Capitolo 32

Aprii gli occhi. Era mattina ed ero sospettoso. Come chi non ha sicurezze e una gamma infinita di brutte sorprese ad aspettarlo.

La vicenda, vera o sognata che fosse, mi creava una tensione insopportabile già dal primo minuto.

Situazione: avevo avuto pessime notizie sulla mia salute. Ero in un albergo con l’impianto di aria condizionata rotto, avevo pochi soldi, e tre giorni certamente dolorosi da riempire prima del ritorno.

Prospettive: nessuno mi avrebbe più dato lavoro, ma questo poteva anche essere una normalità, deprecabile ma normalità. La mia paura evocava me stesso in una casa di cura, seduto con una coperta sulle ginocchia, lobotomizzato, a tutti sorridente come un cretino, con un paio di amici che si dicono: <<È perfettamente normale>>, cercando di farsi sentire da me, con mia moglie che mi nasconde alla bambina.

Poi composi un’ altra immagine, di me stesso che facevo la solita serena visita in Duomo. Che rapporto avrei avuto in futuro con il padreterno, che si era insinuato di sua iniziativa o di mia patologia? Comunque il prodotto non cambiava. Il disagio sarebbe stato ingombrante. E il recupero rovinoso.

Uscii in città.

“Dove mi avrebbero portato i piedi”. Era stata la regola dettata da Elvira e io avevo eseguito. Senza altre stravolgenti implicazioni girai da turista. Avevo atteso che scorressero le ore del grande caldo e camminavo in una zona che avevo già visto. Arrivai a varcare la porta di Damasco, come il primo giorno. Ecco laggiù la collina rocciosa e la lunga strada diritta. Ed ecco seduto sul capitello lo stesso uomo.

Ricordai il nome, Angelo Profeti, campano. Sempre con i suoi sandali e la camicia aperta sulla pancia.

Gli dissi:

<<Buon giorno, Angelo>>.

Mi guardò incuriosito e quasi immediatamente sorrise.

<<Buon giorno a te>>.

<<Ricordi quando ci siamo incontrati qui, qualche giorno fa?>>.

<<Lo ricordo benissimo. Sei andato in quella direzione... verso Emmaus>>.

<<Ecco, torno adesso>>.

<<Queste parole le ha detto anche un mio compaesano>>.

<<Non ti sei più mosso di qui?>>.

<<Sembrerebbe. Alessandro ti chiami vero? Ricordo che camminavi in cerca di qualcosa. L’hai trovato?>>.

<<Ho incontrato Gesù>>.

<<Era arrabbiato?>>.

<<Non molto>>.

<<Cosa ti ha detto?>>.

<<Che mi comporto abbastanza bene>>.

Fece un cenno sapiente.

<<Era lui o era un sogno?>>.

<<Ecco, il punto è quello, non lo so. Non mi sembri molto colpito>>.

Indicò la pista di Emmaus.

<<Ricordi cosa ti dissi? Qui ognuno può credere ciò che vuole. Se lo credi ne trovi conferma>>.

<<Sì, capisco. Dev’essere vero. Ho chiesto a quel tale di farmi vedere mia madre morta e lui me l’ ha fatta vedere>>.

<<Appunto, che ti ho detto?>>.

<<Hai qualche altra indicazione da darmi? In tal caso ti chiederei di tenertela per te>>.

Rise di gusto.

<<È interessante quello che racconti. Ma com’è successo? Ti si è affiancato un tipo strano mentre camminavi?>>.

<<Sì>>.

<<E poi si è rivolto a te con molta naturalezza?>>.

<<Proprio così>>.

Approvò.

<<Tu sai chi è Cleopa?>>.

<<No>>.

<<Era un discepolo di Gesù. Stava camminando sulla strada di Emmaus con un suo amico che non viene nominato dalle scritture. Gesù era morto da tre giorni. Un tale si affianca al due viandanti e chiede loro da dove vengano... Ricordi questa storia?>>.

<<No>>.

<<Pensaci bene>>.

<<Non la ricordo, ti ho detto>>.

<<Non è possibile. Sei un uomo colto, non puoi avere una lacuna del genere. Prova a sforzarti>>.

Ero scettico ma ci provai. E incredibilmente qualcosa venne richiamato. Anche questa volta.

Angelo lo intuì.

<<Comincia a succedere qualcosa?>>.

<<Forse>>.

<<Coraggio, cerca di mettere insieme i pezzi. E’ come una canzone che avevi rimosso. Ricostruisci la prima strofa, che poi si porta tutta la canzone. Coraggio...>>.

Tentai.

<<Il tale che li affianca è Gesù, che non si fa riconoscere>>.

<<E come possono non riconoscerlo?>>.

