Chi - ispettore o critico - abbia incontrato Raffaello Matarazzo come regista solamente dal tardo dopoguerra in poi (dal 1950, cioè, l'anno di Catene e di Paolo e Francesca), è autorizzato a ritenere che si tratti di un autore non dotato di interesse per la realtà quotidiana e per le commedie di divertimento e di costume, non sensibile al senso dell'umorismo. Invece queste sono state le qualità principali di Matarazzo, come regista del cinema italiano, dal 1933 al 1948; c'è infatti da aggiungere che, anche come autore teatrale, pur se non prolifico, Matarazzo ha seguito il suo primo tono: testi come Simmetrie (1936), La moglie di papà (1940), Una famiglia immorale (1960) non lasciano il campo a dubbi.
Giornalista, si avvicina molto giovane al cinema come soggettista. La sua prima esperienza pratica è quella di aiuto di Mario Camerini per Figaro e la sua gran giornata, nel 1931. Dopo alcuni documentari, dirige nel 1933 il suo primo film come regista, scrivendo anche il soggetto e, in collaborazione, la sceneggiatura: è Treno popolare, girato completamente dal vero. Occorre considerare che il cinema italiano degli Anni Trenta non è soltanto quello più noto dei 'telefoni bianchi', come superficialmente è stato chiamato (anche se con delle ragioni, beninteso). Alcuni esempi, certamente non frequenti, alcuni autori, certamente meno noti, si dedicano, proprio nei primi anni del primo decennio del sonoro, a una qualche ricerca non marginale di realismo quotidiano. A certi film di Blasetti, Camerini, Poggioli, Palermi, Brignone e altri ancora, si può agevolmente aggiungere questo Treno popolare, storia di una gita domenicale con qualche contrattempo e molte attente notazioni psicologiche e di costume.
Treno popolare non piace al regime fascista: troppo disinteresse, anche in un breve divertimento, per i 'superiori destini della patria', troppo naturalismo 'alla francese'. Non ha neppure gran successo di pubblico e Matarazzo, che non è un eroe, pur restando in un terreno affine annacqua il suo 'realismo quotidiano' con gli ingredienti della commedia, del brillante, della piccola satira. Nel 1934 realizza Kiki, nel 1935 Serpente a sonagli, nel 1936 L'anonima Roylott e Joe il rosso, con Armando Falconi. Del 1937 sono È tornato carnevale e Sono stato io! (coi tre De Filippo), del 1939 Il marchese di Ruvolito, con Eduardo e Peppino De Filippo, e L'albergo degli assenti. La critica non s'accorge molto di lui, il pubblico va ai suoi film senza farne il fatto del giorno e identificarli in un filone unitario, senza 'personalizzarli'. Gli interpreti, salvo eccezioni, non sono quelli più popolari e più noti, anche se danno comunque un apporto valido e professionale ai toni spigliati, svagati, certamente fuori da qualsiasi impegno e significato, ma dignitosamente spettacolari che hanno i suoi film. Così che Matarazzo continua imperterrito fino al 1948, compresi tre anni di intermezzo spagnolo (Trappola d'amore è del 1940, Notte di fortuna e L'avventuriera del piano di sopra del 1941, Giorno di nozze del 1942, Il birichino di papà, e Dora, la espia del 1943, Empezó en boda del 1944, Fumeria d'oppio del 1947, Lo sciopero dei milioni del 1948), passando attraverso la guerra, la fine della guerra, la caduta del fascismo senza nulla cambiare.
Una svolta, invece, viene all'improvviso nel 1950 quando dirige Catene, un drammone sentimentale-melodrammatico (a una osservazione molto attenta non sfuggono l'ironia e forse l'autocritica, ma è un'osservazione frutto del senno di poi). Il film ottiene un enorme successo di pubblico. E il nome di Matarazzo rimane legato indelebilmente a tale formula, di cui ripete gli esemplari, sempre con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson: Tormento e I figli di nessuno nel 1951, Chi è senza peccato... nel 1953, Torna! nel 1954, L'angelo bianco nel 1955, e così via. Altri titoli non aggiungono nulla fino al 1963, anno in cui appare il suo ultimo film, Adultero lui, adultera lei, mentre il solo Giuseppe Verdi (1953) riesce forse a esprimere il senso di una qualche ricostruzione d'ambiente.