Capitolo 33
La sede dell’antico presidio romano interessava poco. Avevo eseguito il mio bravo compitino. Quell’edificio si chiamava convento dell’Ecce homo perché era lì che Pilato aveva consegnato Gesù alla folla, dopo il processo sommarlo. Voleva liberarsi della patata bollente. Entrai in quello spazio percorrendo una piccola galleria buia, poi un corridoio. Muri di intonaco bianco, larghi archi, ringhiere di ferro, una pesante pietra rosa, piatta, su un piedistallo di ferro, sulla quale era aperto un libro antico. Un’icona del Gesù appesa a una colonna quadrata. Tre luci. Nessuno. Il pavimento era costituito da enormi pietre rossicce, e antiche. Recavano i solchi che impedivano al cavalli di scivolare. Una pietra più chiara mostrava disegni semplici, un cerchio, un quadrato, un pesce, tracce per i giochi dei soldati della guarnigione. Poteva essere da lì che schernivano il prigioniero, gli preparavano la corona di spine. Giovanni parla della pietra davanti alla quale, seduto su uno scranno, Pilato giudicava Gesù. Eccola: più brillante, più protagonista, con più storia. L’unica sicurezza, l’unica materia autentica, a sentire il misterioso Angelo Profeti. Con una certa attenzione ci salii sopra. Stavo immobile e scrutavo dentro di me, se si componesse l’emozione. Non riuscii a coglierla perché quasi all’istante non fui più padrone di ciò che sentivo. Stavo male, semplicemente. Gli archi e l’icona mi passarono, dal fianco, sotto i piedi, e anche lo stomaco mi parve che decidesse in assoluta autonomia qualche brutto movimento. Ricordo che riuscii a non cadere, ma mi tolsi dal sasso. Piano piano gli archi tornarono in alto e la nausea diminuì. Feci qualche passo e mi appoggiai al muro. Storia, mistero, sogno, patologie: ci stava tutto. In una parola stavo sempre peggio. Stavo davvero male. Aspettavo che cuore e respiro recuperassero la normale cadenza. E che la vista riacquistasse il fuoco. Mi accorsi che sudavo. Alla base di una ringhiera c’era uno scalino di pietra, buono per sedersi. Fu uno dei momenti più difficili della mia vicenda. Era panico serio quello, non depressioni, visioni, misteri. Era malattia vera, che condizionava e comandava, e niente potevo. E deliravo: “Chissà come sono gli ospedali qui... gli ebrei sono efficienti... chissà come trasferiscono i malati in un altro paese...”. Poi mi parve di riemergere da un lungo sonno. Intorno continuava a non esserci anima viva. Ma a guardar bene non ero solo. A guardar bene. Nel mezzo della stanza, sul sasso dell’antica condanna c’era lui, il mio Gesù. Era immobile, a testa bassa, assorto. Un raggio di luce gli colpiva il capo, proiettato forte e lineare da una fessura del soffitto. Era un’immagine tanto strepitosa da non poter esistere. Una contaminazione fra Hollywood e il Tintoretto. Una grafica davvero leggendaria, più perfetta di una sfera. Pensai: “Adesso guardo altrove per qualche secondo, poi mi giro e non c’è più”. Lo feci, ma anche quella volta andò male, era ancora lì. Davanti a me. Dissi: <<Rieccoti>>. <<Come stai?>>. <<Dove sei stato?>>. <<Avevo da fare>>. Sedette accanto a me. E io quasi lo aggredii. Come avevo fatto al primo incontro, gli presi le braccia e le strinsi, poi gli toccai i capelli e gli tastai la barba. Sì, c’era, esisteva. Non fece un gesto, non si ritrasse né si sorprese. Fece invece la domanda: <<Hai ancora dei dubbi?>>. <<Alla grande!>> <<Ma non dovresti. Ti ho dato prove forti>>. <<Mi hai dato un accidente. Ti ho lasciato che guardavi il tramonto sul mare di Galilea a disquisire sul media. Poi mi sono svegliato in macchina in un parcheggio a qualche chilometro da Tiberiade. Ti ho cercato tentando di indovinare dove potessi essere. Ma non è facile mettersi nella tua testa. Ti ho cercato come un idiota. E tutti che mi spiegavano qualcosa, gente da corte dei miracoli, il cadavere in nero di Macerata, uno statistico delle tue guarigioni in quel di Cafarnao. Senza contare il profeta campano che mi manda a destra e a manca per tutta la Terra Santa. Chi sono? angeli, tuoi complici? E poi mi riappari come uno spot della fede, con l’aureola>>. <<Sei nervoso>>. <<Nervoso? E come potrei? Ho incontrato mia madre morta. Sono in analisi con Dio. Tutte cose che potrebbero anche non esistere, potrebbero