Capitolo 41

All’ultimo appuntamento ci presentammo entrambi puntuali. Il Gesù salì in macchina e disse:

<<Vogliamo tornare a Gerusalemme?>>.

<<Certo. Dove andiamo?>>.

<<Torna ancora verso il Kidron, ma non saliremo sulla collina. Restiamo dall’altra parte. C’è un giardino...>>.

<<Il Getsemani>>.

<<Sì, il Getsemani>>.

Entrammo nell’antico giardino dell’ultima notte.

Rimasi in silenzio dietro di lui. Lasciai che guardasse, e ricordasse.

Camminava lentamente fra gli ulivi, toccando un ramo, guardando per terra. Dopo qualche minuto disse:

<<Quando ci saluteremo avrò un favore da chiederti, piccole commissioni da affidarti per quando tornerai a casa>>.

<<Va bene>>.

Fece un cenno col capo, a ringraziarmi. Poi guardò le piante.

<<A un certo punto qui sono stato davvero male. E ho avuto paura. Questi sassi c’erano, anche gli ulivi sembrano gli stessi. Ero qui quando mi hanno arrestato>>.

Sarebbe stato il nostro ultimo incontro, e l’uomo aveva scelto quel luogo. La rappresentazione si concludeva secondo la sua attitudine alla rappresentazione e alla didattica, rimaneva fedele ai suoi vecchi programmi e il Getsemani, ancora il Getsemani, chiudeva il ricorso duemila anni dopo. Naturalmente ero ansioso di introdurgli il mio quesito. Non sapevo scegliere: essere diretto e perentorio, o girare un po’ intorno blandendolo. Lasciai andare le parole.

<<Ieri, quando sono stato male, ho sognato cose strane. Molto reali, e spaventose e tangibili... nel senso che sentivo proprio il tuo braccio accompagnarmi in un altro mondo… e sentivo un dolore al cuore, e tu che ti davi da fare proprio in quella zona. E vedevo i miei genitori, e me bambino, e stavo bene e male, e c’era l’acqua. Sai quando hai proprio la sensazione che sia molto più di un sogno…>>

Mi guardava a occhi stretti. Aspettava.

<<… ieri sera ho saputo che c’è stata una sparatoria, più o meno dove eravamo noi. Prima di venire qui ho visto che c’era un buco nella mia camicia, proprio all’altezza del cuore…>>.

Continuava a guardarmi e ad aspettare. Non mi aiutava. Dissi:

<<Ero morto vero? Dico, morto davvero…>>.

Silenzio.

<<… ero già dall’altra parte vero?>>.

Silenzio.

<<… e tu mi hai ripreso>>.

Silenzio.

<<… non me lo dirai mai vero?>>.

Silenzio.

<<… non me lo dirai mai…>>.

Silenzio.

<<… dimmi qualcosa, sei parole>>.

Parlò:

<<Ti ho aiutato. A modo mio>>.

Mi ero ripreso da un enorme sforzo, quello di non piangere. Eravamo seduti all’ombra di un enorme, decrepito ulivo. Il Gesù disse:

<<È arrivato il momento di salutarci>>.

<<Sì, è arrivato. Ti dispiace?>>.

<<Certo>>.

Azzardai.

<<È stata un’esperienza anche per te…?>>.

<<E come. Vuoi farmi ancora qualche domanda?>>.

<<Certo. Dimmi chi sei>>.

Allora non si limitò a sorridere, rise.

<<Sei cocciuto>>.

<<Avresti preferito qualcuno più arrendevole?>>.

<<No>>.

<<Ecco, anche su questo voglio insistere. Perché vado bene io? Appena esci di scena dubito che tu esista>>.

<<È vero, ma siete in molti. E fate opinione. Non avrei potuto ignorarvi ancora>>.

Accentuò il sorriso.

<<Sarai un discepolo di stile diverso. Un portatore sano>>.

<<Dal troppo credito a un semplice pubblicitario. Ma perché non ti sei presentato al mondo? Come un Dio>>.

Esitò qualche secondo.

<<Come un Dio? Mi collegavo in mondovisione? Quattro miliardi di telespettatori come per un cantante o un presidente? Oppure apparivo nel cielo sopra un concerto rock. Una suggestione collettiva da inserire negli archivi della Nasa. O su Internet ...>>.

<<Su Internet, perché no?>>.

<<Tecnologia tanto alta da sembrare un miracolo. Io sono un miracolo>>.

