi, aspettando che io scattassi la foto, dopodiché finivano per disinteressarsi completamente a me.

Il tuo film è stato anche un modo per fare avvicinare Licu e Fancy in maniera diversa, facendoli sentire protagonisti di una storia "cinematografica".
Mi sono domandato più volte in che modo abbiamo influenzato la loro storia. Ho cercato di non condizionarli mai, anche quando avrei voluto, però è chiaro che quando c'è una troupe che ti segue ti senti un po' influenzato dall'occhio che ti guarda. Il film riassume i due anni e otto mesi di vita dei protagonisti in 93 minuti e immaginavo potesse essere uno shock per loro rivedersi. Invece si sono riconosciuti e per certi versi è stato un potenziamento della loro memoria, per altri versi si sono visti come li vedevo io e questo può generare in loro una riflessione sul percorso che hanno fatto.

Sei stato molto fortunato perché sia Licu che Fancy hanno dei volti da cinema.
È vero. Nel caso di Licu l'ho scelto per via delle caratteristiche che c'entravano con la sua voglia di diventare in fretta romano. Come il fatto che dedichi mezz'ora al giorno a farsi il ciuffo alla Elvis, che sia così attento al suo modo di vestire, che parli questo italiano un po' stentato con l'accento romanesco... mi sembravano tutti elementi belli da vedere al cinema. Mentre per quanto riguarda Fancy è stata solo fortuna. L'ho conosciuta quando l'ha conosciuta anche Licu, e a quel punto eravamo già molto avanti con le riprese. Non solo è una ragazza molto bella ma ha anche un'espressività decisamente interessante e insieme formano una coppia intrigante.

Già con il tuo primo film, Tu devi essere il lupo, avevi gestito il lancio in autonomia, attraverso la Myself. Anche questo film segue lo stesso canale di distribuzione. Quali sono i pro e i contro di un'operazione autogestita?
È una necessità data dalla disperazione. Avrei preferito un produttore, ma piuttosto che vedere un film seppellito in un cassetto o uscire in una sala di Roma per soli due giorni ho preferito dedicare un anno della mia vita a distribuirlo e organizzare degli incontri con il pubblico che a mio avviso sono fondamentali per mantenere vivo l'interesse. Certo, ci sono dei rischi, ma un'operazione del genere ti dà tantissime soddisfazioni. In più ci siamo inventati il "Licu Tour", una specie di tournèe che inizierà quest'estate e finirà a Natale durante la quale porteremo il film in tutte le città di provincia e nei cineforum che ci vorranno ospitare, luoghi dove il pubblico raramente ha la possibilità di vedere i film usciti fuori dai circuiti ufficiali o di incontrare i registi.

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