Capitolo 27

L’affaire Ginevra Santi capitò in un momento professionale poco felice. Uscivo da un quasi-fallimento. Il quasi significa che per pagare i debiti e non fallire, appunto, avevo dato fondo a tutto ciò che avevo. E la depressione economica aveva naturalmente inciso sul rapporto familiare. Mia moglie mi aveva accusato, ed era la prima volta che entrava nel merito del mio lavoro, di esser stato imprudente e incosciente, di aver messo a repentaglio la sicurezza della famiglia e aver fatto pagare ad altri ambizione e velleità inopportune. Avevo insistito nel voler fare l’imprenditore, senza esserne capace.

Tutto vero.

Il tentativo imprenditoriale significava la produzione in proprio di alcuni spot pubblicitari. In sostanza, diventavo un’ agenzia e mi prendevo carico dei costi di produzione. Avevo realizzato tre filmati e alla fine, tirati i bilanci, avevo perso centocinquantamila euro.

Se non fossi stato in difficoltà non avrei accettato quel nuovo lavoro.

Ho già avuto modo di dire che il mio istinto mi ha quasi sempre ingannato. Ma quella volta avrei dovuto seguirlo.

Tra i miei pregiudizi c’è l’eccessiva eleganza. Ritengo che il tempo e l’attenzione nel vestirsi siano indirettamente proporzionali allo spessore e all’intelligenza. Parlo di uomini. Non ho mai avuto amici che potessero definirsi raffinati.

L’architetto Giulio Rotondi, armaniano, padre di tutte le firme, era lindo come un manifesto sul metano. Il solito ventinovenne eroe del perfetto prodotto.

Mi aveva dato appuntamento all’hotel Grand Milan una mattina, alle otto.

Prima di affrontare l’argomento ordinò una colazione completa.

Domandai:

<<Posso chiederle come siete arrivati a me?>>.

<<Non attraverso qualcuno o per un’indicazione precisa... ci siamo informati>>.

<<È un pochino misterioso>>.

<<Sì, immagino di sì. E le chiedo scusa>>.

<<Lei dice “ci” siamo informati. Chi siete?>>.

<<Devo ancora chiederle scusa se dovrò andare per gradi anche in questo senso>>.

Se fosse stata una situazione meno sfavorevole, se avessi avuto più margini, avrei risposto a quella prassi con qualche battuta fulminante costringendo l’interlocutore a un cambiamento di rotta oppure a una rottura immediata. Ma sapevo che avrei comunque dovuto accettare il lavoro e quindi dovevo mostrarmi meno spinoso e curioso. Così dissi semplicemente: <<Capisco>>.

<<Dottor Forte, verrò subito al dunque. Immagino che lei conosca, almeno di fama, Ginevra Santi>>.

<<Certamente. Chi non la conosce?>>.

Giulio Rotondi fece un sorriso che voleva avere una precisa, mirata intenzione.

<<Appunto. Chi non la conosce?>>.

Si trattava proprio del celeberrimo personaggio televisivo.

Ginevra Santi, detta semplicemente Ginevra, come le regine e le principesse, era uno dei divi di maggior gradimento della televisione. La sua popolarità veniva, diciamo, da una combinazione di talenti. Sapeva leggere una mano prevedendo gli immancabili rosei futuri, sapeva anche ballare e cantare nei limiti della sufficienza risicata. E con una precisa, istintiva misura, inseriva battute sulla vita e sulla società, e sulla politica, con didascalie desunte da una filosofia povera, arciqualunquista, dunque perfetta per il popolo del piccolo schermo. Ma, si sa, il successo televisivo non significa necessariamente qualità. Anzi.

Rotondi riprese:

<<Cosa ne pensa di lei?>>.

Era talmente sentita la mia risposta che non seppi porre mediazioni.

<<La detesto...>>.

<<Sì, immagino. Lei non è certo il fan ideale di Ginevra... come non lo sono io, beninteso. Ma credo di poter dire che lei non sarà neppure un fedele consumatore dei prodotti che ha lanciato con i suoi filmati pubblicitari>>.

<<Vero, sono poco fedele ai consumi>>.

<<Appunto. Il nodo è proprio questo. Il mio non era un paradosso. Lei dovrebbe lavorare sul prodotto Ginevra>>.

<<Capisco. Non ricordo di quali marche Ginevra sia testimone>>.

<<Le dirò, Forte, che non le ricordo nemmeno io, ma non è uno spot che le si chiederebbe>>.

