Volto da caratterista per eccellenza, squadrato, teso, forse anonimo ma non certo impersonale, David Morse riassume tutto ciò che manca al cinema italiano di oggi: tecnica, professionismo, umiltà. Un attore imponente e massiccio, dall'alto dei suoi 193 centimetri, che inizia la sua carriera artistica negli anni Settanta come attore teatrale a Boston. Una lunga gavetta, accettata con pazienza e senso del sacrificio, e fortunatamente lungimirante.
Primo dei quattro figli di Charles e Jacquelyn Morse, Davide cresce con le tre sorelle più giovani, che gli trasmettono una sensibilità femminile riscontrabile, nonostante il fisico statuario, nel suo modo di recitare sottotono, fra le righe.
Negli anni Ottanta si trasferisce a New York e partecipa a sit-com per canali televisivi statunitensi. Esordisce al cinema nel 1980, diretto da Richard Donner ne I ragazzi del Max's Bar. Il secondo film a cui prenderà parte sarà solo dieci anni dopo, nel 1990, ma a dirigerlo in Ore disperate, remake di un classico di William Wyler con Humphrey Bogart come protagonista, è un piccolo grande artista: Michael Cimino, outsider quanto lui, cineasta immenso quanto sfortunato che gli regala il ruolo di un bandito che, come già accadeva a uno dei protagonisti di Giungla d'asfalto di John Huston, se ne va a morire fra i cavalli, laddove il genere gangster urbano incontra e omaggia il suo predecessore, il western. Territori del mito, insomma.
La carriera di Morse conosce una risalita, e l'attore appare in numerosi, spesso interessantissimi, film degli anni Novanta: Incubi (1991),Lupo solitario (1991, esordio alla regia di Sean Penn),L'innocenza del diavolo (1993), Tre giorni per la verità (1995, ancora Sean Penn), The Rock(1996), L'esercito delle 12 scimmie (1996), Il negoziatore(1998),Il miglio verde (1999),Dancer in the dark(2000), Down in the valley (2004).
Appare poi nella miniserie televisiva di successoDr. House - Medical Division, e il suo diventa un volto noto anche al grande pubblico. È il giusto tributo a un attore che ha fatto della professionalità la sua arma di forza: basti pensare che, durante una ripresa sul set di Disturbia, l'attore si ruppe numerose dita ma rimase incollato al personaggio che stava interpretando e finì tranquillamente di recitare.