essere sogno. Che ragione avrei di essere nervoso…>>. Cercai di calmarmi, ma non riuscivo. <<Ho conosciuto tanta gente... visionaria... mi raccontavano le proprie terapie. Fanno parte della vita di oggi, ti dicono. Chi non è stressato? Ma il mio caso è diverso. Diventerò un precedente per le cliniche universitarie: l’uomo medio che credeva di aver incontrato un Gesù postmoderno sulla via di Emmaus. Io voglio sapere adesso se esisti e perché sono qui. Voglio che tu mi dimostri che non è suggestione, insomma che non sono matto. E voglio che duri, perché quando sparirai di nuovo io ancora mi domanderò se ti ho incontrato davvero>>. Ero proprio furibondo, un fiume in piena. <<Ho raccontato la storia di quel tuo amico, Cleopa ...>>. Gesù sorrise con dolcezza. <<... Che non avevo mai sentito nominare. E l’ho raccontata in tutti i particolari. E allora? La conoscevo e l’avevo rimossa? Oppure anche questa è magia. Valgono tutte e due le ipotesi. E chi mi dice qual è la verità? Divento matto>>. Il Gesù cercò di trasmettermi una certa calma. <<Non ti ho mai visto così aggressivo, e ostile. Ci parliamo da giorni. Ci conosciamo. Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto, tutto. Abbiamo parlato di tante cose. Ho risposto a quasi tutte le tue domande>>. <<Abbiamo parlato di me e delle mie esperienze. Guarda non sono in grado. Oggi non sono in grado>>. Mi sorrise come un amico. Sedette vicino a me e mi mise una mano sulla fronte. Disse: <<Voglio che tu stia bene. Voglio che ti tranquillizzi e recuperi la tua disponibilità>>. Mi irritai perché ero certo che quella mano avrebbe prodotto l’effetto. Infatti poco dopo cominciai a reagire, come a un potente tranquillante. E così cedetti, non avevo più voglia di lotta, adesso mi interessava quella tregua, quel piccolo benessere in prestito. La grinta si era spenta, ma l’attenzione era vigile. Dissi: <<Guardati in giro. Possibile che un luogo tanto importante sia ignorato dal turisti? Che nessuno entri qui dentro? Perché? Hai ordinato che non dobbiamo essere disturbati?>>. Volevo fare qualcosa, impormi in qualche modo. E poi, l’ho detto, ero nervoso. Gli presi i polsi, con forza. Li guardai con attenzione, all’interno e all’esterno. <<Non hai neppure un segno, un piccolo segno dei chiodi>>. Poi gli guardai i piedi, sì, i piedi. <<E metti bene i piedi… sulle croce non erano così. Il destro sopra il sinistro>>. E gli misi il destro sopra il sinistro. Ma lui li riportò nella posizione di prima. Disse: <<Erano messi bene>> <<Nei quadri non sono così>>. <<Vuoi che non ricordi… dove mi è entrata la punta. E poi nessuno mi ha mai fatto il ritratto. Usciamo da qui>>. <<Va bene>>. Ci alzammo. Si mosse davanti a me nella grande stanza, poi attraverso il corridoio, poi nella stretta buia galleria, verso l’uscita, verso il sole, in fondo. Non incontrammo anima viva. Camminavamo sulla strada di Emmaus. Il tempo era cambiato. Nuvole scure arrivavano da occidente, dal mare. Si era levato il vento. Il Gesù avanzava con quel suo passo che la lunga veste rendeva altalenante, i capelli ondulavano, gli occhi erano socchiusi e concentrati in avanti. lo procedevo al suo fianco. Eravamo silenziosi. La strada era tanto vuota da sembrare un set, o una protezione per noi. Non sentivo la fatica. Poi parlò: <<Hai citato Cleopa. Ecco, è qui che l’ho incontrato, con il suo amico>>. <<Hai un po’ giocato con loro. Eri contento>>. <<Contento? Ero eccitato. Puoi ben capirlo>>. <<Lo credo. Eri morto e risorto ...>> <<Appunto, avevo compiuto una missione impossibile. C’ero riuscito. Era stato tutto predisposto, ma avevo avuto paura lo stesso. Mi ero anche sentito abbandonato. E una volta risorto mi sono mostrato a questo e a quello, ai miei, a tanta gente insieme>>. <<Dovevi comunicare la parte nuova del tuo programma. Come al solito lo hai fatto molto bene, eri efficace>>. Mi fermai, e anche lui. <<Cosa c’è?