<<No?>>.

<<Lo dirò in termini chiari, lei dovrà accudirla, starle dietro, farle da suggeritore>>.

<<Pigmalione>>.

<<Non proprio, Ginevra basta perfettamente a se stessa come organizzatrice della propria immagine. C’è solo che... che è ...>>.

<<Ignorante>>.

Rotondi mi parve grato per avergli evitato il piccolo imbarazzo.

<<Sì>>.

Aggiunsi:

<<Ignorante senza saperlo, che è una bella complicazione in più. Nessuna autocritica. Stesso linguaggio e stessi concetti con parrucchieri, divi del cinema, scrittori, politici, il papa>>.

Rotondi fece un cenno compiaciuto.

<<Vedo, dottor Forte, che non ci siamo sbagliati. Lei è certamente l’uomo per questo incarico>>.

<<Mi creda Rotondi, non è così difficile. Quasi tutte le colleghe di questa signora sono come lei. Mi ricordo che durante una trasmissione disse la parola olocasto, senza la u, una dozzina di volte>>.

<<Quattordici volte. Ecco, l’esempio calza perfettamente>>.

Il ghiaccio era rotto, la colazione onorata, i concetti prendevano forma. E in ogni caso avevo deciso di accettare l’incarico.

Disse:

<<Lei dovrà darle lo spessore che le manca. Parlo di informazioni generali, di cultura... i libri, i film, i fatti salienti e attuali della politica, l’attualità...prepararla a interloquire con gente di qualità, appunto>>.

<<Mi sembra più il lavoro di un giornalista, o di uno scrittore>>.

<<Occorrono delle istantanee veloci. Selezione e sintesi immediate. Suggerimenti più che editoriali. Un giornalista chiacchiererebbe troppo, si incarterebbe. Uno scrittore peggio ancora. Ribadisco che Ginevra, una volta intuito il tema, sa poi svolgerlo a modo suo, è furba, è...>>.

<<Puttanesca>>.

Annuì ancora.

<<Sì. bravo>>.

L’architetto bevve un ultimo sorso di spremuta d’arancia, poi disse.

<<Siamo entrambi architetti. È fuori luogo darci del tu?>>.

<<No, non lo è>>.

<<Benissimo>>.

<<Allora Alessandro. Capisco che non tutto può essere deciso a questo tavolo. Devi incontrare Ginevra e capire se la vostra chimica è compatibile. Non c’è altro modo>>.

<<Sì. Hai ragione>>.

In questa busta ci sono numeri e indirizzi. Dopo che vi sarete visti, chiamami. Ginevra farà altrettanto. Ma credo proprio che andrete d’accordo>>.

<<E perché no?>>.

La villa romana di Ginevra Santi, alla Camilluccia, era assolutamente perfetta-per-diva. Due alani si aggiravano fra betulle e azalee, l’elemento centrale del giardino era una fontana con ninfee bordata da riproduzioni di statue classiche.

Fui introdotto a Ginevra da un cameriere nero con una livrea che ricordava Gioacchino Murat. La donna era seduta su un divano rosa al centro di un soggiorno dominato da un pianoforte e da una palma che nasceva dal pavimento. Intorno c’erano riproduzioni, manifesti, quadri, con un unico soggetto: Ginevra. Sulla parete più grande campeggiava un solo, immenso olio che rappresentava la diva seduta su una sorta di trono, in abito e in ambiente malamente vittoriano.

Mi sorrise e mi tese la mano. Indossava jeans e camicetta arancione. Poco sopra i quaranta, occhi nocciola gradevolmente febbrili, solite labbra turgide per chirurgia e sorriso automaticamente seduttivo. Sullo schermo appariva più o meno così. Per come mi aveva teso la mano mi sembrò appropriato baciargliela.

<<Alessandro Forte>>.

<<Ginevra>>.

<<È un vero piacere>>.

<<Siedi qui vicino a me>>.

Sedetti. Mi toccò una mano.

<<Scorpione?>>.

<<Ariete>>.

<<Scapolo?>>.

<<Sposato>>.

Fece un’espressione sapiente.

<<Avevo capito tutto>>.

<<Certamente>>.

Suonò un piccolo campanello dorato.

<<Alessandro, bevi qualcosa?>>.

<<No, grazie>>.

Arrivò Gioacchino Murat che ricevette l’ordine di preparare il tè. Ginevra sciolse le gambe e divenne più diretta.

