Capitolo 28
La parabola Ginevra mi poneva, con il Gesù, in una posizione particolare. Ero imperfetto. Ero stato un complice pagato. Nel mosaico dei protagonisti avevo due ruoli: quello solito di giustiziere e quello di pentito. Il mio nuovo amico sapeva tutto dello scheletrino, ne conosceva il peso e lo stato di conservazione, osso per osso. Ci sarebbe stato purgatorio anche per me. Era sera, il lago di Tiberiade riverberava il sole basso, sul punto di scendere oltre i monti. L’uomo sedeva con le ginocchia sotto il mento. Alcuni rari fari di automobili strisciavano lontani, alla nostra sinistra, sulla strada verso est. Disse: <<L’ hai fermata. Lo meritava>>. <<Dunque approvi>>. <<Certo. E le hai anche fatto un discreto favore. L’ hai punita qui. Dovrò farle uno sconto di pena>>. <<Ne sarà entusiasta>>. <<Sì…Ginevra l’opinionista. C’erano anche ai miei tempi. Li chiamavano profeti>>. Mi accorsi che metteva a fuoco. Che guardava lontano. <<In quel tempo c’era molta gente che parlava ...forse più di adesso, fatte le proporzioni... parlavamo noi profeti, parlavano i sacerdoti, i mercanti che giravano in quella parte di mondo raccontavano. Parlavano poco i romani. Facevano la propaganda della forza e del silenzio. Erano specialisti di comunicazione e di immagine. Davanti alla fortezza Antonia, a Gerusalemme, ai lati del grande tempio d’oro, c’erano i busti di Cesare e di Ottaviano. Non erano di grandezza naturale, erano di marmo, imponenti e pesanti, molto severi. Avevi paura a passarci davanti. Ti squadravano la coscienza e le intenzioni. E dietro di loro, schierata, con i grandi elmi che nascondevano i volti, con le lance e i mantelli rossi: la guardia imperiale. Uomini alti come cavalli. Le centurie sfilavano tutti i giorni, compatte e rumorose, fra i sentieri e le vie. Si muovevano in forze solo per appendere un annuncio a una porta delle mura. Li vedevi, li conoscevi, ne avevi paura. Erano padroni e nemici. Li vedevi e li conoscevi...>>. Fece un gesto largo con la mano destra come a reinquadrare quella terra e quel tempo, com’erano stati. <<... noi avevamo avuto padroni peggiori. Ai romani interessava l’unità del loro impero, non il possesso dei singoli individui. Ti lasciavano le tue abitudini, i tuoi dei e sacerdoti. Potevi commerciare a guadagnare. Erano... di larghe vedute, i padroni. E la realtà era quella, ed era chiara. Non aveva altri risvolti. Certo, l’istinto della libertà era normale... tradizionale. Era una delle parti del programma ...>>. Il sole era tramontato. Si alzò in piedi, come a rilanciare le idee. <<Ero sempre fra la gente. Da Nazareth mi incamminavo per Gerusalemme, partivamo in quindici, a sera eravamo quaranta, si mangiava, si dormiva tutti insieme. Ero sempre nel mezzo... controllato. In privato, diciamo così, parlavo con uno, con l’altro, di piccole cose, di tutto. Il giorno dopo eravamo cento, poi duecento. Ero sempre alla vista di tutti. Mi lavavo con gli altri. Poi salivo su una collina e parlavo. Chiamiamola propaganda, ma senza dolo. Avevo il mio progetto. E so che era buono. E io, convinto e trasparente, non apparivo dopo essere stato in un palazzo, o in una tenda, rinchiuso con collaboratori colti, furbi e incaricati. Avrei potuto chiedere a mio padre, non alludo a Giuseppe, di collocarmi a Roma, in panni influenti, e comunicare in grande, mandare editti nel territori. Adesso ne ho la conferma, feci la scelta giusta, comunicando dal piccolo e dal basso, puntando non sugli editti, ma sul contatto diretto e sul passaparola. I miei erano gente semplice e ignorante, ma non era ignoranza… alla Ginevra. Erano incapaci di piani avanzati, avevano solo la fiducia, e un coraggio eccezionale, e riportavano fedelmente le mie parole, pronti anche a farsi ammazzare, e infatti, dopo di me, si sono fatti ammazzare, quasi tutti ...>>. Si prendeva delle pause per sembrare un uomo, non un testo. <<Ciò che volevamo si capiva. Ciò che raccontavo era metafora, andava interpretato, ma era univoco. Era quello. C’erano scarse informazioni, ma c’era verità. Adesso ci sono tutte le informazioni, senza verità. Qualcuno ti mostra un bambino e ti dice “è morto”. Un altro ti dice “no, dorme felice”. C’è chi vuol credere alla prima informazione, chi alla seconda >>. Anch’io sorrisi, per stare dalla sua parte. <<Sì, ci sono un sacco di informazioni>>. <<Più delle mie. E non dovrebbe…>>. <<Mi sembri... un po’ risentito>>. <<Mi risento quando non capisco>>. In macchina registrai la buffa anomalia alla quale non mi abituavo: in questo caso Dio sul sedile di una Golf, con tanto di air bag. Mi guardò. <<E tu, cos’ hai?>>. <<Perché?>> <<Hai fatto giustizia. Non sei soddisfatto?>>. <<Non del tutto>>. <<Perché?>>. <<Ho preso i soldi. E me li sono tenuti. Non ero senza peccato e ho scagliato la pietra>>. Ci guardammo in tralice, in attesa della mossa dell’altro come nel gioco infantile di chi resiste più a lungo senza ridere. Vinsi io. Disse: <<Mi prendi in giro... Alessandro?>>. |