Capitolo 38

Quella volta stavo arrivando con la macchina alla solita pietra a sette chilometri da Gerusalemme ed ero certo che non ci sarebbero stati dubbi e attese, cedimenti psichici, o immani interrogativi metafisici. Ero sicuro che il mio amico sarebbe stato lì ad aspettarmi. Infatti c’era.

Mi sorrise mentre ancora stavo rallentando. Fermai e gli aprii la portiera. Salì. Disse:

<<Tornerei volentieri a Gerusalemme>>.

<<Va bene, dove?>>.

<<Andiamo al monte degli ulivi>>.

Stavamo percorrendo, a piedi, la valle di Kidron, che separa la città vecchia dal monte degli ulivi. Sassi, reperti disseminati qua e là, un po’ di verde irregolare bruciacchiato, una strada bianca quasi deserta, un lungo muro sulla sinistra oltre il quale una fila di alberi alti e sottili stendeva l’unica zona d’ombra sulla strada. Sulla destra, remotissime, semidistrutte, perentorie, le tombe dei profeti. Il solito caldo, la solita fatica. Per me.

Arrivammo in cima. Disse:

<<Mi è sempre piaciuto questo posto>>.

Annuii.

<<Sì, è noto>>.

<<Quelli sono i monti di Moab, quelle le colline della Giudea. Allora, quasi tutti i giorni, era possibile vedere anche il Mar Morto. Perché sorridi?>>.

<<Perché fa parte del tuo personaggio>>.

<<Che cosa?>>.

<<La rappresentazione... per un anno, da ragazzo sono stato in un collegio di preti. Uno di loro, don Domenico, per un po’ ci ha fatto leggere le scritture, e ce le spiegava. Era intelligente, moderno, più avanti degli altri. Poi naturalmente ho dimenticato tutto, ma in questi ultimi tempi mi è tornato in mente. So che le tue storie più belle le hai raccontate qui. E’ un posto che si adatta>>.

Guardò intorno, come sollecitato dalle mie parole.

<<Sì, è perfetto>>.

<<Non ti offendere se darò una definizione che può sembrare inopportuna, svilente, ma sei stato proprio un comunicatore geniale, furbo. Il più grande copy, ecco la parola svilente, della storia dell’uomo.

Non mi prestava grande attenzione, guardava quel suo luogo.

<<Venivamo qui. Sedevo, parlavo agli altri intorno a me. Ero a mio agio, era bello>>.

<<Sì, mi sembra di vederti. Eri un maestro informale, all’avanguardia. Non parlavi come un docente, insegnavi visivamente. Ed eri autoritario>>.

Questa volta mi guardò, interessato. Continuai:

<<Eri semplice da essere capito dal bambini, e complesso da essere travisato dal colti. Diffidavi dei sapientoni, e dei religiosi, li mettevi in difficoltà. Bravissimo. Arrivo a dirti che hai meritato il successo>>.

Mi ascoltava guardandomi, trascurando la Terra Santa intorno.

<<Ti infastidisce essere analizzato?>>.

<<No. Dici cose interessanti. Non mi sono mai visto così. Ma ti capisco. Sai, io venivo da Nazareth, era una città colta. Oggi direste snob. Era più progressista di Gerusalemme. Un crocevia di commercianti e di intellettuali che venivano da altri paesi, dalla Grecia per esempio. Salivo al tempio di Gerusalemme molto preparato, ero in vantaggio, si può dire che avessi buon gioco quaggiù>>.

<<Ma non basta Nazareth. Eri proprio tu, la tua parola. Parlavi, non hai mai scritto niente, perché volevi solo rapporti diretti. Gli altri  maestri avevano detto, e avrebbero detto e scritto “ecco qui gli esempi”. Tu invece ponevi te stesso come esempio. Dicevi, fate come me, mandate i bambini a me. Rivendicavi tutto. Eri tutto. Giocavi con la posta più alta. O eri il più grande pazzo di tutta la storia dell’uomo o eri quello che dicevi di essere. E non poteva essere un pazzo uno che a dodici anni affrontava alla pari gli uomini più colti di tutta la Palestina. È stato rischioso, ma la posta era molto alta. E ce l’ hai fatta ...>>.