<<Mi dicono che sei molto bravo>>.

<<Mi fa piacere>>.

<<Vorresti collaborare con Ginevra?>>.

<<Con Ginevra?… naturalmente>>.

Mi riprese la mano.

<<Sento un po’ di diffidenza>>.

<<Forse è solo imbarazzo. Lei…>>.

<<Tu>>.

<<Sei un personaggio molto importante>>.

<<E allora? Sono una donna come tutte le altre>>.

<<Sì, capisco>>.

Si alzò e andò a toccare una foglia della palma:

<<Vedi Alessandro, Ginevra dà molto di se stessa. E il suo pubblico lo sente. Le piace far felice la gente, risolvere i suoi problemi. Guidarla. Ha avuto questo dono e lo offre agli altri. Ma vorrebbe fare ancora di più. Cose più importanti… i libri da leggere, le scelte da fare, come votare, che scuole preferire… Ginevra ha una precisa responsabilità, nei confronti degli italiani…>>.

Cominciavo a essere seriamente imbarazzato. E non sapevo cosa dire, e con quali parole. Me la cavai così:

<<Mi sembra un ottimo progetto. Molto impegnativo>>.

<<Ginevra non si tira indietro di fronte a niente>>.

Relazionai l’architetto Rotondi.

<<Tremila anni di civiltà, guerre, rivoluzioni e libri. Tutto superfluo visto che ci sono le verità di Ginevra. Seguiamola e tutto sarà risolto>>.

Rotondi rise di gusto, poi cercò le parole.

<<Non ti ho mai detto che sarebbe stato agevole>>.

<<Voglio parlarti chiaro... Giulio. Accetterò questo lavoro, perché ne sono costretto. Come certamente saprai, esco da una brutta esperienza>>.

<<Sì, lo so>>.

<<Mi vuoi dire che cosa rappresenti in questo affare?>>.

<<È molto semplice, rappresento Ginevra Santiito>>.

  Seguirono “lezioni” di attualità e di cultura spicciola: le davo informazioni e definizioni cercando di non avere pregiudizi, le spiegavo le solite due, normali, opposte prospettive che riguardano le cose. Le tendenze dei giornali, i processi, le istituzioni. Ascoltava.

Le lezioni venivano applicate. Ai vari argomenti. Tutti notarono il salto di qualità. Alessandro Forte funzionava.

   I miei suggerimenti venivano filtrati da una sua istintiva furbizia e da un consolidato mestiere. Inseriva certe mie espressioni, che l’avevano evidentemente colpita, nel suo stile generale, e nelle sue opinioni. Solo in assenza di opinioni adottava le mie. Diciamo che quasi sempre io le…lucidavo il linguaggio. Seguirono ospiti e trasmissioni. Io facevo il mio lavoro. Ginevra mi ascoltava, poi parlava al popolo.

Una volta ebbe ospite un frate televisivo. I due avevano attitudini comuni, si capivano. Fu quando la diva non rinunciò a svelare la propria teoria sull’esistenza di Dio. Riassunse venti secoli di pensiero e quindici milioni di testi. <<Come si può>> disse <<dubitare dell’esistenza di nostro Signore? Le prove? I profumi, la perfezione dei fiocchi di neve, gli uccellini che cantano, l’armonia delle stelle, il miracolo della vita, l’amore che tutto regola...>>.

Non commentavo mai, continuavo le mie lezioni private. Avevo bisogno di soldi. Produco alcune stralci in sintesi. Perle autentiche. Farina del suo sacco.

  <<Un onorevole che fa un errore può anche pensare di cambiare schieramento, per riparare all’errore. La coerenza è la qualità degli imbecilli>>.

Disse anche la sua sul pentiti: <<Chi si pente merita sempre rispetto. È una redenzione. Io credo ai pentimenti sinceri>>.

Si pronunciò sulla magistratura.

<<I giudici sono troppo criticati. Alcuni sono miei amici, sono persone deliziose. A volte possono sbagliare perché sono esseri umani. Ma non succede quasi mai. Chiedo a te, fans di Ginevra: i giudici sono forse venuti a interrogare te, o i tuoi parenti, o i tuoi amici? Non credo proprio, perché tu sei innocente>>.

Lavoravo. Venivo pagato. Ma lo scoramento, definiamolo così, montava.

 

   Nel programma di lezioni non potevano mancare i “territori”.

