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Marco BellocchioI pugni in tasca e lo sguardo ribelle81 anni, 9 Novembre 1939 (Scorpione), Bobbio (Italia) |
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Uno dei registi più anticonformisti della storia del cinema italiano. Coraggioso, puntuale, deciso, ha saputo portare avanti le sue idee laiche, difendendole con la forza espressiva dell'arte, entrando nella complessità degli argomenti, dalla politica sessantottina alle conseguenze drammatiche degli anni di piombo, dalla follia dei manicomi all'incapacità di amare delle persone comuni.
Debuttante prodigioso
Nato e cresciuto a Bobbio, frequenta le scuole salesiane dove dimostra già da piccolo un animo ribelle, segno distintivo che lo caratterizzerà anche in età adulta. Dopo le scuole superiori inizia gli studi universitari, interrotti poco dopo per seguire la passione del cinema; si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia di Roma e comincia la sua ricchissima carriera da regista di cortometraggi, fiction e documentari. Attratto dalla complessità del cinema, approfondisce tutti gli aspetti dell'arte, formandosi soprattutto sugli insegnamenti del neorealismo e della tetralogia della malattia dei sentimenti di Antonioni. Unisce così la sapienza tecnica ad un raffinato gusto estetico e realizza il suo primo film, I pugni in tasca (1965), presentato alla Mostra di Venezia come produzione indipendente. Crudele, sfrontata, distruttiva, la pellicola racconta la frustrazione di un giovane oppresso dall'educazione borghese dei genitori, un avvilimento che porta alla follia di un gesto estremo: lo sterminio della famiglia. Con un esordio del genere, accolto come una folgorazione da parte della critica più agguerrita, Bellocchio si trova a far fronte ad una serie di aspettative difficili da sostenere.
Il giornalismo sotto accusa
Due anni dopo presenta La Cina è vicina, un intenso film di contestazione che riprende i temi del lavoro precedente ma non con lo stesso equilibrio; il risultato è un'intelligente storia di rabbiosa reazione allo squallore della corruzione nei rapporti familiari, un modo per puntare il dito alla politica trasformista retta, in questo caso, sull'ipocrisia borghese (ben rappresentata dall'amico Antonioni, da cui Bellocchio prende spunto). Dopo la partecipazione al collettivo Amore e rabbia (1969), dove mostra il dibattito studentesco sull'avvenire della scuola, dirige Sbatti il mostro in prima pagina (1972), su sceneggiatura di Goffredo Fofi, un ritratto amaro sul mondo del giornalismo. Il protagonista, interpretato da Gian Maria Volontè, è il capo redattore di un grande quotidiano nazionale che decide di sfruttare un piccolo fatto di cronaca per mistificare il coinvolgimento politico della destra nell'attentato di piazza Fontana; il film rivela, seppur con meno audacia dei primi lavori, il coraggio di scardinare le apparenze per portare alla luce il marcio nascosto dei mass media. Nello stesso anno approfondisce l'influenza negativa della pressione politica sui canali di informazione e sottolinea le contraddizioni delle istituzioni educative del mondo cattolico in Nel nome del padre (1972).
Con Rulli e Petraglia
L'amicizia con Rulli e Petraglia lo induce a prendere a cuore il dramma dei malati mentali, e realizza con loro il bellissimo documentario Matti da slegare (1975), dove cerca, con grande rispettosità, di mostrare l'erroneità dei metodi educativi nei manicomi. Il suo innato anticonformismo invade anche il campo dell'addestramento militare in Marcia trionfale (1976), con Michele Placido e Miou-Miou, e quello della letteratura straniera ne Il gabbiano (1977), difficile trasposizione cinematografica del capolavoro di Anthon Checov, scritto nuovamente da Rulli e Petraglia. La fortunata collaborazione con i due sceneggiatori continua nel successivo documentario La macchina cinema (1978), a cui si aggiunge Silvano Agosti (già co-autore di Matti da slegare), un viaggio all'interno della settima arte dal punto di vista degli attori provinanti, di chi produce e di chi usa la macchina da presa. Un bel percorso che dichiara amore al cinema, mostrandone anche gli aspetti spiacevoli, il degrado e la difficoltà di superare gli insuccessi personali.
Follie quotidiane di una famiglia 'normale'
Gli anni Ottanta inaugurano un ritorno simbolico ai temi prediletti degli esordi. Prima con Salto nel vuoto (1980), poi con Gli occhi, la bocca (1982), entrambi interpretati da Michel Piccoli, il regista rappresenta diverse dinamiche sentimentali all'interno di una famiglia, rancori e umiliazioni che si intrecciano al dramma del suicidio. Nel 1981 realizza il documentario Vacanze in Val Trebbia, autobiografia del ritorno del regista e la sua famiglia a Bobbio, il paese d'origine, tra discussioni sulla vendita della vecchia casa e nuovi sguardi sull'avvenire.