<<Forse perché è sera, il sole tramonta proprio verso occidente, Emmaus è in quella direzione. Forse si nasconde parzialmente il viso, o magari essendo uno che fa i miracoli, è un giochino risibile per lui non farsi riconoscere. Inoltre per i due, Gesù è morto...>>.

<<Appunto>>.

<<Gesù domanda a Cleopa: “Di cosa state parlando?”. “Di ciò di cui parlano tutti” risponde. E Gesù: “Di che si tratta?”. “Ma come, non dirmi che sei l’unico a non sapere che tre giorni fa Gesù di Nazareth è stato condannato a morte da Pilato e poi ucciso sulla croce”. Gesù per un po’ sta al gioco, poi parla dei profeti e delle scritture, li esorta ad aver fede>>.

Angelo annuiva.

<<Vai bene. Continua>>.

<<Arrivano ad Emmaus e invitano quell’uomo a cena. Mangiando, Gesù fa qualche gesto particolare, un rito, il modo di tagliare il pane, o di tirarsi su le maniche... insomma lo riconoscono>>.

<<Già, lo riconoscono. E che fanno?>>.

<<Diventano matti dalla gioia. Si rendono conto dell’enormità dell’avvenimento. Nemmeno il tempo di abbracciarsi che Gesù è già scomparso. Tornano di corsa a Gerusalemme per dire agli altri compagni che il figlio di Dio è risorto>>.

Angelo mi guardò come se mi avesse colto in castagna.

<<Vedi. La conoscevi perfettamente questa storia>>.

<<Ti giuro che non lo sapevo nemmeno io>>.

<<Te l’ho già detto che qui avvengono cose strane. Troppi fatti, troppa storia, troppi spiriti e gente che prega e che chiede, che si concentra, che viene da lontano>>.

Con le mani fu come se prendesse sopra di sé una parte di spazio.

<<Questa non è aria normale. Tutto gira qui, tutto rimane. Non ci passi indenne. Ma guarda che non è un miracolo. Puoi intenderlo come fatto fisico. Se vuoi. La storia di Emmaus te l’hanno raccontata da bambino ed è rimasta lì fino al momento di riportarla in superficie>>.

<<Può darsi, in effetti è una storia magnifica. C’è tutto: mistero, thriller, passione, avventura, l’eroe, colpo di scena, atmosfera... il tramonto, la cena con le luci soffuse, i gesti rivelatori, il gotico, il mito del ritorno, la favola. Pochi scrittori avrebbero potuto inventarla, forse nessuno...

<<Parli come un docente>>.

<<Me ne accorgo, e ti giuro che non mi riconosco.Voglio rifare quella strada>>.

<<Perché no?>>.

<<Vieni con me?>>.

<<Non posso. Sto aspettando una persona>>.

<<Addio Angelo>>.

<<Addio>>.

Feci qualche passo e sentii:

<<Alessandro!>>

<<Sì?>>

<<Voglio darti un’ultima indicazione. Ti ho detto che sono qui da tre anni. Ho esperienza. Posso farti risparmiare un sacco di tempo. Ascoltami...>>.

<<Ti ascolto>>.

<<Questa città è stata distrutta una ventina di volte. Ma una volta, come aveva previsto il tuo amico, non ne rimase pietra su pietra. Esattamente nel settanta dopo Cristo, quando questa gente fece arrabbiare una volta di troppo i romani e l’imperatore Tito diede ordine di distruggere Gerusalemme, disse proprio “che non rimanga pietra su pietra”. Tutto fu distrutto e bruciato, sistematicamente, secondo la nota organizzazione romana. Così rimase intatto solo un pavimento. Che esiste ancora. Ed è l’unico segno, l’unica pietra davvero toccata da Gesù, senza dubbi, senza atti di fede, senza superstizioni o commercio. E non è un sogno. È quella, ed è là. Potresti partire da quel pavimento>>.

<<Dov’è?>>.

<<Nell’antico consolato romano. Adesso si chiama convento dell’Ecce homo>>.

<<Ho capito>>.

<<Ci andrai?>>.

<<Naturalmente. Io faccio tutto quello che mi si dice>>.

Camminavo di nuovo su “quella” pista. Nessun pedone, poche macchine. Il sole che scendeva a sinistra. Mi guardavo intorno, soprattutto guardavo dietro. Camminai fino alla pietra del primo incontro. Guardai la stradina bianca che scendeva sotto il ciglio. La percorsi fino all’aria fresca della grotta. Girai intorno lo sguardo. Resistetti alla tentazione di chiamare Gesù”. Entrai nell’anfratto. Era scuro, ma riconobbi tutto. Uscii e risalii sulla strada. Il sole era arrivato al limite delle colline. Diedi ancora un’occhiata in giro.

Ripresi la via di Gerusalemme.