Le nozioni di Ginevra erano naturalmente una cascata di luoghi comuni, figli dei titoli dei TG. Come sempre possedeva qualche informazione sul particolare ma le sfuggiva il contesto generale. Come sempre le sfuggiva la Storia. Così disse:

   <<Ma non si può proprio far niente per Israele e la Palestina?>>

  Le risposi che ci provavano da tanto tempo.

  <<Penso –disse- a quei matrimoni infelici, dove litigano sempre. Poi magari arriva una voce esterna, obiettiva, e come per miracolo fanno la pace>>.

    <<Ce ne sono state di voci esterne, anche molto obiettive, e qualificate. Del presidente degli Stati Uniti per esempio>>.

   <<Sì, ma è sempre uno del giro. Parlavo di un estraneo vero>>.

   <<Parlavi di Ginevra…>>.

   <<Ginevra sa farsi ascoltare>>.

   Divenni paziente. Scandivo.

   <<Litigano da secoli. E non è solo un fatto politico. Dovresti mettere d’accordo Gesù e Maometto>>.

   Non rispose subito. L’argomento meritava riflessione.

   <<Mettere d’accordo Gesù e Maometto. Sarebbe carinissimo>>.

   Dolce, paterno, preoccupato, le misi una mano sul braccio.

   <<Ginevra, per favore, promettimi che non interverrai su questo argomento. Promettimelo>>.

  Promise.

  Ero a casa, sintonizzato sulla trasmissione. Ero curioso dell’argomento del giorno. Immersa nel buio intorno, con un riflettore addosso, con tappeto di dolciastra musica, Ginevra parlò:

   <<Oggi  mi rivolgo ai potenti di Palestina e di Israele. E ai vescovi ebrei e arabi. Il mondo vi guarda da secoli e soffre per voi, e per le alture occupate del santo sepolcro. Mettevi d’accordo. Ginevra è sicura che se si fossero incontrati personalmente Maometto e Gesù, che erano brave persone e non erano superbi, avrebbero trovato un compromesso. Ginevra sa parlare alla gente ed è a tua disposizione, Ariel, e a tua, Yasser. Sicura che guardate la sua trasmissione, è pronta a incontrarvi come un arbitro super partis, spirituale e umile al vostro servizio. Ginevra aggiunge che se i suoi impegni lo permetteranno verrà a trovarvi a Ramallah. Potete considerarla una promessa.

  Per due giorni il mio stomacò non accettò cibo.

   Quella volta incontrai Rotondi a Roma, al caffè Greco. Mi diede una busta.

<<Ecco i tuoi soldi>>.

La presi con un labile sorriso che l’architetto interpretò perfettamente.

<<Pochi per la merda che devi ingoiare>>.

Lo guardai un po’ sospettoso.

<<Che espressione colorita, che fai, sputi nel piatto in cui mangi?>>.

Rotondi chiamò il cameriere e ordinò due aperitivi.

<<Credi che sia un idiota acritico? Che non mi disgusti quello che vedo e sento?>>.

Bevemmo i nostri aperitivi. Dissi:

<<Senti Giulio… cosa c’è dietro tutto questo?>>.

<<C’è il mercato, lo sai bene>>.

<<Non è solo mercato. Chi c’è dietro?>>.

<<Perché dovrebbe esserci qualcosa di particolare?>>.

<<Per una certa sensazione di… mistero. Hotel, caffè gloriosi, mai un ufficio, poi la ragione sociale alla quale fatturo, generica,  strana... chi c’è un megamanager, un senatore, una lobbie?>>.

<<Un senatore>>.

Minimizzai:

<<Tutto qui?>>.

<<Uno importante… di quelli che pensano in grande…>>.

<<… nuovo movimento, nuovo partito?>>.

<< Roba del genere… e poi altre cose. Dai, prenditi i tuoi soldi e sii felice>>.

Una sera, a casa di Ginevra, non fu una delle solite sere. Aveva deciso di sedurmi. Si premurò di dirmi che tutta la servitù era in libertà. Indossava un abito nero assolutamente aderente, con scollatura che avrebbe dovuto uccidere. Ma c’era dell’altro. Sul tavolino di cristallo sfilavano tre strisce di polvere bianca che nemmeno vidi.

Fu Ginevra che, posando con troppa lentezza una coppa di champagne sul cristallo, me le fece notare. Disse:

<<Questa è la nostra serata. Nostra, senza lezioni>>.

