Capitolo 8
Ci fu un lunedì che visse di un’unica frase, e bastava. Mi telefonò Balestri, un vecchio collega. Disse: <<Guarda che Sara Colonna sta morendo>>. Buona parte della giornata, e della notte, mi servirono per accettare l’idea. Sapevo che Sara stava male. Gente che conosciamo sta male e muore. Quasi sempre il fatto viene accettato. Abbiamo da fare, abbiamo i nostri problemi ed è già positivo che non tocchi a noi. Ma Sara era una persona molto visibile. Se attraversava la vita di qualcuno, qualche segno, piccolo o grande, rimaneva. Se ti dicevano “Sara sta morendo” la notizia non poteva venir accolta per convenzione e dimenticata cinque minuti dopo. La morte di Sara ti faceva pensare alla tua morte. Mi aprì la porta Lilli, la sorella. La sua faccia rendeva inutili tutte le parole. La baciai sulla guancia. Disse: <<Sarà molto contenta di vederti>>. <<Corne sta?>>. Scosse il capo. <<Nessuna speranza>>. <<Nessuna speranza?>>. <<Può essere un giorno, può essere un’ora>>. <<A questo punto?>>. <<Eh sì, è così Sandro>>. <<Neanche un miracolo?>>. Sorrise amaramente. <<Certo, un miracolo del tipo Lazzaro sorgi. Vai pure, conosci la strada>>. Fu uno dei momenti più difficili della mia vita. Aprendo la porta della camera avevo la sensazione di quel dolore che devi affrontare, imbattibile, che la vita ti riserva tre o quattro volte: la perdita di tuo padre, di tua madre, l’annuncio di una malattia grave, se ti tocca. Sara mi guardava sorridendo. 1 suoi occhi blu erano tutto ciò che la leucemia le aveva risparmiato. Sotto il lenzuolo a fiori non c’era niente. <<Sara>>. <<Come sono contenta che tu sia venuto. Sandro... sto morendo>>. Le presi la mano piccolissima, sciolta. <<Lo so>>. La conoscevo, avrebbe ritentato un sorriso. Lo tentò. E le riuscì. <<Hai sempre le parole giuste>>. Sedetti sul letto. <<Avresti preferito una frase di circostanza?>>. <<Magari>>. <<No, non è da te>>. <<Dimmi qualche altra cosa. Hai sempre saputo usare le parole. Hai venduto di tutto, a milioni di persone. Vendi qualcosa anche a me>>. Le sorrisi con la più grande dolcezza che potei. <<Ascoltami con attenzione Sara. Guardami, lo sai come sto?>>. <<So che non attraversi un momento facile>>. <<Tra noi due sono io quello da invidiare?>>. <<Io sono convinta di sì...>>. Faceva una fatica crudele a parlare. <<Sandro...>>. <<Sì?>>. <<Te le ricordi le mie tette... >>. Non assecondai la domanda con lo sguardo, la guardavo sempre negli occhi. <<Certo che me le ricordo>>. Per qualche secondo non ebbe la forza di continuare. Ripresi: <<Sei tu quella da invidiare>>. Sara mi ascoltava a occhi chiusi. <<Fra qualche anno la differenza fra noi sarà semplicemente una data su un sasso. La tua sarà duemilatre , la mia duemiladieci>>. Sara inspirò. <<Credi di morire così giovane?>>. <<Facciamo duemilasedici, o duemilaventisei, non fa differenza... nel frattempo ti sarai risparmiata decine di talk show, libri scritti da comici, notizie di telegiornali…>>. Sara ricominciava, debolmente, a sorridere. Parlando le accarezzavo le mani. <<Conoscendoti... avrai evitato di essere maltrattata da venti partner almeno>>. <<Sì, questo è vero>>. <<Ti sarai risparmiata la perdita di molti gatti, amati con tutto il cuore>>. Sara aprì gli occhi. Sorrideva visibilmente, adesso. <<Anche questo è molto probabile>>. <<Avrai evitato ecografie annuali, mammografie, l’esattoria, i bonifici che non arrivano, gli stranieri al semafori, le firme per la lotta contro l’Aids... nell’insieme non meno di centomila aggressioni. E poi il caffè delle compagnie aeree. Venezia invasa dai russi arricchiti. La patente a punti. Ecco, tutte cose che invece mi spettano>>. <<Sì>> disse. <<È vero>>. <<Ma c’è il rovescio della medaglia, Sara>>. <<Certo, le cose belle>>. <<No, le cose belle non sono sufficienti per un rovescio. Finora ho scherzato, volevo farti sorridere. La cosa più importante è un’altra: avrai più anni di felicità. Pensaci…>>. <<Felicità?>>. <<Sarai già in un posto magnifico, dopo aver fatto le dovute anticamere. Avrai sbrigato la burocrazia, passato gli esami, avrai ricordato, mostrato gli attestati. Ti sarai fatta perdonare tutto. Nessuno oserà chiuderti le porte Sara>>. <<Lo credi?>>. <<Potrai vedere tua madre, i tuoi siamesi, Che Guevara..>>. Scosse il capo, quasi divertita. <<Sei sicuro che andrò in un posto del genere?>>. <<Sì, perché sei intelligente, e generosa, e sempre sulle cause perse>>. <<Mi conosci bene>>. <<Certo>>. <<Sei un po’ come me>>. <<È vero>>. Fece un’espressione complice. <<Ma non vogliamo che si sappia…>>. <<No, non vogliamo>>. <<Salutami tua moglie>>. <<Lo farò>>. <<È sempre stata un po’ gelosa di me>>. <<Sì>>. <<Ma non ne aveva motivo… da quando è tua moglie, almeno. Sandro…>>. <<Sì?>>. <<Davvero andrò in un posto come quello?>>. <<Sei la più qualificata>>. <<Ho paura… però>>. Allora le misi un braccio sotto il corpo. Con la mano spostai la camicia di seta e risalii lungo la schiena, accarezzandola. L’abbracciai e la strinsi con forza. Sentivo un mazzetto di ossa slegate sotto la pelle. Poi mi alzai. I miei occhi, la gola erano paralizzati da qualcosa che premeva con violenza. Domandò: <<Tornerai a trovarmi?>>. <<Puoi contarci>>. <<Sta’ attento Sandro>>. <<A cosa?>>. <<Sta’ attento>>. Arrivando alla porta mi resi conto dell’odore che c’era sempre stato: medicine e ambulatorio. Sgradevole come saper di morire. Mi girai. Sara alzava la sua piccola mano trasparente, con gran fatica. Abitava in piazza Cavour, vicino all’ingresso dei Giardini. Era ormai sera. Avrei attraversato i Giardini per uscire in corso Venezia. Ero impietrito, paralizzato, e cercavo il posto adatto. Sedetti su una panchina all’ombra di un platano. Guardai intorno. Due ragazzini pedalavano a una trentina di metri. Non c’era nessun altro. Mi presi la faccia fra le mani e cominciai a piangere. Non riuscivo a smettere. |