>>. domandò. <<Tutto ciò che mi stai raccontando è scritto, è tradizione. Mi dai altri particolari , magari suggestivi, di una storia che già conosco. Per questa ragione quando tu scompari e resto solo, finisco per pensare che tu possa essere un mio prodotto, elaborato dalla mia esperienza e dalla mia fantasia malata. Non mi hai dato niente di esclusivo>>. Gesù mi guardò con molta attenzione. <<Capisco cosa intendi dire>>. In quel momento passò una Mercedes anni Sessanta, diretta a ovest. Cominciò: <<Il compagno di Cleopa, al quale le scritture non danno un nome, si chiamava Giusto, detto nella tua lingua, ed era di Giaffa>>. Fui io a guardarlo con attenzione. E mi rendevo conto che stava accadendo qualcosa di molto importante. Un supplemento autentico di novella. Una verità dalla fonte prima. Come un nuovo reperto col quale si confronterà il mondo. Un repertorio mio personale. <<Era un brav’uomo, Giusto. Era di una famiglia di muratori, suo padre ottimo amico del mio. Non avevo avuto occasione di parlare spesso con lui dei miei argomenti. Aveva poco tempo per spostarsi con noi, perché era sposato. Ed ero in colpa nei suoi confronti, proprio in quel senso. Ero io che, involontariamente, avevo ritardato il suo matrimonio ...>>. Ascoltavo curioso, e bendisposto. <<... Giusto era venuto nella bottega di mio padre per ordinare alcuni mobili. Due panche e un tavolo. L’addetto al legno sarei stato lo. Mio padre era impegnato In altri lavori. Non saremmo mai riusciti a sopravvivere solo con la falegnameria. Quella terra... questa terra era poverissima di legno. Giuseppe era falegname ed era carpentiere, nel senso più ampio. Lavorava i mattoni, le pietre. Diciamo che le entrate maggiori derivavano dalle opere pubbliche, dagli edifici e dal templi di Erode. Ricordo mio padre sempre fuori casa a scalpellare le pietre. Ma torniamo al committente. Mio padre gli dice: “Il lavoro te lo fa Gesù, siete giovani, capirà meglio le tue esigenze”. In quel tempo ero già molto distratto. Avevo ventinove anni. Ti confesso che non ero mai stato un falegname entusiasta. Certo, aiutavo, ma facevo lo stretto indispensabile. Insomma, Giusto mi dà la commissione e poche indicazioni. Infine fissa la data. I primi di ottobre, a Betania. “Consegnami la roba dieci giorni prima”. Dunque ho quasi tre mesi di tempo. Giravo già molto, e studiavo, e parlavo con la gente. In sostanza lavoravo sempre meno. E ti do un’altra esclusiva, come la chiami tu. Proprio in quelle settimane avevo conosciuto un greco di Antiochia, certo Alessandro, uomo colto e d’esperienza, che voleva insegnarmi la sua lingua. Mi diceva: “Tu hai grandi ambizioni, vuoi essere un maestro per le genti, non puoi ignorare il greco, devi leggere i nostri filosofi, i poeti.” Gli risposi, ringraziandolo, che non avevo il tempo. E poi il mio territorio era piccolo, anche se sufficiente per ciò che volevo fare. Mi sentivo attrezzato. Ma ti dico che mi sono pentito di non aver seguito il consiglio di Alessandro ...>>. Fece una pausa. <<Giusto veniva spesso a vedere se c’erano progressi. Ero sempre allo stesso punto: non avevo ancora cominciato, e lui era sempre più preoccupato>>. Sorrisi. <<Non avresti dovuto sentirti in colpa. È una pratica normale anche oggi>>. <<Veniva tutte le settimane. E ti confesso un’altra cosa, molto imbarazzante per me. Per due volte, vedendolo arrivare dalla strada, uscii dal retro per non farmi trovare>>. Questa volta risi. <<Questo sì che è interessante>>. <<Però avevo le mie buone ragioni. Mio padre falegname si arrabbiava, ma il cliente mi scusava>>. <<Insomma l’hai fatto il lavoro o no?>>. <<Gli ultimi due giorni di settembre mi metto a lavorare. Davvero una corsa. E anche Giuseppe mi dà una mano. Riusciamo a finire il lavoro>>. <<Be’ allora è andato tutto bene>>. <<No, perché Giusto, vedendo che ero così indietro, per prudenza aveva rimandato le nozze di due settimane>>. <<Comunque alla fine gli hai fatto una gran bella sorpresa>>. <<Gliela dovevo>>. Due massi ci diedero lo spunto per sederci. Dissi: <<È una bella simpatica e normale però non porta alcun nuovo contributo al grande mistero, niente di concreto. È un po’ la vita di tutti i giorni ai tempi di Gesù. Un libro già scritto, tra l’altro>>. <<Non sei simpatico Alessandro. Oggi proprio non sei simpatico>>. Sorrisi, ma solo dentro. Ma era lo stesso. Lui vedeva tutto no? Rimanemmo silenziosi per qualche minuto. Nel frattempo passò un camion militare scoperto. Pieno di soldati con i fucili in mano. Poi disse: <<Vogliamo ricominciare da dov’eravamo rimasti?>>. <<Va bene. Il nome>>. <<Cesare Piano>>. |