Credo di esser stato altrettanto imbarazzato solo per le avances di un vecchio omosessuale da ragazzo in un cinema. L’uno e l’altra non erano il mio tipo. E nemmeno la cocaina.

La donna si ritrasse leggermente.

<<Be’? Non dici mente?>>.

<<Sono molto... sorpreso>>.

<<Anche Ginevra è una donna>>.

<<E come>>.

Dovevo stare attento. Feci un sunto molto rapido di indicazioni e contro indicazioni. Così, dopo aver contemplato l’opzione-verità: non faccio l’amore con la gomma o il silicone, scelsi una difficilissima diplomazia e dissi:

<<Ginevra dobbiamo lavorare insieme. Credi che non sia tentato? Non complichiamo le cose>>.

La diva smobilitò il sorriso di Rita Hayworth e divenne corrucciata.

<<Come sei virtuoso... o magari ti ha dato fastidio la mia aggressività?>>.

Scossi il capo.

<<Ginevra, è vero che sei una donna, ma sei anche molto di più. Sono solo un po’ spaventato. L’ultima cosa che potevo pensare... sperare è che ti interessassi a me. Devo convincermi che è vero. Superare lo shock. E chiaro che mi hai messo in crisi>>.

Mi guardava attenta. Forse avevo trovato le parole giuste.

Ebbi la sensazione di essere perdonato e l’avallo che seguì fu per me entusiasmante.

<<Sì, hai ragione. Scusami>>.

Ero fuori pericolo, ma avevo anche firmato una cambiale. Speravo di non doverla pagare dopo.

    E un sabato ricevetti una telefonata “fuori programma” da Ginevra.

<<Vieni subito a Roma, c’è qualcuno che vuole conoscerti. ’Sta sera siamo tutti a cena da Sora Lella>>.

Ero allarmato, ma dovetti farmi violenza, correre all’aeroporto, salire sul primo aereo e farmi portare dal taxi direttamente al ristorante sull’isola Tiberina. Mi aspettavano Ginevra, Rotondi e un uomo che non conoscevo.

Si alzò quando l’architetto mi presentò.

Il dottor Salerni dettava una sensazione non definibile e per questo un po’ allarmante. Quel personaggio sottotono che è al tuo tavolo una certa sera, poi quando si è alzato qualcuno ti dice che è il quinto contribuente italiano. Sorrideva sempre.Voglio tralasciare le chiacchiere spicciole, i dovuti omaggi quasi ex voto tributati a Ginevra e gli interventi di connessione di Rotondi.

Salerni:

<<Lei ha fatto un ottimo lavoro dottor Forte, la nostra Ginevra è entusiasta>>.

<<Ho solo dato qualche informazione ben recepita, Ginevra ha le idee più chiare di tutti ...>>.

Conclusi sorridendo:

<<Mi ha usato benissimo>>.

<<Abbiamo grandi progetti per Ginevra, ancora più grandi>>.

<<Ancora più grandi>> feci eco.

<<Sì, due fasce unite. La preserale a striscia giornaliera, come adesso, e una giornata, magari il sabato, tutta con Ginevra, fino a tarda ora>>.

<<Splendido>>.

Rivolse un sorriso di invereconda piaggeria alla diva.

<<La nostra Ginevra condurrà per mano gli italiani, un’amica fidata e costante che ti rappresenta al meglio>>.

La donna sorrise a sua volta, compiaciuta.

Salerni concludeva.

<<Dottor Forte, cosa ne dice di questa nuova formula... una vera amica di famiglia, una come tutti, umana e disponibile, ma che ha la possibilità di prendere il telefono e chiamare il numero privato del presidente del consiglio>>.

Sapevo che la mia risposta sarebbe stata decisiva, letta e riletta. Come in uno scrutinio. Dissi:

<<Mi sembra magnifico>>.

Tutti sorridevano.