Sfruttavo le ultime opportunità.

<<Naturalmente lo sai che sono divorziato>>.

<<Naturalmente>>.

Mi ero tolto quel piccolo pensiero.

<<Abbiamo parlato molto... dimmi, cosa sarà di me?>>.

<<Farai la tua vita>>.

<<Da reduce, lo conosci il meccanismo dei reduci: non si adattano>>.

<<Ti adatterai>>.

<<Tu mi starai vicino?>>.

<<Come sempre>>.

<<La tua solita risposta ambigua>>.

<<Ti starò vicino come sempre>>.

Guardai l’orologio, fermo, e guardai lui. Chiacchieravo all’ombra con Dio. Nel Getsemani. Mi aveva aiutato a modo suo. Mi aveva aiutato a modo suo. Come avrei potuto tornare e adattarmi? Ma come avrei potuto farlo! Tuttavia mi scossi.

<<E adesso cosa succede? Tornato in albergo dimenticherò tutto, come quando ci si sveglia dal sogni?>>.

<<No. Affatto>>.

<<Cosa dirò agli altri?>,

<<Sta alla tua discrezione. Puoi benissimo raccontare ciò che ti è successo>>.

<<Mi crederanno?

<<Alcuni sì, altri no. Come sempre>>.

<<Potrei scrivere un libro>>.

<<E perché no?>>.

Mi toccò un braccio e il cuore fece una capriola, quel braccio che mi aveva accompagnato sull’erba e nell’acqua. Domandò:

<<Come ti senti?>>.

<<Non lo so>>.

<<Ce la farai a tornare in albergo?>>.

<<Credo di sì. Se avrò difficoltà potrai sempre aiutarmi… a modo tuo>>.

Si alzò in piedi.

<<Arrivederci Alessandro>>.

Volli scherzare:

<<Vedi, hai l’atteggiamento di quello importante che decreta: l’incontro è finito>>.

<<Come un manager?>>. domandò sorridendo.

<<Sì>>.

Poi mi scossi.

<<Hai detto arrivederci>>.

<<Sì>>.

<<Hai intenzione di rifarti vivo?>>.

<<No. Non qui. Ci rivedremo… da un’altra parte>>.

Allora mi impressionai. E mi sembrò legittimo.

<<E tu sai quando?>>.

<<Sì>>.

<<Me lo diresti?>>.

<<Vorresti saperlo?>>.

<<No>>.

Fece un cenno positivo. Dissi:

<<Un’indicazione puoi darmela?>>.

<<La vuoi?>>.

<<Sarò vecchio con la famiglia al capezzale?>>.

Sorrise rassicurante.

<<Ma sì>>.

<<Va bene... grazie... ma fra cento, trecento o duemila anni è scritto che tu debba tornare>>.

<<Certo, farò come è scritto>>.

<<Avrai i tuoi problemi a farti riconoscere>>.

Sorrise ancora una volta.

<<Studierò qualcosa>>.

Era immobile e mi parve parzialmente malinconico, anche lui, perché ci saremmo separati.

  Dio quanto mi dispiaceva separarmi da lui. Rassegnarmi a tante altre domande senza risposta. Gli tesi la mano e lui la strinse.

Gli voltai le spalle, feci qualche passo. Mi girai. Era sempre là. Gli tornai davanti.

<<Ho ancora qualcosa da chiederti>>.

<<Dimmi>>.

<<C’è una mia cara amica a Milano, si chiama Sara. È molto malata, anzi, sta morendo>>.

<<Lo so>>.

<<Fa qualcosa per lei>>.

Esitò qualche secondo.

<<Ci siamo spiegati molte cose. Dovresti aver capito. lo non posso decidere un miracolo adesso, davanti a te, e poi farlo>>.

<<Con me hai trasgredito>>.

<<Certo, e anche altre volte. Ma cerca di capire... ho trasgredito secondo un mio programma. Non è possibile che una malattia come quella possa regredire>>.

<<Ti prego>>.

<<Mi preghi?>>.

<<Sì, per Sara>>.

Scosse il capo. Capii che non sarebbe servito insistere. Ma non avevo finito.

<<C’è un’altra cosa... sii paziente>>.

<<Dimmi>>.

<<Viola, la mia cagnetta>>.

<<Sì?>>.

<<Lasciamela portar via>>.