Il sodalizio artistico con lo psichiatra Massimo Fagioli
Nello stesso periodo conosce lo psichiatra Massimo Fagioli, con cui inizia un florido sodalizio artistico proprio con Diavolo in corpo (1986), subito dopo la straordinaria rappresentazione di Enrico IV (1984) con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale, tratto da un'opera di Pirandello. Sotto l'ala protettrice dell'amico Fagioli, dà il via a numerosi progetti: La visione del Sabba (1988), sguardo laico e lucido sulla stregoneria dei tempi moderni, scritto assieme a Francesca Pirani, e soprattutto La condanna (1991), Orso d'argento a Berlino, dissacrante riflessione sul tema dello stupro che segue gli studi psico-analitici del professore. Dietro alla sperimentazione narrativa de Il sogno della farfalla (1994), scritto da Fagioli e fotografato dal greco Yorgos Arvanitis, si cela il desiderio di superare la staticità tradizionale del racconto filmico per varcare i confini e dare maggior importanza alla voce delle immagini.
Documentari di contestazione e l'ispirazione letteraria
Dopo aver scandagliato l'inconscio, decide di cambiare rotta, rifugiandosi nuovamente nel più realistico lavoro di documentarista. In Sogni infranti - Ragionamenti e deliri (1995) sceglie di dare spazio alle opinioni di quattro esponenti della cultura rivoluzionaria post-sessantottina (comunisti, sindacalisti e brigatisti) per raccontare lo sfascio delle illusioni di quel particolare momento sociale. Abbandona per un attimo la politica (sempre descritta, mai fatta in prima persona) per assecondare il progetto di portare al cinema la tragedia Il principe di Homburg (1997) di H. von Kleist, film diviso tra la consolante fantasia del sogno e l'attaccamento ossessivo alla materialità, un ottimo lavoro che riporta Bellocchio all'incisività di qualche anno prima. Stesso discorso vale per il successivo La balia (1999), con Valeria Bruni Tedeschi e Fabrizio Bentivoglio, ispirato a uno scritto di Pirandello, dove il tema principale, l'incapacità di amare, viene sviscerato attraverso le parole e i movimenti 'folli' dei personaggi, marchi autoriali del regista.
Laicità, dentro e fuori lo stato
Dopo lo splendido documentario Addio del passato (2000), dedicato alla figura del musicista Giuseppe Verdi, presenta al Festival di Cannes L'ora di religione - Il sorriso di mia madre (2002), vizi e virtù di un pittore (Sergio Castellitto) colpito dalla notizia che il Vaticano intende santificare sua madre, diviso tra la difesa della sua laicità e le pressioni dei familiari che vedono nell'operazione un'occasione di guadagno economico e prestigio. L'anno dopo porta in concorso a Venezia Buongiorno, notte, ambientato durante gli anni di piombo, racconto amaro e sofferto del sequestro Moro, interpretato magistralmente dall'attore teatrale Roberto Herlitzka. Ritorna a scoprire nuovi aspetti della vita a Bobbio con Sorelle (2006), che verrà sviluppato in Sorelle Mai (2011), il quale viene definito dall'autore un piccolo film di fantasia, non documentario e tanto meno documentario nostalgico. Poi riprende in mano la riflessione sul laicismo con Il regista di matrimoni dove analizza il ruolo del cineasta deluso da una serie di piccoli fallimenti, quello di un amatore che filma matrimoni, e infine quello di chi si finge morto per avere quel riconoscimento che non ha avuto in vita.
La politica di passato e presente
E mentre al cinema abbandona la contestazione politica, nella vita vera decide di mettersi alla prova, candidandosi alle elezioni per la Camera dei Deputati, nella lista della Rosa nel Pugno. Parallelamente a questo nuovo percorso, coinvolge Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno nel progetto Vincere (2009), dove racconta la drammatica esistenza di Ida Dalser, la prima moglie di Benito Mussolini, amata, rifiutata e tenuta nascosta fino alla morte in manicomio. Nel 2012 invece presenta alla Mostra del Cinema l'opera Bella addormentata, ispirato alla vicenda di Eluana Englaro. Dopo Sangue del mio sangue (2015), presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2015, l'anno successivo porta a Cannes nella Quinzaine des Réalisateurs Fai bei sogni, tratto dal romanzo di Gramellini e interpretato da Valerio Mastandrea e Bérénice Bejo.
Già da alcuni anni, il cinema angloamericano ci ha abituati a non raccontare più biografie complete - come ai tempi di Gandhi o, più recentemente, Ray - ma brevi tratti di esistenza, istantanee di vita, brani scelti all'interno di storie personali conosciute fin nei minimi dettagli. Anzi, sembra quasi che Hollywood sia affascinata al pari da vite comuni divenute improvvisamente celebri (127 ore, Into the Wild, Captain Phillips, etc.) e vite notissime di cui sbirciare solo alcuni momenti - come nel caso di The Queen, Il discorso del re, I due presidenti, Frost/Nixon, A Royal Weekend e così via. Continua »
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