Un pomeriggio Ginevra mi sorprese. Assistevo a qualcosa di anomalo, come se la diva fosse capitata per caso in un altro programma. Dall’altra parte di quel tavolino di cattivo gusto non c’era la solita soubrettina scemetta, o un divo omologo di altra trasmissione, o una stilista che blaterava di estetica, o un cantante che spiegava l’amore e la vita, o un giornalista con appeal che aveva cambiato mestiere. Si era appena seduta una signora anziana, dal capelli grigi, dal timido sorriso riconoscente, con un vestitino violetto, fiorito, e si era messa le mani in grembo. Miracolosamente sapevo chi fosse. Dico miracolosamente perché avrei potuto accettare una scommessa: meno di dieci italiani – alludo a quelli che guardavano il programma di Ginevra – la conoscevano. Voleva il caso che qualche mese prima avessi regalato a mia moglie e alla mia amica Sara Colonna lo stesso libro di poesie scritto da lei. Sul retro del libretto c’era Il volto dolce e sofferente della poetessa, il volto che vedevo adesso sul video. La donna si chiamava Wislawa Szymborska, era polacca. Wislawa e Ginevra, il bianco e il nero. Era impossibile immaginare nel mondo una correlazione più volgare. Parlo di qualità generale, non solo di comunicazione e cultura. Cercai di interpretare il mistero dell’immane stranezza, e ci arrivai. Wislawa non era solo una grande scrittrice lontana, voce dolorosa e profondissima, cuore e anima magnifici: anni prima aveva vinto il Nobel, e “premio Nobel”, secondo gli schemi elementari di Ginevra, significava qualcosa di cui occuparsi, qualcosa di “intellettuale” con cui riconoscersi, e possibilmente confondersi.

Ginevra la presentò come grande poetessa di Cracovia vincitrice di premio Nobel. Disse di averla vista qualche sera prima in un ristorantino a Campo dei fiori e di averla riconosciuta. Naturalmente non c’era una probabilità su un miliardo che Ginevra riconoscesse Wislawa. Successivamente approfondii e seppi che un editore amico del produttore del programma, sapendo della presenza della poetessa in Italia, aveva suggerito la partecipazione, per dare un tocco di nobiltà, in virtù del solito premio.

La donna parlava l’italiano. Disse che qualunque artista, di qualunque paese, scrittore o musicista o pittore, doveva considerare l’Italia come una seconda casa. <<Quasi tutto è nato da voi>> disse.

Ginevra le domandò cosa mangiasse, quale stilista firmasse la sua camicia da notte, se fosse al momento innamorata, quali fossero i suoi programmi televisivi preferiti, se avesse un cagnolino e, appurato che lo aveva, se dormisse con lui e quante volte lo portava a fare pipì.

Poi arrivò finalmente l’argomento poesia. Ginevra diede il meglio.

<<Sa Wislawa che anch’io scrivo poesie?>>.

<<Bene>> fece l’altra compiaciuta.

<<Un giorno scriverò qualche libro di poesia, per esprimermi ancora meglio. La televisione non può essere tutto, artisticamente>>.

Alla poetessa non rimase che ribadire, con un altro “molto bene”.

Ginevra aprì una cartelletta sulla scrivania e trasse un foglio.

<<Vorrei sentire la sua opinione su due poesie da me scritte molti anni fa. Quando cominciavo a scoprire me stessa e a sbocciare alla vita>>.

Cosi lesse la prima poesia. Storia di una bambina solitaria nel vento, che guardava di nascosto la mamma mettersi lo smalto, e la sera, in campagna, si isolava sotto la luna a sentire i profumi messi lì solo per lei. In rima. Ne lesse una seconda: dove il ragazzo della sua migliore amica le lanciava sguardi intensi e, una volta, in chiesa, le loro mani si erano sfiorate bagnandosi nell’acqua santa. Un delicato segnale che tutto avrebbe dovuto rimanere com’era. Un sacrificio che purificava il cuore. Senza rima.

Ancora una volta, il premio Nobel seguì la via obbligata. Disse: <<Molto... sentite>>.

Nella scaletta della conduttrice, il paragrafo poesia non riguardava Wislawa Szymborska.

Ginevra sorrise alla scrittrice, congedandola.

Per quanto mi riguardava, “la goccia che fa traboccare il vaso” era un’espressione corretta; ma certamente più vera e adeguata era un’altra: il boccone che mi faceva dar di stomaco.

   Fu allora che presi la decisione. Quali sono le parole: giustiziere? Spinta ideale? Andava neutralizzata. Il mostro andava neutralizzato. Così aspettai l’occasione, che venne dopo due settimane di ordinaria amministrazione. L’argomento poteva prestarsi alla trappola.

Ginevra:

<<Allora Alessandro… oggi avrò come ospite uno dei capi  gay italiani, un professore. Ha una protesta ufficiale da fare. Cosa ne pensi dei gay?>>.

<<Niente>>.

<<Come sarebbe?>>.