Mi fermai, stavo davvero chiacchierando troppo. Una didattica che non sarebbe piaciuta al primo Gesù. Me ne resi conto e gli chiesi scusa.

<<Non scusarti, mi fa bene sentire l’opinione di un uomo. Sono stato io a chiamarti. Ce lo siamo detto che non sei un pastorello>>.

E poi lo vidi così umano quando mi disse:

<<Illustrami qualche altra mia invenzione>>.

Sorrisi perché mi fece sentire più forte di lui.

<<Non presentavi limiti. Ed eri contro, con violenza, con estro, come quando dicevi “beati i poveri di spirito”, altro che rivoluzioni... Eri solitario e aperto, dolce e fortissimo. E non eri nemmeno lontanamente imitabile. Non c’era possibilità di identificazione con te. E sapevi essere magnificamente pratico. Un manager molto, molto efficace>>.

<<Davvero?>>.

<<Ti faccio un esempio. Ti eri esposto terribilmente proponendoti come riferimento unico, in questa e nell’altra vita. Dicevi “rivolgetevi a me, solo a me”. Pensa un po’: quante preghiere per ogni secondo. Miliardi. Complicato, anche per te. E allora, da perfetto organizzatore, hai posto dei limiti, hai sintetizzato. Dicevi: io conosco le vostre necessità, non sprecate tante parole, pregatemi così: padre nostro, che sei nel cieli... eccetera. Tutto molto più semplice>>.

Lo guardai attentamente.

<<O mi sbaglio?>>.

<<Erano proprio le mie parole. Ma non le ho mai considerate in quella chiave>>.

Il normale meccanismo della citazione -quell’anno di collegio dai preti- andò a reperire, nelle cellule in sonno, una remota suggestione, che si propose subito, data la situazione favorevole, come domanda.

<<C’è un’altra mia vecchia curiosità che ti riguarda. Ti prego, sii diretto nella risposta. Dimmi un sì o un no…

<<Messo in questi termini…>>

<<Dunque… sei morto, tre giorni dopo sei risorto e, se ben ricordo hai girovagato qua e là. Ti sei divertito. C’è da pensare che nei tre giorni in cui eri stato altrove non ti fossi molto divertito. Hai partecipato a un meeting molto serio suppongo…>>.

Era onnisciente, suppongo immaginasse la mia intenzione. Eppure non avevo la sensazione che lo sapesse. Era curiosamente allarmato. Continuavo:

<<Ti facevi vedere dagli amici. Apparivi e scomparivi… giocavi…>>.

Cominciava a sorridere. Appena.

<<…poi c’è stata, come si dice, l’ascensione. Ho letto da una parte che sei partito dalla Galilea, da un’altra che invece eri vicino a Gerusalemme. Con gli occhi verso Betania>>.

Era attentissimo. Continuai:

<<Betania, mi pare, era il paese dei tuoi amici, Lazzaro, Marta… Maria. I tuoi amici appunto. Non gli apostoli>>

Era più concentrato e… meno sorridente.

<<Allora?… da dove sei partito?>>

<<Da Betania>>.

<<Per via degli amici… quelli terreni, senza missioni…quelli normali?>>

Non rispose.

<<Guarda amico mio… ti favorisco. Ti concedo la famosa zona franca per questa risposta. Anche se io la conosco questa risposta. La conosco anche se non sono te>>.

Dopo la buona notizia gli diedi la cattiva.

<<Ma adesso mi aspetto quel sì o quel no. Ti dispiaceva andartene?>>

Non rispose.

<<Ti dispiaceva andartene?>>

<<Sì>>.

Ci guardammo per un minuto. Entrambi avevamo qualcosa da metabolizzare. Ma ero implacabile.

<<Non ho finito. Là dov’eri, dove sei stato per tanto tempo…>>

Indicai tutt’intorno.

<<… tutto questo, tutto questo ti è mancato. Dai, un sì o un no.>>

<<Sì>>. 

 Si fece silenzioso, assorto, tranquillo. A lungo. Gli avevo spiegato qualcosa che non conosceva.

Perché anch’io ero un copy.