<<Devo ricordarti ancora gli standard? Se mi passi le parole direi che è una richiesta ancora più impossibile della prima>>.

<<È solo una bastardina, falla venire via, cosa può... scardinare nei tuoi sistemi?>>.

<<Sarebbe più facile sanare una malattia inguaribile. Il tuo cane non può spostarsi. Non è mai successo>>.

<<Addio Gesù>>.

La chiamo “lucidità dell’ultimo momento”. Quanti quesiti emergevano, chiari, importanti. Dopo quella formula, “addio Gesù”.

   E fra i quesiti ce n’era uno decisivo. Direi obbligato.

Dovevo apprestare un certo tipo di sorriso. Su quella domanda Alessandro Forte, l’intelligente, l’ “illuminista”, non doveva essere troppo serio.

<<Un’ultima curiosità… il diavolo. Esiste?>>.

Era evidente che cercava le parole più adatte. Disse:

<<Mi hanno dato uno sparring partner>>.

Mi guardò con intenzione.

<<Il diavolo… ti fa paura?>>.

<<Non molta. Se lo vedo lo riconosco>>.

<<È un buon inizio>>.

Gli mostrai il polso.

<<Vedi questo Rolex d’oro e diamanti? Mi è stato venduto da un arabo non lontano dal Muro del Pianto, per dieci dollari... si è già fermato. Sapevo che è tarocco, ma l’ho preso lo stesso>>.

Annuì.

<<Libero mercato come libero arbitrio>>.

Lo guardai compiaciuto.

<<Una frase che avrei potuto dire io>>.

<<Lo vedi Alessandro? Comincio a parlare come te>>.

<<Ed è una cosa tanto cattiva?>>.

<<No>>.

Stavo per dirgli addio ma la sua espressione delicatamente furbesca mi avvertì che c’era un altro argomento.

<<Alessandro... ho fatto trenta, vogliamo fare trentuno?... Non mi domandi dell’inferno?>>.

<<L’inferno non mi riguarda>>.

<<E perché, pensi che non esista?>>.

<<Non è questo il punto. Signore, quando verrà il momento terrai presente che io, oltre a tutto il resto, sono stato governato da rivoluzionari diventati liberali, da giocatori di poker togati e da distributori di soap opera. Ho già molto espiato. Forse tutto>>.

Gesù rise.

<<Però hai resistito, e hai voglia di vivere. Ecco un’altra delle ragioni per cui ti ho chiamato. E poi, se la misura sono i governi, avete espiato tutti, o quasi ...>>

Dissi:

<<Secondo le statistiche l’unica oasi che non si lascia inquinare, l’unico buon governo è la Confederazione Elvetica>>.

<<Dunque all’inferno ci sarebbero solo quattro svizzeri cattivi…>>.

<<È così, Signore?>>.

<<Sì, e tre sono guardie svizzere>>.

Questa volta non rise. Scoppiò a ridere. Di se stesso. E mi piacque molto. Aveva fatto un altro passo verso di me.

Disse:

<<Vedi, ho imparato persino a raccontare le barzellette>>.

Annuii.

<<E bene anche. Adesso sei proprio completo, sei come noi>>.

Trassi da una tasca un pane. Mi guardò incuriosito. Glie.lo porsi e lui lo prese. Dissi:

 <<Spezzalo per me.>>

 <<L’ho già fatto>>.

 <<Spezzalo solo per Alessandro Forte>>.

Lo spezzò sorridendo e me lo restituì.

Gli dissi addio e il distacco fu ancora più doloroso. Ma dopo qualche passo fu lui a richiamarmi. Sedette su una pietra. E io su una pietra davanti a lui. Esitava. Era imbarazzato.

<<Ricordi all’inizio, quando mi hai chiesto della Sindone?>>

<<Certo che lo ricordo>>.

<<Ti dissi che ero io>>.

<<Infatti>>

<<Non sono io>>.

Si era tolto il dente. Aspettava la mia reazione. E io scoppiai a ridere, dopo un paio di secondi.

<<Per la miseria. Questo sì che è uno scoop!>>.