<<Non lo considero un problema o qualcosa su cui avere opinioni. I gay ci sono. E basta. Non ho niente contro di loro se è questo che vuoi sapere. Peraltro non ho niente a favore. Così come non ho niente contro o a favore degli etero come categoria. Ma credo che l’importante sia cosa ne pensi tu>>.

<<Dirò come te, che non ho niente contro... peraltro non ho niente a favore>>.

<<Non farlo Ginevra. Questo è un concetto che si può dire a quattr’occhi, non in televisione>>.

<<E perché?>>.

<<Perché c’è una misura diversa. Ci sono le chiacchiere e ci sono le  espressioni politicamente corrette. Ma tu lo sai benissimo>>.

<<Ecco, la differenza fra me e gli altri è che io sono sempre la stessa, a quattr’occhi come davanti a milioni di occhi>>.

<<Non può funzionare così. Se tu dici che un gay è una persona come le altre, invece di negare il problema lo poni, ottieni l’effetto opposto>>.

Ci pensò.

<<E secondo te cosa dovrei fare?>>.

<<Non pronunciare mai la parola gay se non è indispensabile, lasciala dire a lui. Se sei dalla sua parte comportati come se avessi di fronte un amico>>.

  Continuava a pensare. Fu in quel momento che decisi di innescare il meccanismo di distruzione di Ginevra. In quel preciso momento. Con enfasi dissi:

<<Ginevra!>>.

<<Sì?>>.

<<Sai che forse hai ragione?>>

<<Su cosa?>>.

<<E’ vero. Tu devi essere sempre la stessa. A quattr’occhi come in televisione. Perché tu sei Ginevra. Hai regole tue. Puoi permetterti ciò che gli altri non possono>>.

<<Sì>>.

<<E questo è l’argomento fatto apposta per importi in questo senso… i gay…>>.

<<Sarebbe?>>.

<<Dai, parliamoci chiaro Ginevra. Alla gente normale i gay stanno sui coglioni… non credi?>>

<<E’ vero…>>.

<<Solo che non si può dire. Non si può dire in pubblico. Saresti intollerante, razzista, scorretta eccetera. La regola è questa Ginevra>>.

<<Sì>>.

Portai gli occhi a pochi centimetri dai suoi.

<<Ma non è la regola di Ginevra… lei ne ha altre. Può permettersi di dire tutte le verità…>>.

<<Sì, può permetterselo>>.

Mi alzai in piedi entusiasta.

<<E allora fallo. Di’ quello che pensi. Che poi è quello che pensa le gente per bene>>.

<<Sì>>.

<<Ti preparo il testo>>.

Durante la trasmissione Ginevra ascoltò gli argomenti del professore, era neutra e distaccata. Gli fece solo qualche domanda generica. Poi si dispose. Con sorriso metallico disse.

<<Adesso Ginevra dirà la sua opinione…>>.

La camera inquadrò un sorriso positivo del professore e poi il pubblico attento.

<<Ginevra fa distinzione fra i gay… ci sono gli invertiti che si vergognano e cercano di non farsi notare. Almeno sono educati. Poi ci sono i froci che insidiano i ragazzini. Andrebbero messi in galera. Poi  le checche che danno uno spettacolo schifoso. Non gli basta farsi i fatti loro in privato. E poi ci sono i travestiti, sempre fatti di cocaina. Questo è il pensiero di Ginevra. E il pensiero di tanta maggioranza silenziosa…>>.

La telecamera indugiò sulle espressioni attonite del professore e del pubblico in sala, quel pubblico che poi era la maggioranza silenziosa.

   Dai titoli dei giornali il giorno dopo, dai toni dei TG e dalle dichiarazioni di tutti emerse che nessuno avrebbe potuto salvare la diva della televisione. Nemmeno il senatore.

E io dovetti affrontare padroni e committenti: avevo attribuito a Ginevra troppo potere. Avevo clamorosamente sbagliato. Ero costernato. Eccetera. Potevo solo avere la sensazione del guaio che avevo combinato. E mi piaceva anche pensare di non correre nessun pericolo fisico. Mi dispiaceva per Rotondi. Anche se ero al corrente della sua complicità.

    Per qualche tempo mi sentii davvero molto bene, con lo stato d’animo di un eroe nascosto, il custode invisibile di valori buoni e opportuni. Mangiavo, dormivo, parlavo con la gente ed ero compiaciuto. Proprio una bella sensazione.

