Di cosa tratta "Il mio paese"?
È una riflessione sull'Italia d'oggi, su cosa accade a me nel "mio paese" e su cosa accade nel "mio paese" in questo momento. Perchè accadono le cose, che domande ci stiamo facendo: questo è il senso. Il dibattito rimane aperto, perchè nessuno ha le risposte: vanno trovate faticosamente, tutte insieme.

Perché ha voluto girare un documentario sull’Italia d’oggi?
L’idea è nata quando ho visto L’Italia non è un Paese povero, di Joris Ivens: da lì mi venne in mente di percorrere le stesse tappe del suo viaggio, ma procedendo in senso inverso, dal Sud al Nord. Racconto quello che del nostro Paese non si vede molto: il mondo rurale scomparso dall’informazione e dalla cultura e la grande industria e la sua profonda crisi.

Qual è la differenza con il film di Ivens?
Ivens raccontava un’Italia in crescita: era il 1959, anno del boom economico, di grande trasformazione ed entusiasmo. Quando ho visto il film vivevo in un Paese diverso, con una profonda crisi strutturale, culturale, politica. Nel mio film si contrappongono il boom economico del 1959 e il declino d’oggi.

Dunque, il film che messaggio porta?
È fondamentale la riflessione sulla divisione ancora presente e sulle sue contraddizioni. Nel Sud è ancora molto forte l’emigrazione, ma è mutata la sua composizione sociale: accoglie gente proveniente da altri Paesi. Nel Nord, invece, la situazione è ben diversa: vi è solo l’immigrazione. Nel trattare principalmente un problema come il lavoro è stata fatta una precisa scelta, un'esemplificazione di tutta una serie di questioni presenti nel nostro Paese.

Ci sarà un "Il Mio Paese 2.0"?
Sì: raccoglieremo materiali inviatoci dai registi italiani per farne un progetto multimediale. Sarà un documentario molto particolare, non potrà essere un lavoro lineare. Non sappiamo ancora se monteremo il materiale inviatoci o se lo sovrapporremo. Dovrà essere un film non con un inizio e una fine, ma con vari livelli dove si potrà passare da una cosa a un'altra senza avere una continuità.