Su un altro argomento forse avrebbe riso anche lui. Disse:

<<Ti racconto com’è andata… ero morto e mi tirarono giù dalla croce, più o meno come è stato raccontato. C’erano soldati, donne, civili, la tempesta, c’era mia madre. Tutti che mi toccavano, le guardie che urlavano. C’era una grande violenza generale. In mezzo a tutto questo un uomo, un greco, cercava di farsi largo verso di me. Spintonato da ogni parte, dopo esser caduto a terra un paio di volte, mi arrivò sopra. Estrasse dalla sua veste una stoffa bianca e cercò di appoggiarla sul mio volto. Venne aggredito da tutti… donne, soldati e letteralmente gettato lontano. Ma non si arrese. Si rialzò, guardò dall’altra parte, vide una croce e, a terra, un uomo nudo, ignorato da tutti. Il greco si spostò da quella parte, arrivò all’uomo, lo compose mettendogli le mani sul pube, poi lo coprì con la stoffa, premette con le mani, si guardò intorno e si allontanò>>.

Ero più divertito che sconvolto.

<<Così tu hai permesso che un impostore divulgasse una balla come quella>>.

<<Il greco non raccontava male quella storia>>.

<<E hai permesso che un delinquente ti rappresentasse… un ladrone, quello pentito spero…>>.

<<No, era l’altro…>>

<<Ah…>>.

<<Dovevo tramandare qualcosa. Alla fine era un problema di comunicazione, di vendita. Valeva il risultato. Dovresti capirlo… mi pare>>.

<<Mamma mia che campagna… te l’ ho detto, non è mai esistito un comunicatore come te. Cinico quanto basta. E anche aggressivo>>.

<<E per… il non pentito, sono contento di essere rappresentato da disperati che sono contro di me. Mi onora lavorare per loro>>.

<<Se penso a tutto quello che è successo a quella stoffa. Secoli di leggenda, esami a non finire. Come ha fatto una truffa del genere a reggere fino a noi?>>.

Finalmente sorrise:

<<Beh… prova a fare un’ipotesi… una sola>>.

Io invece risi, di nuovo. 

Dio come mi era simpatico. E come eravamo più vicini. E sentivo formularsi una domanda forte.

  <<Senti Gesù, prima ti ho detto che eri stato aggressivo…>>.

  <<L’ ho notato. Non so se è l’aggettivo giusto… riferito a me>>.

  L’ argomento era scomodo e immane. Dissi:

  <<Credo che questo sia il momento perché tu ci pensi all’aggressività.  Per difenderti voglio dire e difenderci. Altri ce l’ hanno…>>

  Indicai il territorio.

  <<… proprio qui, e da altre parti >>.

  Anche lui guardò il territorio.

  <<Quando ero qui, l’altra volta, c’erano gli Zeloti. Era gente aggressiva. Erano terroristi. Volevano abbattere i romani in quel modo. Mi contattarono. Ma non aderii. Avevo un’altra politica. Pochi secoli dopo Roma era cristiana. A modo mio>>.

  <<Hai rivoltato la frittata ma capisco cosa vuoi dire>>.

  Mi guardò in tralice, a provocare.

  <<Ho rivisto tante cose. Ma per l’aggressività il… restyling non funziona >>.

  <<Certo… ma fatti sentire. Adesso ce n’è bisogno. Inventa qualcosa>>.

  <<Cercherò un Alessandro Forte di un’altra parrocchia… qui in giro>>.

  <<Temo che sarà più cocciuto di me>>.

  <<Ma io ho pazienza>>. 

  Un altro intervallo a chiudere anche quel capitolo. Ci alzammo. Camminammo verso il sentiero che usciva dal giardino. Sapevo che non avrebbe passato quel confine. Mi avrebbe guardato allontanarmi. Disse:

  <<Allora posso affidarti quelle commissioni? Sono tre>>.

  <<Certo>>.

  E mi diede i tre incarichi: due messaggi e una consegna. Sorridendo disse ancora:

  <<Il momento è propizio, ed è solenne. Non mi chiedi… chi sono?>>

  Sorrisi anch’io e presi il sentiero. Feci dieci passi ed ecco un ultimo, davvero un ultimo argomento, un promemoria. Non tornai indietro, rimasi a distanza.

    <<Scusami … non mandarmi al diavolo>>.

<<Non ti manderei mai al diavolo>>.

<<Abbi pazienza, c’è un’ultima cosa>>.

<<Dimmi>>.

<<… la fine del mondo,  le madonne che piangono, il sangue di san Gennaro, le stigmate … roba del genere… sapendo che ti ho parlato tutti vorranno conoscere le tue rivelazioni. Cosa dico?>>.

<<…di’ che non me lo hai chiesto>>.