Fui sollevato quando un pomeriggio mi telefonò Rotondi. Mi disse la frase cha aspettavo “sai bene che non ce l’ ho con te”. E mi invitò a un ricevimento la sera stessa. Accettai perché pensavo di dovergli qualcosa. E quando, fra schiene scoperte, guance turgide e nasini stampati vidi Ginevra, quasi ne ero preparato. Rotondi disse:

<<Alla fine ti ha perdonato… io l’ ho fatto subito>>.

<<Ho rotto grosse uova nel paniere?>>

Sorrise.

<<Sai qual è il paradosso? Che forse hai fatto un favore a tutti. La signora era troppo ingombrante. Era bruciata. Non era più spendibile. E tu hai risolto il problema>>.

<<Stupendo>>.

<<Ma la domanda vera… e me l’ hanno fatta in molti, era questa: chi c’e’ dietro di te>>.

Fui io a sorridere.

<<Nessuno. Non c’e’ nessuno>>.

<<E’ quello che rispondevo io. Dietro Forte c’è solo Forte, l’eroe del sacro graal.

Annuii sincero:

<<Mi piace>>.

Poco dopo eravamo seduti in un salottino, Ginevra e io, appartati. 

<<Alla fine, Alessandro, mi hai reso un bel servigio>>.

<<Mi fa piacere>>.

<<Non c’era più niente di buono per me. La televisione sarebbe stata la mia prigione. Non c’era più destino. Nessuna possibilità di evolvermi…>>.

Stavo per domandarle chi le avesse scritto il testo. Rilevai anche che non parlava più in terza persona. Riprese:

  <<Il lato buono è che avrò finalmente il tempo per le riflessioni. Potrò esprimermi al meglio. Penso a due libri, una biografia di Ginevra e una raccolta di poesie>>.

Allora proprio non resistetti.

<<Non farlo Ginevra>>. Mi guardò molto sorpresa.

<<No? E perché?>>.

<<Perché non sei uno scrittore, e non sei un poeta>>.

<<Ma sono Ginevra, sono sensibile. Sento di poter…>>.

<<Non farlo. Sei una della televisione, non inquinare il resto>>.

<<Inquinare? Ma che dici?>>.

<<Sì, inquinare, avvelenare, appestare. Quell’intelligenza, quei sentimenti, tu non sai cosa siano. È roba seria, importante, non è per tutti. Lasciali alle persone capaci, che sanno come fare. Le differenze esistono, Ginevra>>.

Allora si alterò.

<<Ma chi sei... chi cazzo sei tu per dirmi queste cose. Io parlo a dieci milioni di persone. Te non ti caga nessuno>>.

<<Certo Ginevra tu hai audience, molta. Ma ascoltami...>>.

Decisi di non tradurmi più, ero stufo di mediazioni per imbecilli. Feci gli occhi più brucianti che potei.

<<La quantità non è la qualità. Quasi tutta la gente di qualità, utile, magari geniale, non ha audience. E non vuole averne. Hai invitato una  grande anima, una poetessa, e hai letto poesie tue. Le hai chiesto della sua camicia da notte e hai ignorato che Wislawa è di Cracovia. Ed era là nel trentanove. Era nel ghetto. Novecentotrentanove, Cracovia, ghetto. Ma non ti dicono niente? Non sai cos’è successo? Cosa significa?>>.

Anche lei fiammeggiava con gli occhi.

<<Non lo so... stronzo. Ma so che prima che venisse alla mia trasmissione quella... quel premio Nobel la conoscevano dieci persone, e dopo, dieci milioni>>.

<<È vero Ginevra. Ma quelle dieci persone erano le migliori. L’audience... l’audience è un disastro>>.

Mi alzai, per andarmene.

<<Non scrivere libri, Ginevra. Non scriverli anche se tutti te li pubblicherebbero>>.

Mi allontanavo, lei mi tallonava.

<<Certo che lo farebbero. E a te, che sei tanto intelligente, a te li pubblicherebbero?>>.

Mi fermai sulla porta.

<<Un’ultima cosa Ginevra. Voglio che tu sappia che Arafat  non ti guardava in televisione. Siine certa, non ti guardava>>.

Allora i suoi occhi divennero sfide lampanti.

<<Ma cosa credi Alessandro, che io sia così ignorante? So benissimo che non mi guardava. Gli israeliani gli avevo distrutto i ripetitori...>>.